Di Verità è morto qualcuno

Veronica Berenice
Editoriale

… mentre difendiamo la nostra esperienza del mondo ‒ rifiutando l’altro e la verità che rappresenta ‒ rifiutiamo noi stessi e la possibilità gratuita di imparare da coloro che abbiamo attorno.

Gli esseri umani sono dotati di una memoria magica, capace di dimenticare le esperienze negative e di romanzare i ricordi interpretandoli alla luce delle proprie deduzioni a posteriori. In altre parole se Maria due anni fa non ha ottenuto, durante un esame scritto, il voto che sperava di ottenere, oggi avrà uno sguardo sul suo esame pervaso dalle narrazioni che lei stessa ha, involontariamente, prodotto; potrebbe, ad esempio, aver litigato con la migliore amica la sera prima, aver subito la perdita della nonna nei mesi precedenti e non trovare più un grande stimolo nei suoi studi. 

 La realizzazione postuma che, in quel dato periodo storico, stava attraversando un cambiamento, oggi ci permette di vedere la non riuscita dell’esame come assolutamente ovvia. Maria infatti si è trasferita a Parigi dove lavora come vice direttrice di un’azienda che esporta formaggi; è ormai ben lontana dai suoi studi in psicologia e da quell’esame di Psicologia Dinamica il cui voto l’aveva delusa, ed ha costruito nel tempo una nuova rete di amici.

Solo dopo la laurea ha dunque capito che la sua natura era decisamente più incline ad un lavoro d’ufficio che le permettesse di coltivare le sue passioni nel tempo libero. Inevitabilmente oggi, agli aperitivi con gli amici, Maria racconta del suo esame insoddisfacente, mettendo in discussione, a posteriori, molto della sua vita di quel tempo e probabilmente nel passare degli anni l’aderenza al ricordo è venuta a mancare.

Sulla base di questo anche gli articoli de La Livella, se dovessimo interrogare ognuno dei nostri lettori, avrebbero sfumature diverse e probabilmente prendendo i lati più estremi della nostra curva a campana, ci troveremmo a sentire, di uno stesso articolo, interpretazioni molto diverse. Qualsiasi sia il rapporto che intratteniamo con il prossimo sarebbe preferibile tenere a mente sia la variazione mnemonica rispetto alle esperienze del passato che le inevitabili impressioni ed i pregiudizi sul presente. Ne sono la riprova i detrattori di Trump che oggi si ritrovano ‒ almeno i più onesti intellettualmente ‒ a dare anche dei giudizi positivi sul suo operato; lo stesso può valere per gli appassionati di Berlusconi che ancor’oggi lo sono malgrado tutto o gli elettori della Merkel, che pure qualche anno fa erano perplessi di fronte alle sue dichiarazioni verso l’ambiente Lgbtq+.

Così, nella vita quotidiana, anche chi di noi presta particolare attenzione alle dinamiche sociali perde la pazienza quando si incontrano delle persone eccessivamente rigide ed incapaci di riconoscere la più grande delle verità proprie dell’umano: la Verità, essa stessa, non esiste. Fermo subito scienziati scalpitanti e giuristi impegnati: non è volontà di chi scrive determinare che la proposizione “la Verità non esiste” sia essa stessa una verità applicabile ad ambienti dove la formalità e la rigidità sono necessarie ‒ ma non sufficienti ‒ a costituire sistemi che si pretendano essere universali. La trattazione infatti si muove sul particolare, sul minuscolo spazio vitale di ognuno di noi attraversato di continuo dal rapporto con l’altro da sé. L’altro da sé, come noi, è immerso nella sua peculiare esperienza e dai suoi specifici tempi di comprensione di quel che accade dentro e fuori se stesso.

Almeno delle nostre piccolissime vite ‒ siano ricche di cigni neri o filtrate dalla mediocrità ‒ non deve importare a chi osserva; quel che invece importa è aver messo in ordine la nostra integrità giacché quel che conduce alla xenofobia, su ogni livello, è la paura del contagio. La paura del contagio significa che le persone vedono le loro frequentazioni o già solo i passeggiatori della loro città,  come il loro rimando nel mondo. Dimmi chi frequenti e ti dirò chi sei, nella cultura popolare questa è una verità che viene tramandata e mi trovo in senso ideologico (le applicazioni di un’ideologia non sempre aderiscono all’ideologia stessa) ad essere d’accordo.

 Per quel che concerne però il suo senso più pratico, non c’è che da ammettere che personalità salde potrebbero trovarsi al tavolo della Regina Elisabetta come seduti sulla nuda Terra ed avere lo stesso scopo in fronte a loro: la scoperta.

C’è un amico de La Livella che è solito sostenere che sia la scoperta il piacere più profondo dell’essere umano e mi trovo a difesa di quella tesi almeno rispetto ai contatti con il prossimo.

Nell’applicare il punto di vista dell’astronauta pregherei tutti di non stagliarsi in alto come colonne del tempio dell’Ego, perché mentre difendiamo la nostra esperienza del mondo ‒ rifiutando l’altro e la verità che rappresenta ‒ rifiutiamo noi stessi e la possibilità gratuita di imparare da coloro che abbiamo attorno.

Altro da noi che ‒ per pura casualità? ‒ è l’artefice di tutto quanto presente sulla terra: non esiste un’auto senza un ingegnere e non esiste un tango senza due ballerini, non esiste quadro senza un artista e gli artisti di solito umanamente non sono affatto come li vorremmo.

Quindi considerata l’inaffidabilità della memoria di ognuno di noi, moltiplicata la possibilità di giudizio e razionalizzato che forse il libero arbitrio è ben più complesso di quanto crediamo, mi domando se ‒ piuttosto che incancrenirci nella moralità del bene e del male (continuo a voler parlare con gli umani) ‒, non dovremmo lasciar spazio ad una prova: nell’esperienza quotidiana far crescere dentro di noi un poco di sana pietà cristiana [1] ed abbracciare la possibilità di stare effettivamente tutti mano nella mano nell’ignoranza.

[1] Sebbene la pietà nel senso cristiano sia principalmente un attributo del rapporto del credente con Dio, essa lo dispone anche ad un atteggiamento di delicatezza e di rispetto verso il prossimo come un riflesso del sentirsi figli dello stesso padre. Giovanni Paolo II: Angelus del 28 maggio 1989.

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