Il potere è il popolo ed il popolo è potere, ma se il popolo non esiste, rectius non si esprime, può veramente esistere la democrazia?
Analizzando il concetto di democrazia, δῆμος e κράτος, e adottando una traduzione in chiave normativa, filosofica ed anche letterale, appare chiaro che la stessa non possa prescindere dall’esistenza di un agglomerato sociale di individui, il popolo, che eserciti il potere mediante degli strumenti di consultazione.
Dunque, il potere è il popolo ed il popolo è potere; ma se il popolo non esiste, rectius non si esprime, può veramente esistere la democrazia?
Come noto il 25 settembre, in Italia, si sono tenute le elezioni che hanno visto la netta vittoria del centro-destra.
Il secondo elemento che tuttavia emerge, con incredibile forza e veemenza tale da non poter essere ignorato, è la percentuale di coloro che si sono recati alle urne per esercitare quello che è uno dei principali diritti riconosciuto dalla nostra Costituzione: il diritto di voto.
In tal senso, infatti, si registra un record dell’astensionismo, rilevato che solamente il 64% degli aventi diritto si è recato al seggio.
Se tale dato preso singolarmente appare grave, risulta destare ancora maggiore preoccupazione se confrontato con i precedenti storici: dal 1946 ad oggi il livello di coloro che hanno deciso di non votare è aumentato pressoché con costanza [1].
Si assiste dunque, rispetto ai primi anni successivi all’avvento della democrazia in Italia, ad un progressivo ed elevato aumento dei soggetti che non si recano al voto.
Volendo allargare la prospettiva in chiave comunitaria ed esaminando le classifiche, il nostro Paese si colloca circa a metà.
Il paese da questo punto di vista più virtuoso è il Lussemburgo, seguito da Belgio, Malta e dagli Stati del nord Europa; al contrario invece l’astensionismo prevale negli stati dell’est Europa, in Grecia, Francia ed Irlanda [2] .
Tuttavia, bisogna specificare che in Lussemburgo, Belgio e Grecia sussiste l’obbligo di votare (nel senso di recarsi al seggio) che quindi giustifica le percentuali dei primi due Stati, mentre evidenzia che in Grecia tale disposizione normativa non ha efficacemente posto un limite all’astensionismo.
Difatti, indipendentemente dalla presenza di un obbligo di legge, ogni cittadino, ciascuno di noi, deve (o dovrebbe) avere a cuore l’esistenza ed il corretto funzionamento di alcuni aspetti essenziali che caratterizzano tutti i Paesi, ed in particolare uno Stato democratico, e che garantiscono alcuni diritti fondamentali per il singolo e per la collettività.
In tal modo il popolo, che non è suddito ma cittadino consapevole, può esercitare la più alta forma di potere democratico, partecipando attivamente alla vita politica e legislativa.
Non esercitare il diritto di voto, indipendentemente dal connotato politico che ciascuno di noi ritiene di avere e di sostenere, rappresenta una forma di mancata consapevolezza dei propri diritti e delle proprie prerogative.
Ecco, quindi, che la scarsa affluenza alle elezioni non si traduce in una sconfitta o in una vittoria, ma nella delusione per un così elevato disinteresse per la res publica che, prima che politico, rappresenta un problema educativo e sociale che dovrebbe suscitare in ciascuno di noi una riflessione profonda.
Tuttavia, accanto alla questione inerente la mancata partecipazione al voto, ne sussiste una seconda, che forse è ancora più grave: l’impossibilità per i fuorisede di votare.
Per esercitare il diritto di voto occorre che il cittadino, avente diritto, si rechi nel proprio comune di residenza, al seggio indicato nella tessera elettorale.
Cosa accade invece nel caso in cui un soggetto si trovi fuori dal proprio comune per lavoro, studio o per altri motivi? Semplicemente non potrà votare.
O meglio, dipende.
Difatti è previsto che possano votare in Italia fuori del comune di residenza solo alcune categorie di elettori, come quelli ricoverati in ospedali e case di cura, militari, naviganti, i componenti dell’Ufficio elettorale di sezione e le Forze dell’ordine; inoltre i rappresentanti di lista, designati dai partiti, possono votare presso il seggio in cui svolgono tali funzioni qualora siano elettori dello stesso collegio plurinominale alla Camera e della stessa regione al Senato.
Per gli elettori che, non rientrando in tali categorie, per esercitare il diritto di voto devono raggiungere il comune di residenza recandosi presso il proprio seggio di iscrizione elettorale, sono previste agevolazioni tariffarie per viaggi in treno, aereo o nave.
Agevolazioni che tuttavia non comportano un integrale rimborso dei costi di spostamento necessari per recarsi nel proprio comune di residenza, tenuto presente che la fascia maggiormente interessata da quella che è una vera e propria discriminazione è quella dei giovani tra i 18 e i 35 anni (circa 5 milioni di persone).
Sempre volendo inquadrare la situazione attraverso uno sguardo europeo, l’Italia insieme a Malta e Cipro è l’unico Stato che non garantisce il voto ai fuori sede.
A ben vedere vi sarebbe una proposta di legge (n. 1714/2019) [3] ancora ferma nei lavori parlamentari la quale prevede che «Gli elettori che ai sensi del comma 1 intendono avvalersi della possibilità di esercitare il diritto di voto in un comune diverso da quello di residenza devono presentare domanda in via telematica, tramite l’identità digitale SPID, almeno quarantacinque giorni prima della data prevista per lo svolgimento della consultazione elettorale. All’atto della presentazione della domanda in via telematica prevista dal comma 2, l’elettore deve allegare:
a) il certificato di iscrizione presso un’università la cui sede centrale si trovi in una regione diversa da quella in cui l’elettore ha il comune di residenza, se la richiesta è presentata da uno studente fuorisede;
b) una copia del contratto di lavoro, o una certificazione del proprio datore di lavoro, se la richiesta è presentata da un lavoratore domiciliato in un comune situato in una regione diversa da quella dove si trova il comune nelle cui liste elettorali risulta iscritto;
c) un certificato medico che attesta la necessità di eleggere il domicilio in un comune situato in una regione diversa da quella dove si trova il comune nelle cui liste elettorali risulta iscritto, se la richiesta è presentata per motivi di cura.
Al momento dell’esercizio del voto nelle ipotesi previste dalle disposizioni di cui agli articoli 2 e 3 l’elettore deve presentare al seggio, oltre alla tessera elettorale e al proprio documento di identità, anche la ricevuta che attesta l’avvenuta presentazione della domanda di cui al comma 2 del presente articolo almeno quarantacinque giorni prima della data della consultazione elettorale e l’accettazione della medesima domanda, con l’indicazione del seggio di pertinenza rispetto al proprio domicilio».
Indipendentemente dalla proposta di legge già presentata, l’attuale assetto normativo deve essere necessariamente cambiato.
Il nostro Stato non può essere veramente definito una democrazia quando viene negato uno dei diritti fondamentali di ogni tessuto sociale: il voto.
E non ci si può nemmeno nascondere dietro la foglia di fico del: «ma in fondo cosa costa tornare a casa o cambiare la tua residenza?».
Questo, infatti, comporterebbe un onere economico in capo ad una fascia di popolazione che ancora, nella maggior parte dei casi, non ha un reddito autonomo e non può, e francamente non deve, affrontare dei costi per esercitare un diritto costituzionalmente previsto che quindi non può essere soggetto ad oneri.
Se vogliamo fregiarci dell’ essere un vero stato democratico ed europeo non possiamo permettere che tale questione si trascini ancora; la mancata possibilità di votare, oltre a rappresentare una lesione ai diritti, porta anche un’abitudine a non occuparsi nella cosa pubblica e a creare cittadini ignari e ignavi, disinteressati al processo democratico.
Ed allora la proposta di legge in precedenza evidenziata mi sembra che possa risolvere tale questione; non sarà perfetta e comporterà un minimo aggravio di burocrazia, ma almeno garantirà il rispetto della Costituzione e renderà dei soggetti non più cittadini di serie B, ma protagonisti della vita democratica del Paese.
E questo è quantomai necessario.
«Il potere è il popolo ed il popolo è potere, ma se il popolo non esiste, rectius non si esprime, può veramente esistere la democrazia?».
[1] Per la percentuale precisa si veda link.
[2] Per i dati aggiornati si veda link.
[3] Per il testo completo si veda il seguente link.