Una comprensione, per quanto approfondita e conforme alla realtà, è inutile se non ha come obiettivo una sua concreta trasformazione.
Nel precedente articolo apparso su questa rivista, [1] si sono presentati i punti fondamentali dell’opera di Schopenhauer, il grande antagonista di Hegel. Ora, invece, verrà introdotto il pensiero dell’allievo ‘ideale’ di quest’ultimo, il quale ha avuto conseguenze tali sulla nostra storia da rendere noto il suo nome ben oltre il semplice ambito della filosofia. Si parla, naturalmente, del filosofo di Treviri: Karl Marx (1818-1883). Marx rientra nel gruppo dei tre intellettuali per i quali Paul Ricoeur ha coniato l’espressione «maestri del sospetto», riferendosi al tratto comune presente nel loro pensiero: la critica delle ideologie che vengono intese come manifestazioni di falsa coscienza. In altre parole, il mondo composto da principi etico-morali, istituzioni socio-politiche e manifestazioni artistico-religiose, non è altro che la sovrastruttura illusoria che emerge dalla vera realtà sottostante, da ciò che veramente regola la vita degli esseri umani. I tre «maestri del sospetto» sono Marx, Friedrich Nietzsche e Sigmund Freud e ritengono che le vere realtà che fanno mondo siano rispettivamente: i rapporti economici, la volontà di potenza e l’inconscio.
Si è detto come Marx sia l’allievo ideale di Hegel, e questo è vero non solo perché molte delle analisi che egli compie sui rapporti sociali e politici trovano corrispondenza nei Lineamenti di filosofia del diritto – opera che conclude il sistema del filosofo di Tubinga – ma altresì la struttura che assume il movimento storico nel pensiero di Marx è debitrice della dialettica hegeliana. Sarebbe interessante vedere approfonditamente queste relazioni, ma non è possibile ampliare così tanto il presente testo. Sarà bene, quindi, iniziare a presentare il pensiero di Marx così come esso risulta dalle sue stesse opere.
Nel modo comune di pensare dell’epoca precedente a Marx – e in realtà anche oggi – si riteneva che la comunità sociale si regolasse secondo uno schema di questo tipo: il sentire comune, sistematizzato dall’élite culturale, costituisce una Weltanschauung, ossia una ‘visione del mondo’, alla quale gli individui che compongono una società si adeguano al fine di creare una struttura materiale che si adatti a quella del pensiero. Ad esempio, nel mondo medievale, il modello era quello religioso, improntato sulla struttura che si immaginava propria delle potenze divine superiori (Dio, padre e creatore, le schiere degli arcangeli, gli angeli etc.). Di conseguenza la società umana era organizzata secondo una gerarchia ben definita, per la quale gli Stati erano governati dal sovrano (tale per nascita e volontà divina), i nobili (che avevano il compito di gestire le terre ad essi assegnate dal sovrano), i soldati (impegnati a garantire la sicurezza), gli ordini religiosi (intenti a mantenere e custodire l’ordine spirituale), e i popolani (destinati a lavorare per consentire la sopravvivenza delle classi che, impegnate nei rispettivi compiti, non potevano provvedere da soli alla soddisfazione dei loro bisogni primari). In altre parole: sicut in caelo et in terra – ‘come in Cielo e in Terra’. Marx ribalta questa impostazione, suggerendo che l’origine delle strutture sociali sia da ricercare non nell’ambito delle idee, bensì in quello terreno, e più precisamente nel modo in cui in ogni tempo si sviluppano i rapporti economici:
Il ragionamento di Marx è chiaro: come la classe dominante – che è tale perché dispone della potenza materiale, cioè dei mezzi di produzione materiale – assoggetta le altre classi nell’ambito economico-produttivo, così di pari passo le assoggetta anche nell’ambito delle idee. Ciò è possibile perché, libera dalle necessità produttive demandate alle altre classi, può dedicarsi al mondo del pensiero; può, inoltre, decidere di utilizzare i mezzi di produzione nel modo che più si accorda al sistema ideale da loro progettato; e, infine, può usare la produzione materiale che garantisce la sopravvivenza di tutti come mezzo coercitivo per imporre la propria visione del mondo. Così Marx esplicita il modo in cui ritiene sia necessario analizzare la realtà, che contrappone a quella che lui definisce la ‘critica critica’, ossia l’impostazione della sinistra hegeliana ancora troppo legata alla trascendentalità idealistica:
Marx, seguendo i principi enunciati in questo passo, ritiene necessario analizzare la vita degli esseri umani nella loro concretezza, scegliendo come campo d’indagine i rapporti tra quelli che definisce i ‘proletari’ e i possessori dei mezzi di produzione, i ‘capitalisti’. Questi due termini vengono scelti per indicare la differenza sostanziale che sussiste tra le due categorie: se da un lato i capitalisti posseggono come ‘capitale’ personale i mezzi di produzione, dall’altro i proletari posseggono solo la propria ‘forza lavoro’, ossia la quantità limitata di lavoro che possono compiere giornalmente. È proprio sulla base di queste categorie che Marx elabora una delle sue più note teorie, vale a dire il celebre plusvalore. Spiegare il plusvalore, almeno in una forma più generale, non è complicato. L’idea di Marx è quella di dimostrare come lo scambio che avviene nel rapporto tra capitalisti e proletari sia viziato, ossia in che modo i primi divengono sempre più ricchi mentre i secondi rimangono costantemente in uno stato di indigenza. Questo rapporto si basa sulla loro cooperazione nella produzione industriale: il capitalista porta come proprio contributo i mezzi di produzione, mentre i proletari, naturalmente, contribuiscono con l’unico contro-valore che possiedono: il proprio lavoro. In cambio del possesso della merce prodotta, il capitalista garantisce ai proletari i mezzi di sussistenza, e proprio qui si colloca – secondo Marx – l’inganno. Ipotizziamo che il valore di tutto ciò che un singolo lavoratore consuma per sopravvivere un giorno (cibo, vestiti, usura degli oggetti utilizzati quotidianamente, medicine, etc) sia 1; il capitalista, in questo caso, gli assicurerà giornalmente una quantità di denaro di valore 1. Ipotizziamo anche che il proletario in una giornata lavorativa produca merci per un valore di 10. Il capitalista dalla vendita delle merci prodotte dal proletario guadagnerà una quantità di denaro di valore 10, ma ne consegnerà come contropartita al proletario un valore pari a 1, avendo così un guadagno ideale di 9 (il quale, naturalmente, è lordo rispetto al valore richiesto dall’acquisto delle materie prime e dal mantenimento dei mezzi di produzione). Per Marx, il divario tra il valore prodotto dalla forza lavoro dei proletari e il valore corrisposto loro dai capitalisti è tale da creare una disparità immensa ed insormontabile. A questo rapporto viziato si aggiungono altre due problematiche che vanno egualmente a discapito del proletario e a favore del capitalista: la trasformazione del denaro in feticcio e l’alienazione prodotta dal lavoro industriale. Se la prima riguarda la percezione di un oggetto esterno come il denaro, la seconda, invece, riguarda propriamente il modo di esistenza del proletario, ossia la propria concezione di sé. Consideriamo come l’artigiano, essendo in possesso dell’interezza della propria arte di produttore, dei mezzi di produzione e del prodotto finale, ritrovava sé stesso nella propria opera. L’operaio, invece, è servo di un processo produttivo che non conosce e non gli appartiene (perché egli si limita a compiere azioni semplici e ripetitive che rappresentano un solo tassello di tale processo), che gli detta i modi e i tempi della sua esistenza durante l’arco della giornata. Inoltre non possiede né i mezzi di produzione né il prodotto finale: non ritrova sé stesso nella sua opera, la percepisce come altra da sé (aliena) e tale percezione si insinua in ogni aspetto della sua vita (relazione con gli altri, relazioni con la realtà naturale, concezione di sé come individuo e come membro della società). Il tempo che il proletario dedica a ciò che gli è proprio come individua, ai suoi affetti, ai suoi interessi, ai suoi svaghi, è percepito sempre in forma negativa: è il tempo-del-non-lavoro, il quale viene sempre regalo sulla base del tempo-del-lavoro e mai viceversa.
Ritornando al tema della «critica critica», per poter comprendere appieno le forme ideologiche composte dalle idee dominanti di un determinato periodo occorre capire che si tratta di manifestazioni consequenziali al ‘processo materiale’ della vita degli uomini, e analizzare in che modo tale processo le possa generare. Allo stesso tempo, la comprensione profonda del mondo non potrà avvenire che attraverso la comprensione del processo stesso e del suo concreto manifestarsi storico-cronologico. Tale modo di procedere ricorda il metodo utilizzato poi da Friedrich Nietzsche nella sua Genealogia della morale. Per Marx, tuttavia, una comprensione, per quanto approfondita e conforme alla realtà, è inutile se non ha come obiettivo una sua concreta trasformazione:
La critica che adempie al suo compito è quella che diviene forza materiale per le masse, le quali potranno utilizzarla per operare quella trasformazione del mondo necessaria ad eliminare le contraddizioni che in esso sono presenti – contraddizioni causate dallo squilibrio ingiusto che si manifesta tra i detentori del potere produttivo e coloro che di tale sistema sono impotenti ingranaggi. La critica può fare questo solo se parla ad hominem, ossia se si manifesta come discorso sull’uomo concreto, sulla sua vita reale e le sue reali condizioni di esistenza e sopravvivenza (e non su astrattezze proprie della sovrastruttura che di questa vita reale è solo un’immagine capovolta).
Concludendo questo breve riassunto della filosofia di Marx, basti aggiungere che la trasformazione di cui lui parla non è un accadimento straordinario, nel senso di una completa rottura rispetto al movimento storico dei processi materiali, ma è già insita in essi. Il sistema economico capitalistico è per sua natura destinato al fallimento e alla scomparsa, per consentire così l’avvento del sistema comunista. Di questo non si potrà parlare qui approfonditamente, ma il punto è importante: la trasformazione è possibile perché è già, in qualche modo, prevista dallo svolgimento storico accaduto precedentemente. Compito della critica è far sì che le masse si impadroniscano della teoria per potersi preparare ad accompagnare, accelerare ed accogliere la trasformazione inevitabile: «Nei segni che confondono la borghesia e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione». [5]
[1] https://lalivellamagazine.com/volonta-e-rappresentazione/
[2] K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. V, Editori riuniti, Roma 1972, p. 44.
[3] Ivi, pp. 22-23.
[4] K. Marx, Critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. III, Editori riuniti, Roma 1976, p. 197.
[5] K. Marx, The People’s Paper, 19 aprile 1856, in K. Marx, F. Engels, Opere complete, vol. XIV, Editori riuniti, Roma 1982, p. 656. Robin Goodfellow è un personaggio della tradizione nordica, un folletto dispettoso che compare nell’opera di William Shakespeare Sogno di una notte di mezza estate. L’immagine della ‘vecchia talpa’ è invece tratta dall’ Atto I, scena V dell’Amleto.