Ne “L’idiota” di Dostoevskij viene chiesto al principe Myškin se sia vero che egli abbia affermato che la bellezza salverà il mondo. La frase, grazie alla sua poeticità, ha finito con l’avere anche maggiore notorietà del romanzo stesso. Personalmente non mi sento in grado di dire se la bellezza salverà davvero o no il mondo, ma da fisico posso dire che di sicuro aiuta a descriverlo.
Se è vero che il fine ultimo della fisica è di poter descrivere il mondo in leggi matematiche che trovino conferma negli esperimenti, e quindi avvicinarsi il più possibile a una verità razionale e inequivocabile, è anche vero che la ricerca scientifica è sempre portata avanti da uomini, che per definizione sono imperfetti. La fisica è più grande e perfetta degli uomini che la creano. E sebbene nella fisica un termine dai contorni imprecisi come “bellezza” non può trovare spazio, per i fisici il concetto di bellezza può diventare fondamentale. I fisici si affidano alla bellezza per lasciarsi guidare e scoprire la verità.
L’universo è quindi un oggetto malleabile, in cui le distanze e il tempo si accorciano e si dilatano sotto l’effetto della presenza e del movimento delle masse.
E capiscono immediatamente quando un’equazione, una teoria, una scoperta è bella, elegante, semplice.
Uscendo dalle astrazioni e riportando alcuni esempi concreti, il premio Nobel Murray Gell Mann nel 1957 decise di pubblicare un articolo riguardante le interazioni deboli (le forze responsabili del decadimento degli atomi), nonostante ci fossero sette esperimenti che confutavano la sua teoria. Era convinto che la sua idea fosse talmente pulita ed elegante che non potesse essere sbagliata e che dovessero essere gli esperimenti ad essere mal eseguiti. Aveva ragione.
Di più: tutta la fisica nucleare e subnucleare si basa sulla corrispondenza di particelle simmetriche con caratteristiche speculari. Per capire di cosa stiamo parlando, iniziamo col dire che un qualsiasi oggetto attorno a noi è composto da atomi. Un singolo atomo è composto da un nucleo elettricamente positivo attorno a cui orbitano gli elettroni elettricamente negativi. Il nucleo è suddiviso in protoni e neutroni. Sia i protoni che i neutroni sono composti a loro volta dai quark. Esistono tre coppie di quark (up/down, strange/charm, truth/beauty). Tornando agli elettroni, essi fanno parte di una categoria di tre coppie di particelle chiamate leptoni (elettrone, muone e tauone, accoppiati ai loro tre neutrini). Tutta la materia a noi nota nell’universo è descrivibile in termini di tre coppie di quark e tre coppie di leptoni.
Negli anni settanta ci si trovò ad avere una discrepanza tra il numero di coppie note di quark (che allora erano due) e il numero di coppie note di leptoni (tre). Questa assenza di simmetria spinse i fisici a credere che dovesse esserci anche una terza coppia di quark. Alla fine gli esperimenti diedero loro ragione e dopo anni furono trovati i due quark mancanti.
In generale, in fisica, le scoperte rivoluzionarie tendono a includere le nozioni precedenti in una nuova teoria in grado di unificare ciò che fino ad allora pareva inconciliabile, attraverso leggi che appaiono più eleganti e complete.
Partiamo da Aristotele. Il filosofo greco si era accorto che un qualsiasi corpo per restare in movimento aveva bisogno di una forza che lo spingesse, altrimenti prima o dopo si fermava. Galileo fa un passo in avanti, intuendo che ciò che accade è in realtà l’opposto: l’attrito che ferma un corpo in movimento è la manifestazione di una forza, e in assenza di forze frenanti un corpo in movimento resterebbe eternamente in moto. Gli oggetti quindi comunicano tra loro attraverso le forze che ne causano deviazioni nel moto. Il passo successivo è affidato a Newton che dice esattamente come avvengono tali deviazioni: le forze modificano il moto dei corpi facendoli accelerare con un’accelerazione inversamente proporzionale alla loro massa (la famosa F=ma). Non solo: esiste una forza che agisce senza che ci sia contatto tra i corpi: la gravità. E la forza di gravità, che ci tiene coi piedi per terra o fa cadere le mele dagli alberi, è la stessa identica forza che agisce tra la luna e la Terra, o tra la Terra e il Sole: la legge di gravitazione è quindi universale. È questo il passaggio cruciale: dalla mela alla luna, l’unificazione tra meccanica terrestre e meccanica celeste.
Dopo Newton è Einstein a parlare di gravità, partendo dall’intuizione che nulla può muoversi più veloce della luce. Tutti sappiamo che la luce proveniente dal Sole impiega circa otto minuti a raggiungere la Terra. Se potessimo far sparire istantaneamente il Sole nel nulla, avremmo quindi ancora otto minuti prima che l’oscurità ci investa. E la gravità? Dopo quanto la Terra smetterebbe di seguire la sua orbita ellittica, dettata dall’attrazione esercitata dal Sole? Newton avrebbe risposto che nell’istante stesso della scomparsa del Sole, la Terra avrebbe deviato dalla sua traiettoria per procedere in linea retta. Ma Einstein non era d’accordo, per lo scienziato tedesco nulla è più veloce della luce e quindi nemmeno la gravità: la Terra continuerebbe imperterrita ad orbitare per otto minuti attorno a un Sole ormai scomparso.
Da queste premesse Einstein è in grado di concepire un nuovo modello di universo, in cui lo spazio e il tempo non sono assoluti e rigidi, ma vengono continuamente deformati dalla presenza della materia e dell’energia. Per un corpo in movimento la struttura del tempo rallenta: più veloce va il corpo, più il tempo rallenta. Un esempio? I muoni si formano dall’urto dei raggi cosmici con gli strati più alti dell’atmosfera e, prima di decadere, “vivono” per un tempo dell’ordine dei milionesimi di secondo. Il che significa che non dovrebbero poter arrivare al suolo terrestre, troppo distante per loro. Perché allora riusciamo a misurare la loro presenza anche qui? Perché, viaggiando a velocità prossime a quella della luce, la struttura del tempo per loro rallenta, permettendogli di “vivere” più a lungo e di raggiungerci. Ma non occorre per forza andare alla velocità della luce per dilatare il tempo: ogni corpo in moto modifica il proprio tempo; persino noi mentre camminiamo, solo che la nostra velocità è talmente piccola rispetto a quella della luce che gli effetti su di noi sono del tutto trascurabili. Potenzialmente, se avessimo un orologio sufficientemente preciso, potremmo essere in grado di osservare la dilatazione di qualsiasi corpo in movimento. Un esperimento realmente realizzato è il seguente. Si sincronizzano due orologi atomici. Il primo viene posto su un areo di linea, mentre il secondo viene lasciato a terra. L’aereo decolla, percorre un certo tragitto a velocità sostenuta e riatterra. A questo punto si confrontano i due orologi: non sono più sincronizzati, il tempo per loro è trascorso differentemente.
Ma le predizioni di Einstein vanno ben oltre gli esempi citati. Non solo la velocità modifica la struttura temporale e spaziale: la massa stessa di un corpo è in grado di modificarla. Più siamo vicini a una massa, più il tempo per noi è rallentato. Se potessimo porci vicino a una massa enorme, come un buco nero, il tempo per noi rallenterebbe tremendamente e un nostro minuto corrisponderebbe ad anni (o secoli) sulla Terra – è su questo fenomeno che è interamente costruito il film “Interstellar”.
L’universo è quindi un oggetto malleabile, in cui le distanze e il tempo si accorciano e si dilatano sotto l’effetto della presenza e del movimento delle masse.
Ma il punto focale è questo: la teoria della relatività di Einstein include la gravitazione di Newton, mostrando come essa sia una buona approssimazione, valida per spiegare un certo numero di fenomeni (come la mela sulla Terra o l’orbita della Terra intorno al Sole), ma non sufficiente a spiegarne altri (come la presenza di muoni a livello del suolo terrestre o i fenomeni di dilatazione del tempo).
Oggi è noto che ci siano quattro forze fondamentali (gravitazionale, forza forte – che tiene incollati i nuclei degli atomi, la già nominata forza debole e la forza elettromagnetica). La nuova grande rivoluzione che potrebbe modificare la nostra concezione dell’universo vedrebbe l’unificazione delle quattro forze, mostrandoci come esse non siano altro che facce diverse di una stessa medaglia. Tale teoria va sotto il nome di “teoria del tutto”, e per ora siamo ancora lontani dal poterla toccare con mano.
Ma il tentativo stesso da parte dei fisici di unificare le forze fondamentali nasce dalla consapevolezza che, storicamente, fenomeni apparentemente diversi si sono dimostrati appartenere a una legge più alta che era in grado di unirli. E questa consapevolezza non nasce da una regola scritta della fisica, è una promessa in cui i fisici credono interiormente, senza riuscire a darne una spiegazione formale.
In qualche modo la fisica fa propria la suggestione di Keats: “La bellezza è verità, la verità bellezza”.