Il mondo allo specchio: l'antimateria

Michele DiEgo
Scienza

Il nulla, l’essere, l’apparire: concetti a cui la mente umana tende naturalmente e che a prima vista possono sembrare ovvi per la veemenza con cui si manifestano nella realtà del mondo, ma che al contrario toccano i gangli più sensibili del nostro intelletto. Dall’essere di Parmenide, all’apparire nietzschiano dell’essere dal nulla, passando per gli studi sul vuoto di Pascal, l’uomo ha sempre dovuto fare i conti con la propria incapacità di afferrare del tutto questi concetti. Oggi la fisica moderna aggiunge nuovi elementi di riflessione, sfidando tutto ciò che intuitivamente pensavamo di sapere.

È il 1926 quando Paul Dirac, studente taciturno e innamorato dell’estetica della matematica, prende il suo dottorato di ricerca all’università di Cambridge. Negli ultimi dieci anni ha visto il mondo della fisica cambiare radicalmente. Einstein ha riconcepito il modo di interpretare l’universo, mostrando come la velocità trasformi il tessuto spazio-temporale e la massa non sia altro che una forma di energia (la celebre E=mc²). E non solo. Dalle menti di Planck, Bohr, De Broglie, Pauli, Schrödinger e Heisenberg è nata la meccanica quantistica, una teoria rivoluzionaria ma ancora più controintuitiva di quella di Einstein, e che prevede in particolare che le particelle si comportino come onde.

Il nulla, il vuoto assoluto, l’assenza perfetta di materia e di energia, in meccanica quantistica acquisisce delle proprietà inedite.

 

Di fronte a tutta questa eredità, due anni dopo il suo dottorato, il giovane Dirac deriva un’equazione in grado di coniugare la relatività e la meccanica quantistica, descrivendo un elettrone (trattato come onda) a velocità prossime a quelle della luce (per cui è necessaria la teoria della relatività). L’equazione, tuttavia, mostra qualcosa di strano: le sue soluzioni non descrivono unicamente particelle a energia positiva, ma anche a energia negativa.

In linea di principio, in fisica, non è un evento così raro che un’equazione mostri sia una soluzione fisica, reale e accettabile, sia una irreale, assurda e quindi da scartare. Per comprendere intuitivamente la cosa, possiamo osservare un esempio elementare: una persona inizialmente ferma incomincia a camminare con un’accelerazione (a) di 1m/s²; quanto tempo (t) impiega a percorrere uno spazio (s) di 2 metri?

L’equazione del moto è:
s = ½ a·t²
se sostituiamo i numeri abbiamo
2 = ½ · 1 · t²
da cui
t = ± 2.
È chiaro che la soluzione che indica che a -2 secondi la persona ha percorso uno spazio di 2 metri non ha alcun senso fisico e quindi dev’essere scartata.
Ma Dirac apparteneva a quella schiera di fisici che ritengono che la bellezza di un’equazione sia la prova della sua veridicità e che talvolta la matematica cerca di mostrarci un mondo al di là dei nostri orizzonti mentali. E aveva ragione. La sua equazione, infatti, predice l’esistenza dell’antimateria.

L’antimateria: la realtà formata da particelle identiche a quelle che conosciamo, ma di caratteristiche speculari, di segni opposti. La possibilità di un mondo formato da anti-montagne e anti-oceani, a loro volta formati da anti-molecole e anti-atomi, in cui antielettroni di carica positiva orbitano attorno ad antinuclei di carica negativa. Il nostro mondo allo specchio, con una simmetria perfetta. Tutto funziona con le stesse leggi che già conosciamo: un osservatore esterno non noterebbe alcunché di strano, ma nell’intimo dell’anti-mondo ogni costituente fondamentale è invertito di segno.

È Carl Anderson, quattro anni dopo la pubblicazione dell’equazione di Dirac, a osservare sperimentalmente l’antielettrone, chiamato da quel momento positrone (positive-electron). Anderson stava studiando i raggi cosmici, ovvero la tempesta di particelle provenienti dallo spazio che investe in ogni istante la Terra (e ogni altro corpo celeste). Il suo strumento di lavoro era la camera a nebbia: un particolare recipiente pieno di vapore in cui è presente un campo magnetico. Se una particella con carica elettrica attraversa la camera a nebbia, lascia in essa una traccia ben distinta, come un’impronta digitale da cui è possibile risalire alle sue caratteristiche. Anderson nota delle tracce identiche a quelle lasciate da un elettrone, ma che curvano nella direzione opposta. La spiegazione non lascia ambiguità: si tratta di un antielettrone di carica positiva. La particella predetta nell’equazione di Dirac esiste.

Nel 1955 tocca al protone avere il suo corrispettivo antimaterico. L’antiprotone viene prodotto dai fisici Emilio Segrè e Owen Chamberlain, all’interno dell’acceleratore di particelle più potente all’epoca, il Bevatron, dove i protoni vengono accelerati per poi collidere contro un target di metallo. Durante l’urto, l’altissima energia che possiedono i protoni accelerati viene convertita in materia, secondo la già nominata legge di Einstein (E=mc²). Questa materia è formata da protoni di carica negativa: gli antiprotoni. Pochi anni dopo, sempre presso il Bevatron, Oreste Piccioni e il suo gruppo scoprono anche l’antineutrone.

Antielettrone, antiprotone, antineutrone: l’anti-mondo da noi immaginato non sembra essere più così irreale. I mattoncini fondamentali della anti-tavola periodica sono al completo. E infatti da quel momento in avanti negli acceleratori di particelle vengono prodotti antinuclei sempre più pesanti: anti-deuterio (un antiprotone e un antineutrone), anti-trizio (un antiprotone e due antineutroni), anti-elio 3 (due antiprotoni e un antineutrone). Nel 1997, al CERN, viene generato l’anti-idrogeno, il primo anti-atomo completo: un antielettrone orbitante attorno a un antiprotone. Più recentemente, nel 2011, sempre al CERN, gli scienziati sono riusciti a mantenere in vita trecento atomi di anti-idrogeno per il tempo record di mille secondi.

Ma, se si è detto che nulla vieterebbe un mondo di antimateria, perché gli atomi di anti-idrogeno non sono stabili? Cos’è che rende difficile il “mantenere in vita” un anti-atomo? Anche in questo caso la mente geniale di Dirac aveva intuito nelle sue equazioni una predizione sbalorditiva. Quando una antiparticella tocca la corrispettiva particella, le due si annichiliscono una con l’altra, rilasciando energia sotto forma di radiazione elettromagnetica. Scompaiono nel nulla, letteralmente in un lampo.
È per questo che non vediamo gli anti-mondi composti di anti-montagne e anti-oceani. Essi, in teoria, potrebbero esistere da qualche parte dell’universo. Nulla vieta o pregiudica il loro funzionamento, speculare a quello del nostro mondo. Ma è chiaro che, sulla Terra, ogni particella di antimateria che arriva dallo spazio o che produciamo in laboratorio finisce presto col venire annichilita, incontrando inevitabilmente la materia di cui siamo circondati. Persino noi veniamo attraversati dall’antimateria, non ce ne accorgiamo perché la materia che compone il nostro corpo è talmente preponderante rispetto all’antimateria che ci colpisce che l’annichilazione materia/antimateria resta del tutto trascurabile.
Per “tenere in vita” l’antimateria nel nostro mondo, dobbiamo quindi isolarla e tenerla lontana dalla materia. Per farlo, i fisici utilizzano delle “trappole” cilindriche sotto vuoto al cui centro l’antimateria viene concentrata per mezzo di campi elettromagnetici. Grazie a queste “pareti” elettromagnetiche, l’antimateria non tocca i bordi della trappola e così rimane sospesa nel vuoto, protetta dall’annichilimento contro la materia. È inoltre chiaro che, in un mondo di antimateria, sarebbe la nostra materia ad essere in minoranza e quindi, per sopravvivere, le occorrerebbero gli stessi accorgimenti che usiamo qui nei confronti dell’antimateria. In pratica in un mondo di antimateria, la materia sarebbe considerata l’anti-antimateria.

Ma non è tutto. Se è vero che le particelle di materia e di antimateria si eliminano a vicenda diventando nulla, è vero anche il contrario. Il nulla, il vuoto assoluto, l’assenza perfetta di materia e di energia, in meccanica quantistica acquisisce delle proprietà inedite.
Una delle formulazioni del principio di indeterminazione di Heisenberg lega l’energia al tempo, attraverso la relazione
∆E · ∆t ≥ ħ / 4π
che indica come l’incertezza energetica di un sistema è tanto maggiore quanto più piccolo è l’intervallo di tempo in cui la si misura. Da ciò ne consegue che è possibile violare una delle leggi fondamentali della natura, la legge di conservazione dell’energia, purché ciò avvenga per tempi brevissimi: tanto più grande è la violazione, tanto più essa deve avvenire rapidamente. Quindi la meccanica quantistica ammette la comparsa di energia dal nulla su scale di tempo infinitesimalmente brevi. Questa energia può essere usata per far apparire dal vuoto una coppia particella/antiparticella.

Il vuoto assoluto, quindi, si è trasformato in un ribollio perpetuo di fluttuazioni quantistiche in cui vengono continuamente prodotte dal nulla particelle e antiparticelle, seppure su scale di tempi infinitesimali. Anche se ciò potrebbe sembrare un artificio astratto, in realtà le fluttuazioni quantistiche del vuoto sono state verificate sperimentalmente. L’esperimento più formidabile è probabilmente quello di Hendrik Casimir: due piastre poste nel vuoto parallelamente una all’altra, a pochi micron di distanza, subiscono una attrazione tra loro a causa della pressione delle fluttuazioni quantistiche nel vuoto che le circonda. La pressione del vuoto esterno alle due piastre, essendo superiore a quella del vuoto tra le due piastre, le spinge una verso l’altra.

Di più. L’apparizione e annichilazione delle coppie particella/antiparticella ha a che fare persino con la creazione dell’universo. La teoria del Big Bang prevede che in origine, nell’universo appena formatosi, materia e antimateria esistessero solo in quanto coppie particella/antiparticella. Ogni nuova particella nasceva accoppiata alla sua antiparticella e scompariva nel nulla disintegrandosi con essa, in un incessante e tumultuoso rimescolarsi primordiale. Se le cose fossero continuate così, oggi esisterebbero uguali quantità di materia e antimateria, il cui bilancio netto sarebbe pari a zero. Eppure tutte le nostre osservazioni sull’universo mostrano un abbondante predominio della materia sull’antimateria, permettendo così la formazione delle galassie che conosciamo. Evidentemente, una rottura di simmetria tra la materia e l’antimateria è avvenuta ad un certo istante, lasciando che una minuscola porzione di materia sopravvivesse a discapito dell’antimateria (circa una particella ogni miliardo). Noi facciamo parte di quella minuscola porzione. Ma la causa dell’asimmetria che ci ha permesso di essere qui resta ancora un mistero.