264 vs 214. Il conteggio dei voti ottenuti dai candidati alla presidenza degli Stati Uniti si è fermato da ore. Trump parla di brogli, sostiene di avere le prove, si rivolge alla Corte Suprema. Twitter etichetta i suoi cinguettii come fake news. I giornalisti interrompono i suoi comunicati stampa in diretta per avvertire i propri spettatori che ciò che il loro presidente sta dicendo non ha alcun fondamento. Biden ha praticamente vinto, ma forse non se n’è accorto. Tace. Se parla non dice nulla di concreto. “Sleepy Joe” è quanto di più vicino esista al non-Essere: anche ora che ha vinto, fa sì che si parli solo di Trump.
Due candidati diametralmente opposti, forse. Il primo è vicino a ex senatori segregazionisti, si è opposto alla pratica di desegregazione per promuovere l’integrazione razziale nelle scuole, è accusato di molestie sessuali e/o comportamenti sconvenienti da otto donne, è (era?) inviso al movimento #MeToo, ha votato in senato a favore della guerra in Iraq e ha contribuito a farla iniziare. L’altro al contrario è considerato da tutto il mondo un razzista, misogino-molestatore, guerrafondaio, pericoloso, dai capelli ridicolmente gialli e la pelle arancione. Ah, e sua moglie in realtà guarda con malizia il primo ministro canadese Trudeau.
Ciò che è peggio, ciò che davvero mi è impossibile tollerare, è l’insegnamento moralistico che ci viene propinato dalle star e dai media. L’intellighenzia mondiale sa cosa dobbiamo fare ed è pronta a dircelo per il nostro bene.
Si potrebbe fare un quiz in attesa del grande risultato. Chi ha detto alla radio, durante la campagna elettorale: “se non voti per me, allora non sei nero?” (Biden). Chi si è riferito ad Haiti e El Salvador con l’appellativo “shithole countries” ? (Trump). Chi ha detto ad un comizio: “Bambini poveri, siete brillanti e talentuosi tanto quanto i bambini bianchi”? (Biden). Chi ha invitato i malati terminali a resistere almeno fino al giorno delle elezioni così da poterlo votare?(Trump).
Eppure il mondo dei benpensanti e del politicamente corretto sa esattamente in che direzione polarizzare le proprie accuse. È Trump il nemico da abbattere. Biden è stato assolto, uscito pulito dal giudizio universale come fosse fresco di confessionale. Occorre spazzare la polvere sotto il tappeto per poter combattere il nemico trumpiano che si è deciso a priori essere più colpevole.
Il movimento #MeToo improvvisamente fa dei distinguo nei confronti di Biden. Al motto “believe women” va ora aggiunto un “finché non accusano un candidato democratico”. Biden stesso, nel 2018, diceva: “Se una donna esce alla luce del sole esponendosi a livello nazionale, bisogna partire dal presupposto che l’essenza di ciò che dice è vero”. Occorrerà allora credere a Tara Reade, che lo accusa di averla spinta contro un muro e di averle aperto le gambe per poi palparle i genitali, al tempo in cui lei lavorava nel suo staff di senatore?
Ma per capire ancora meglio la paradossalità della situazione ci viene in aiuto Stephanie Sims, membro del consiglio di “She votes Illinois” (che lotta per la rappresentazione politica femminile). Sims ha infatti dichiarato: “Il comportamento che si presume abbia tenuto (Biden) è imperdonabile”, ma… “questo non cambia il mio voto (per lui)”.
Anche sul fronte razzismo il mondo ha deciso di applicare la solita elegante ipocrisia, così da far passare indenne Biden. Rispolveriamo una foto dell’ex vicepresidente assieme a Obama, mentre i due ridono con complicità a una partita di basket, e ci sentiamo subito col cuore più leggero. Persino Kamala Harris, dopo averlo accusato di un passato razzista, ha poi accettato di essere la sua candidata vicepresidente. Durante le primarie del partito democratico, Harris aveva infatti attaccato Biden. Prima gli aveva rinfacciato la sua vicinanza a due ex senatori segregazionisti, poi ha aggiunto: “Non solo, lei ha anche lavorato con loro per opporsi alla pratica del ‘busing’ [la pratica di integrazione razziale al fine di diversificare la composizione razziale delle scuole]. C’era una ragazzina in California che faceva parte di una classe che doveva ‘integrare’ la sua scuola pubblica. Andava con quel bus a scuola ogni giorno. Quella ragazzina ero io”. Ciò detto, ha finito con l’accettare la candidatura come sua vicepresidente. Una scelta, da parte di Biden, fatta esplicitamente con l’intento di entrare nelle grazie del movimento Black Lives Matter. Biden aveva sempre assicurato che avrebbe preso una donna come sua vice e, dopo le manifestazioni di protesta scoppiate a seguito dell’uccisione di George Floyd, ha scelto di prendere una donna nera. Di più: il nome di Harris viene scritto a grandi lettere in tutti i poster elettorali. Come mai? Perché date le accuse di sessismo e razzismo nei confronti di Biden era bene assicurarsi che tutti potessero leggere che la sua vicepresidente è donna e nera. Tant’è che quando era lui il vicepresidente del governo Obama nei poster elettorali il suo nome era ben meno presente: in fondo si trattava di un uomo bianco, non c’era nulla quindi di cui andare orgogliosi. E allora mi domando: non è un atto peggio che sessista, peggio che razzista, quello di scegliere a priori una donna così da poter sbandierare il proprio progressismo e sceglierla nera al solo scopo di calmare gli animi su possibili tendenze razziste?
In questo scenario ciò che è peggio, ciò che davvero mi è impossibile tollerare, è l’insegnamento moralistico che ci viene propinato dalle star e dai media. L’intellighenzia mondiale sa cosa dobbiamo fare ed è pronta a dircelo per il nostro bene. Un’intellighenzia composta da giornalisti che quattro anni fa prevedevano un trionfo corale di Hilary Clinton su Trump e che fino a pochi giorni fa attribuivano a Biden diciassette punti di vantaggio sull’attuale presidente. Giornalisti che prevedevano la fine del mondo in caso di vittoria di Trump nel 2016. Giornalisti che, dopo averci propinato tali scempiaggini, hanno il coraggio di indignarsi per le parole di Trump e ci spiegano che è un mentitore, creatore di fake news e che chiunque creda alle sue balle è un analfabeta funzionale. Un’intellighenzia composta da star che parlano di ‘prendere a pugni’ Trump o si offrono di praticare una fellatio a chi non dovesse votarlo, ma che si indignano di fronte alla violenza vendicativa del presidente o al suo sessismo.
Lady Gaga ci spiega, da un palco elettorale, che in fondo al nostro cuore sappiamo che Biden è la scelta giusta. Harrison Ford, Beyoncé, Jennifer Aniston, Bella Hadid e tanti altri sono tutti impegnati sui social a ricordarci come dobbiamo votare ‒ e meno male che ci sono loro a spiegarcelo. Il fronte è talmente compatto da aver creato una sorta di caccia alle streghe, che oggi sarebbe più una caccia all’analfabeta funzionale. Non è più possibile dire che si vota o che si preferisce Trump, i cacciatori di analfabeti sono ovunque e comprendono persino persone che nulla vogliono sapere di politica. Se provi a dire che preferisci Trump a Biden il massimo che ti viene concesso è la possibilità di ammettere che stavi scherzando. Poco importa se intellettuali anticonformisti e non a caccia di consenso come Michel Houellebecq siano pro Trump. Meglio affidarsi a Miley Cyrus che piange su Instagram nella veste di maître à penser. Poco importa se Trump si è reso protagonista di un accordo di pace tra Israele e gli Emirati Arabi ed ha scongiurato una possibile guerra con la Corea del Nord. Trump deve rimanere il pazzo in possesso della valigetta con i codici delle testate nucleari.
Io, che credo nell’anticonformismo e nel pensiero controcorrente, decido di salire sul carro del perdente, alla soglia della sua sconfitta. Non tanto per ammirazione nei suoi confronti, quanto per l’insofferenza che nutro verso il pensiero pro-Biden. Se per stare dalla parte giusta della Storia devo fingere di non vedere l’imperatore nudo, scelgo di accomodarmi dalla parte sbagliata.
Per diligenza e su base libertaria rimando alla fine di questa mia riflessione alla lettura di ciò che m’è dissimile eppur fraterno, all’altro da me; il dialogo come prima forma di filosofia è quest’oggi ribadito. Il testo a cui riferirsi è “Il male minore” a cura di Sara Simon.