“Quarantena, distanziamento sociale, senso di responsabilità, limitazione delle libertà personali, mascherina, autocertificazione, assembramento…” è una terminologia divenuta comune, figlia della nuova era pandemica nella quale il Covid-19 si è introdotto nelle nostre vite, stravolgendone la quotidianità. Quanto stiamo vivendo può trovare riscontro solamente nei periodi di guerra, ed è proprio questa la similitudine usata con regolarità da chi governa e da chi informa, sebbene tale paragone abbia indotto più d’una mente non assopita a chiedersi se lo stesso abbia ragione di esistere o costituisca solo un espediente per la comunicazione di massa notoriamente pressapochista e facilitona.
É necessario per il buon cittadino, soprattutto in questo periodo storico, mantenere una curiosità sveglia ed una brama di informazione esaustiva. É importante che la coscienza imponga di non fermarsi solamente ai freddi bollettini “ufficiali”, ma che spinga sempre alla rielaborazione dell’informazione preconfezionata onde pervenire ad una migliore contezza del reale. Abbiamo il dovere di porci delle domande e, come Diogene, camminare con la lanterna, non alla ricerca dell’uomo, ma alla ricerca della verità con la curiosità e l’apertura mentale necessarie ad affrontare qualsiasi nuova esplorazione, sia essa fisica oppure, come nel nostro caso, culturale.
L’attuale narrazione della pandemia appare più un racconto di gesta belliche in cui il genere umano si scontra col nemico invisibile.
Focus delle riflessioni che seguiranno è lo stato di limitazione delle libertà personali e collettive che è stato imposto con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri, sulla base del potere regolamentare previsto dall’art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400. A ben vedere, tali limitazioni trovano ampia giustificazione come misure di contrasto alla propagazione incontrollata del virus, configurandosi ad oggi come unico espediente efficace nel combattere l’epidemia. Tali misure restrittive sono state accettate quasi sempre in modo passivo dal popolo italiano spaventato dalla minaccia invisibile; tuttavia i giuristi più attenti non hanno potuto esimersi dal riscontrare il pericolo che si cela dietro la facilità con cui tali provvedimenti sono stati adottati.
Credere che tutto ciò sia pacifico e normale è un errore. Accondiscendere alla limitatazione della propria libertà attraverso un atto amministrativo pure. Ricordiamo infatti che le limitazioni alla libertà personale, cosi come alla libertà di circolazione – prevista all’art. 16 della Carta costituzionale -, devono seguire il principio di riserva di legge, ovvero la competenza esclusiva della legislazione ordinaria a disciplinarne le forme di restrizione. E il macchiavellico “il fine giustifica i mezzi”, che permetterebbe di legittimare quanto avviene sotto il cappello della necessità che non consente differenti soluzioni, viene comunque avvertito come una nota stonata perché collide con la possibilità di godere del bene per eccellenza, la libertà, che è costato guerre e sangue e a cui difficilmente siamo disposti a rinunciare.
Passi quindi il sacrificio di dover rimanere segregati in casa ed interrompere le attività produttive non essenziali in piena pandemia, ma non cediamo all’erronea convinzione che in Costituzione vi sia una gerarchia dei diritti. Il diritto alla salute consacrato all’art. 32 della Costituzione non prevale su quello alla libertà sancito all’art. 13 della medesima, e se ciò avviene a prescindere da quanto scritto nella nostra Legge fondamentale, allora dovremmo chiederci se il nostro sia davvero un sistema democratico.
Inoltre, sebbene si sia più volte sottolineato che ogni decisione presa è solo politica e contemperi perciò il parere medico-scientifico con considerazioni sul sistema generale, la sensazione è quella che ciò non avvenga e che non si stiano tenendo in considerazione – come si dovrebbe – le ulteriori esigenze fondamentali per lo Stato e i cittadini che vengono messe in secondo piano.
E’ dunque assodato che il nostro ordinamento democratico conferisce delega a chi governa di decidere come e quando limitare le libertà individuali e collettive in vista di un bene superiore. La Costituzione, tuttavia, non conosce lo Stato di emergenza, che è stato infatti dichiarato sulla base del D. Lgs. 1/2018, ovvero sulla base del Codice della protezione civile, che è di fatto una legge ordinaria e non riveste di certo un ruolo costituzionale. Tale Codice infatti, è stato pensato per far fronte a situazioni assimilabili a catastrofi naturali come terremoti o alluvioni, e non di certo ad una pandemia di origine virale.
Ciò che di più simile esiste in Costituzione è lo Stato di guerra, che comunque dovrebbe essere deliberato dal Parlamento e dichiarato dal Presidente della Repubblica.
É forse per questo motivo che l’attuale narrazione della pandemia appare più un racconto di gesta belliche in cui il genere umano si scontra col nemico invisibile? Non è dato sapere.
Quanto avviene però rappresenta una situazione senza precedenti dal punto di vista della storia del diritto e come si può immaginare l’assenza di precedenti contribuisce a creare uno stato di incertezza, malcontento e contraddizioni.
La solerzia del Governo nell’operare manovre di contenimento a difesa della salute dei cittadini ispira anche un altro ordine di ragionamenti. Uscendo dallo schema classico ed estremizzando il pensiero, è possibile arrivare a interrogarsi sul perché lo Stato che oggi si prodiga nello studiare, limitare e sconfiggere il virus, non sia altrettanto solerte nel vietare, in tempo di pace, altri fattori che conducono ad un alto tasso di mortalità. Pensiamo al fumo, ad esempio, responsabile di circa 80.000 morti l’anno in Italia con costi sociali ed economici non trascurabili.
La diffusa convinzione che vede una lapalissiana ragione di mantenimento della legalizzazione commerciale del tabacco nell’interesse statale al gettito generato annualmente dalla vendita dello stesso deve essere ridimensionata alla luce dei dati ufficiali. Lo Stato infatti incassa circa 14 miliardi annualmente grazie alla vendita del tabacco, ne spende in maniera diretta tra i 7 e gli 8 in cure e terapie ed azzera infine l’aggio con i costi sociali derivanti dalle invalidità e dalle tante morti. In definitiva, quanto incassato grazie ai proventi derivanti dal tabacco, viene dallo stesso speso per i costi diretti e indiretti generati dal suo libero consumo.
Certo, siamo tutti ben consapevoli che la sigaretta danneggia solo chi ne fa uso – escludendo il fumo passivo – mentre il Covid-19 ci impone di proteggere gli altri da noi stessi. Tuttavia, è interessante constatare che esiste una sostanziale accettazione dell’ineluttabilità della morte causata da ciò che la legge permette. Ciò assopisce le coscienze e crea una distinzione distorta ma netta fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, talmente radicata che affrontare simili temi risulta quasi impensabile. Eppure il malato di cancro ai polmoni non merita la stessa compassione che riserviamo al malato di Covid-19? E perché lo Stato, se ha dimostrato di voler ritenere come centrale il diritto alla salute non dovrebbe proteggere i cittadini anche in questo caso? Certo, l’uso di tabacco non genera una crisi nei reparti di terapia intensiva, crisi che comunque non si abbatte sul sistema ospedaliero come ineluttabile ingiustizia ma è figlia di precise scelte di definanziamento al Sistema Sanitario. Negli ultimi 10 anni sono stati infatti operati tagli alla sanità per 37 miliardi di euro che hanno comportato 70.000 posti letto in meno, turn-over bloccati e conseguentemente meno personale disponibile, che ha condotto alle recenti corse alle assunzioni degli specializzandi in medicina ed al richiamo di personale in congedo.
Volendo tirare le somme di quanto fin qui esposto, risultano assai sfuggenti, ambigue e contraddittorie le logiche che hanno guidato e guidano alcune scelte fondamentali da parte di chi sta al timone del nostro vascello, e se le scelte del comandante non sono chiare è logico attendersi malumori e malcontento in seno all’equipaggio. É auspicabile affinare lo spirito di osservazione e comprendere appieno il concetto di cittadinanza consapevole cosicché chi si trovi nella condizione e nell’obbligo di dover decidere, lo faccia nella consapevolezza di proporsi ad una platea attenta, colta ed informata, pronta anche a plaudere misure drastiche quanto a contestare semplici provvedimenti, ma sempre a fronte di un processo cognitivo basato sull’elaborazione critica di tutte le informazioni di cui oggi disponiamo.
Maria Giuliana Civinini e Giuliano Scarselli, Emergenza sanitaria: dubbi di costituzionalità di un giudice e di un avvocato, in Questione Giustizia, reperibile al sito https://www.questionegiustizia.it/articolo/emergenza-sanitaria-dubbi-di-costituzionalita-di-un-giudice-e-di-un-avvocato_14-04-2020.php
Avv. Alessandro Cassiani, La decretazione d’urgenza e la costituzione a tempi del covid-19, in Fisco e Tasse, reperibile al sito https://www.fiscoetasse.com/approfondimenti/13631-la-decretazione-d-urgenza-e-la-costituzione-ai-tempi-del-covid-19.html