Non possiamo definirci felici, innamorati, appassionati se questo non ci muove all’universale cura verso noi stessi, e questo ‘noi stessi’ altro non è che il Tutto di cui siamo compartecipi.
Se dell’amore vi fosse ancora qualcosa da dire, si dovrebbe dirlo sommessamente.
Nessuna argomentazione è più tollerata ‒ in questo nostro pianeta grigio che mi dissero esser blu ‒, quando si tratta d’amore. Scoperto dunque che quel palpitar del cuore, l’occhio ‘da triglia’ e la guancia arrossata non sono altro che chimica, biologia e psicologia frullati nel grande organo cerebrale, ebbene signori miei, la comprensione di cosa sia Amore viene meno; e con essa la metafisica.
Finisce sempre così con le cose belle!
Eppure non vogliamo arrenderci, giacché oggi il prezzo ci sembra ancora troppo alto. Dunque si fa quel che si deve, quando si entra nelle cocche di situazioni complesse: si media. E la mediazione è un affare delicato, mica zuffe e pan bagnato.
Consci dunque dello scenario clinico non v’è dubbio: non siamo liberi neanche quando ci grattiamo con l’unghia sinistra la narice destra in cerca di finiti tesori.
La grande battaglia contro la specie umana che l’uomo porta avanti a colpi di scienza ‒ di cui siamo tutti ovviamente grandi sostenitori ‒ ha vinto sull’amore; solo potessimo fermarci ad osservare l’assurdo della prima proposizione del precedente periodo, avremmo chiaro dove rischiamo di perdere la bussola.
L’atto stesso della scoperta, che in un precedente editoriale ho definito come il massimo piacere, a cui precede e segue la conoscenza, di certo ci aiuta a identificare le falle del sistema e questo risolve su grande scala i drammi presenti su scale minori; spingendoci ad avere più dignità come umani e ad avere più strumenti per evitare il ripetersi degli errori del passato.
Purtroppo di qui a poco avremo chiaro come sintetizzare la felicità io posso insegnare come stregare la mente e irretire i sensi. Posso dire come imbottigliare la fama, approntare la gloria e finanche mettere un fermo alla morte [2] sia esattamente il processo di magia che cercavamo; ma non è detto che una volta raggiunto, se potessimo osservarci dall’esterno, saremmo così felici di aver dato alla nostra vita il sapore del disinfettante per le mani.
L’amore, infatti, non si manifesta solo nel rapporto con il nostro prescelto ma si dirama in un universale amore che va dal privato del nostro io alla collettività.
Non possiamo definirci felici, innamorati, appassionati se questo non ci muove all’universale cura verso noi stessi, e questo ‘noi stessi’ altro non è che il Tutto di cui siamo compartecipi.
Sotto questa lettura dunque non c’è da meravigliarsi se nel film Matrix, di fronte alla scelta tra la pillola rossa, che rappresenta la scelta di uscire dal sistema di controllo, e quella blu, che rappresenta l’aderenza al sistema stesso, questa ricada proprio sulla pillola rossa.
Perché? Perché una volta compresa la natura ultima delle nostra specie dovremmo aver anche inteso che il trauma, legato alla dimensione del tragico, ha un aspetto fondamentale nella comprensione dell’amore. L’umano ha bisogno di comprendere cos’è il dolore: l’Io, per costituirsi pensante ‒ ed in quanto tale dubitante ‒ deve saper accogliere il peso della vita. Per quanto lo sforzo magico/scientifico si stia adoperando al fine di renderlo leggero, l’essere presi nel mezzo dalla vita deve avere una sua certa gravità affinché si interiorizzi la compassione.
Diversamente, quando avremmo estirpato dalla faccia della Terra l’ultima oncia di fatica del vivere, avremmo compiuto l’ultimo atto che ogni religione propone: il ritorno all’Eden. Eden da cui in primo luogo fuggimmo.
[1] Emanuele Severino https://www.youtube.com/watch?v=RRSzEg-nBQ4
Umberto Galimberti https://www.youtube.com/watch?v=D4j_wWLB1jY
[2] Severus Piton, Harry Potter e la Pietra Filosofale https://www.youtube.com/watch?v=pTaLT0PcGzc