Viaggiando verso una Milano insolitamente silenziosa – incantesimo pandemico – sul treno incontro un Rabbino che da subito attacca bottone. Gli sono seduta vicino e per questo iniziamo a parlare e alle sue richieste di opinioni io rispondo domandando pareri.
Si informa da subito sul mio stato civile – sono sposata? – ed io cerco di sgusciare lontano dal tema mentre lui mi incalza notando sorridente come sia importante ‘far ingrassare’ la propria consorte di complimenti ed attenzioni.
Benché all’inizio sia compiaciuta, mi accorgo presto che ho incontrato ancora una visione dell’amore dogmatica ed escludente, quasi un tratto distintivo di tutti i sistemi di pensiero che sono diventati istituzioni.
Così, con lieve amarezza, ritorno ai miei pensieri e realizzo di non aver trovato nemmeno stavolta quello che vado cercando: in me o fuori di me una chiave di volta per capirmi l’amore.
Un quesito non da poco, sul quale vago meditabonda per settimane mentre l’idea di scriverne si ritaglia sempre più spazio tra le cocche dei miei pensieri – a chi mi legge non sfuggirà il mio vezzo per alcune parole che prediligo fra le altre.
Realizzo in questo modo di non conoscere molte storie, al di là della letteratura, che manifestino una volontà d’amore devastante; ne conosco invece molte di terribili sulle devastazioni dell’amore, e quest’ultime si tendono impunemente verso le generazioni future. Ciò sia detto con la piena consapevolezza di che cosa sia il miracolo della vita e quanto sia incommensurabile il suo valore, che pur tuttavia non riesco a far sopravanzare rispetto la qualità stessa del vivere.
Tu mi dai il tuo amore ed io in cambio il mio.
Parafrasando Louis-Ferdinand Céline: forse quel che si va cerando è la più grande passione possibile prima della morte.
In queste parole ritrovo l’aspetto dell’amore più significante e da cui quest’indagine ha preso vita: la passione è la passività da cui si vien presi nel mezzo, riattivati, energizzati da qualcosa -nel caso specifico dal sentimento amoroso- e ci si ritrova così, a soffrir contenti della sofferenza piacevole che si sta esperendo. La dualità del termine passione si presta come si suol dire, a pennello.
Quando la passione attiva ed incandescente non vi è, o non vi è più, ecco che appare una nuova figura sulla plancia del gioco dell’amore: la costanza, qualità propria di chi sa stare calmo. Si dice che la calma sia una virtù divina; ma allora, quest’amore è forse un sonnifero alchemico, una benzodiazepina che doma, illanguidisce e rende indolenti?
Accettare una storia d’amore placida è uccidere l’amore oppure, quella serenità di cui mi parlano, è il definirne la buona riuscita? Ed è inevitabile che porre la questione in un termine utilitaristico riporti il pensiero sull’amore come fosse una sorta di transazione sicura: tu mi dai il tuo amore ed io in cambio il mio.
L’amore che ho conosciuto, e del quale amo leggere, mi riconduce alla passione attiva, quella che riesce a scalzare la priorità egocentrica, a dare valore assoluto a qualcuno rispetto ad ogni altro, a rendere i dettagli più noiosetti dell’amato qualcosa di fondamentale per il proprio benessere – la compattezza della pelle, la forma delle orecchie, i peli dei piedi. Quella passione che fa di ogni gesto dell’amato un momento mitologico, in una dimensione nella quale nulla è speciale per il mondo esterno ma tutto lo è per noi: tutto è ideale, tutto è indimenticabile.
Questo amore ricorda quello tra la sabbia ed il mare: la sabbia raccoglie tutto ciò che il mare porta a riva, ed innamorata ne fa cimelio, santuario, altare; adatta le sue forme senza cambiare la sua natura e mescola i suoi confini senza perdere di presenza. La sabbia non smette di esser tale pure se si mescola all’acqua del mare.
Questo amore ha la sua dimora prediletta nei ricordi perché lì non deve scendere a patti con le accidentalità della vita: cura dei figli, casa, denaro. L’amore nel gabinetto dell’economista – non posso negare un moto involontario di ribrezzo.
Infine una piccola illuminazione: la scelta tra un amore che non ha speranza di continuità ed uno suicida sta nel tentativo di rendersi il più possibile completi come umani, affinché dell’altro non ci importi del conto corrente, della professione, del riverbero sociale. Allora non sarà per tornaconto personale se avremo interesse per qualcuno e non penseremo che dopotutto sia meglio accoppiarsi perché un mutuo si estingue più facilmente con due stipendi.
Forse così… Diventando davvero sabbia che muta senza mutare potremmo ambire alla massima passione possibile.