Boccioni-
Einstein

Forme uniche della
continuità nello
spazio-tempo

Michele DiEgo
Scienza/Letteratura

Einstein ha dimostrato che se ci si annoia il tempo passa più lentamente mentre se ci si diverte passa più velocemente. Ricordo bene questa frase, l’ho sentita quando avevo circa quindici anni ed ero in gita a Cambridge. La pronunciò la mia guida turistica di fronte al Corpus Clock, l’enorme orologio d’oro su cui un’inquietante cavalletta mangia insaziabile il tempo. All’epoca non sapevo che sarei diventato un fisico, non sapevo che quella frase, in futuro, mi sarebbe parsa un’eresia.

22 aprile 1899, 26 settembre 1905, 11 aprile 1913: tre momenti nel tempo legati a tre opere che parlano del tempo. Il 1905 è l’anno zero, lo spartiacque tra la concezione classica del tempo e quella moderna. È chiamato anche l’Annus mirabilis di Albert Einstein, in cui il fisico tedesco cambia radicalmente la nostra percezione dello spazio, del tempo, della massa, dell’energia. 

L’avanzare dell’uomo crea uno spazio e un tempo nuovi, ricurvi, dinamici, pronti ad apparire e scomparire in esso.

Fino ad allora vigevano le trasformazioni di Galileo per descrivere uno stesso fenomeno fisico da punti di vista diversi (quelli che vengono chiamati sistemi di riferimento diversi).
Immaginiamo per esempio di trovarci nel vagone di un treno in movimento. Se siamo seduti al nostro posto abbiamo la percezione di essere fermi, se camminiamo ci sembra di andare alla stessa velocità con cui ci muoveremmo a terra. Il movimento del treno, per noi, non è percepibile. Esattamente alla stessa maniera in cui non percepiamo il movimento della Terra: nessuno di noi si accorge di orbitare attorno al Sole, né che il sistema solare stesso si muove all’interno della Via Lattea, a sua volta in movimento nell’universo profondo. Ma il capostazione seduto alla stazione dei treni vede noi all’interno del treno in tutt’altra maniera: se noi siamo seduti al nostro posto, il capostazione ci vede muoverci alla stessa velocità del treno, se invece stiamo camminando nel vagone, ci vede muoversi alla velocità del treno sommata a quella della nostra marcia. Se per esempio camminassimo velocissimi, alla stessa identica velocità del treno e nel suo stesso verso di marcia, il capostazione ci vedrebbe muoverci al doppio della velocità del treno (come negli aeroporti, in cui i cosiddetti “marciapiedi mobili” ci consentono di camminare ben più veloci di quanto le nostre gambe ci permetterebbero). Se ci muovessimo alla stessa velocità del treno, ma in senso opposto alla sua direzione di marcia, il capostazione ci vedrebbe fermi immobili (come su un tapis roulant, in cui si corre restando purtuttavia fermi).
Eppure, nonostante i giudizi diversi circa il movimento dei corpi di chi si trova nel treno e di chi sta a terra, tutta la fisica, da qualsiasi sistema di riferimento scelto, si accorda dando sempre risultati univoci: la fisica delle cose non cambia a seconda di dove la si guardi. Le velocità si sommano e si sottraggono in modo tale che ogni spettatore, indipendentemente dal suo punto di osservazione, otterrà gli stessi risultati circa i fenomeni del mondo. Proseguiamo con il nostro esempio: siamo seduti al nostro posto all’interno del treno, ma decidiamo di alzarci e camminiamo per un minuto fino a raggiungere il vagone ristorante. Dal nostro punto di vista, il movimento del treno è stato ininfluente, la velocità delle nostre gambe era l’unica quantità a determinare il tempo impiegato a raggiungere la nostra meta. Ma per il capostazione che ci guarda da terra, man mano che noi camminiamo all’interno del treno, vede il vagone ristorante allontanarsi da noi, essendo anche il treno in movimento. Allo stesso tempo però anche noi, dal suo punto di vista, usufruiamo della velocità del treno per muoverci ben più rapidamente di quanto saremmo in grado a terra, e quindi il risultato netto è che, grazie al perfetto bilanciamento delle velocità, anche secondo il parere del capotreno, ci impieghiamo un minuto per raggiungere il vagone ristorante.
Generalizzando, possiamo dire che l’universo galileiano è un universo in cui ogni spettatore, da qualsiasi sistema di riferimento, può dare un’equivalente descrizione fisica dei fenomeni. La fisica descrive la storia inequivocabilmente e univocamente. Lo spazio è concepito come qualcosa di statico, rigido, come una immaginaria intelaiatura di acciaio immobile e immutabile, all’interno della quale gli oggetti si spostano. E questo spostarsi è scandito da un unico, universale ed immutabile metronomo che è il tempo assoluto, immaginato come un’entità al di fuori dello spazio.

22 aprile 1899 – epoca pre-Annus mirabilis, Biennale di Venezia
Gaetano Previati espone l’opera “La danza delle ore”. Il quadro mostra un globo terrestre circondato da dodici gigantesche figure femminili; gigantesche ma leggiadre, in un volo armonico attorno al cosmo illuminato potentemente da un Sole lontano. Mentre danzano, le donne reggono sulla punta delle dita un grande cerchio dorato. Le figure rappresentano le ore nella loro danza ciclica, il cerchio rappresenta il tempo, come fosse il meccanismo di un orologio. E queste ore danzano sul globo terrestre senza subirne alcuna influenza, lo attorniano, lo dominano. C’è gioia nel loro ruotare perpetuo e inesorabile. È il tempo assoluto di Galileo, la cavalletta che mangia le ore crudelmente, insaziabilmente, il metronomo che fa procedere tutto allo stesso ritmo.

26 settembre 1905, Annalen der Physik (Germania)
Albert Einstein, il suo Annus mirabilis. l’anno zero del tempo. Il fisico tedesco pubblica l’opera “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, passata alla storia col nome di “Teoria della relatività speciale”. Il primo postulato della teoria rompe completamente con la fisica nota fino a quel tempo: la velocità della luce è la stessa in ogni sistema di riferimento. Che cosa significa dunque? Tornando al nostro treno, se siamo seduti all’interno del treno in movimento e accendiamo un fascio laser, lo vediamo viaggiare a trecentomila chilometri al secondo. E il capostazione seduto alla stazione dei treni? Anch’esso vede il fascio muoversi a trecentomila chilometri al secondo. A differenza di quanto avveniva con la nostra velocità di camminata, non vi è alcuna somma tra la velocità del fascio laser e quella del treno in moto. E allora ecco che se per noi, seduti a bordo del treno, la luce ha impiegato un certo tempo per arrivare fino al vagone ristorante, per il capostazione ci avrà impiegato un tempo maggiore in quanto, mentre la luce si muoveva, anche il treno stava procedendo in avanti. Due osservatori diversi hanno sancito che il tempo necessario affinché uno stesso evento accada (l’arrivo del fascio laser al vagone ristorante) non è univoco, dipende da dove si è guardato il fenomeno. E quale dei due ha ragione? Entrambi: la fisica relativistica perde la sua assolutezza.
Si può essere portati a pensare che questo sia un effetto dovuto alla immaterialità della luce, che la rende completamente diversa da qualsiasi altro oggetto in movimento. Niente di più sbagliato. La verità è che in nessun caso, per nessun corpo, materiale o immateriale, le leggi di somma delle velocità di Galileo sono corrette. Semplicemente tanto più le velocità in gioco sono prossime a quelle della luce, tanto più l’errore diventa evidente. Per velocità basse, come un uomo che cammina o un treno che si muove, è impossibile accorgersi dell’effetto relativistico, e certamente Galileo non poteva accorgersene con gli strumenti del suo tempo. Ma se un uomo potesse camminare a velocità simili a quelle della luce, l’effetto sarebbe lo stesso del fascio laser.
L’esempio citato può sembrare una bizzarria senza conseguenze, un paradosso che si può ignorare, ma in realtà esso è solo uno degli infiniti colpi di scena che la relatività di Einstein comporta. Colpi di scena che riguardano qualsiasi oggetto in movimento a qualsiasi velocità, ma i cui effetti iniziano a diventare non trascurabili solo a velocità elevatissime.
L’universo concepito da Einstein è un universo in cui si perde il concetto di simultaneità degli eventi: due eventi possono accadere contemporaneamente in un sistema di riferimento e sfasati in un altro. Il tempo stesso rallenta per i corpi in movimento: più velocemente si muove un corpo, più il suo tempo rallenta. Le lunghezze non sono più assolute: un corpo si accorcia tanto più la sua velocità è elevata, e non si accorcia per un effetto di compressione, ma perché è il suo spazio geometrico stesso a contrarsi. La massa di un corpo diventa funzione della sua velocità: tanto più un corpo è veloce tanto più la sua massa aumenta, rendendo la sua accelerazione sempre più difficile. Qualsiasi corpo dotato di massa, se accelerato alla velocità della luce, avrebbe massa infinita (e infatti ogni particella che si muove alla velocità della luce non è dotata di massa). In stato di quiete, ogni corpo ha un’energia enorme derivante dal solo fatto di possedere una massa (E=mc2).
E si potrebbe continuare con esempi apparentemente paradossali per ore. Immaginiamo due fotoni (le particelle che compongono la luce) che si rincorrono. Un osservatore esterno vedrebbe le due particelle muoversi alla stessa velocità e quindi il fotone più indietro non sarebbe mai in grado di raggiungere quello più avanti. E se spostassimo l’osservazione sui due fotoni, immaginando di poterli cavalcare? Se ci sedessimo sul fotone più indietro, il nostro fotone sarebbe fermo rispetto a noi, e il fotone che ci è davanti si muoverebbe a trecentomila chilometri al secondo: scapperebbe da noi in un istante, aumentando via via la distanza che ci separa. E se ci mettessimo sul fotone più avanti? Noi saremmo fermi sul fotone, e vedremmo l’altro fotone arrivarci addosso alla velocità della luce. Quindi in tre sistemi di riferimento diversi vedremmo: i due fotoni rincorrersi all’infinito sempre alla stessa distanza; il fotone più avanti scappare velocissimo da quello più indietro, aumentando in ogni istante il vantaggio che ha su di esso; il fotone più indietro raggiungere rapidissimamente il fotone più avanti. Tre visioni totalmente opposte tra loro, nate da tre prospettive diverse, tutte e tre ugualmente valide.
Di più. Per la fisica, il moto è sempre relativo: se noi siamo seduti all’interno di un treno in movimento possiamo descrivere la situazione come se il treno fosse fermo e fosse il resto del mondo a muoversi contro di lui. Per Einstein ciò si traduce nel fatto che se noi vediamo un corpo muoversi (e per il quale quindi il tempo scorre più lento, le lunghezze sono accorciate, la massa aumenta), quel corpo vede noi muoverci con la stessa velocità in direzione contraria e quindi, per lui, siamo noi che abbiamo un tempo più lento, le lunghezze più accorciate e una massa aumentata.
È difficile per noi concepire tutti questi fenomeni apparentemente insensati. Non siamo progettati per intuirli. La nostra vita quotidiana è costituita di corpi che si muovono a velocità sufficientemente basse da permetterci di ignorare tutti i fenomeni relativistici e di lasciarci vivere con una forma mentis plasmata su un’approssimazione, quella di Galileo. Eppure siamo noi che viviamo nell’errore, nonostante questo errore sia infinitesimale per le velocità a cui siamo abituati. L’universo di Einstein invece trascende il nostro pensare comune, ma è enormemente più aderente alla verità della natura rispetto a quello di Galileo. L’universo einsteiniano è un universo in cui lo spazio e il tempo sono fusi assieme a creare un tessuto spazio-temporale dinamico, perennemente soggetto ad allungamenti e contrazioni. Il tempo è una variabile locale, non assoluta come in precedenza. Ogni osservatore possiede uno spazio e un tempo proprio, non esiste più alcun metronomo assoluto, non esiste più alcuna danza delle ore.

11 aprile 1912 – epoca post-Annus mirabilis, Milano
Umberto Boccioni pubblica il “Manifesto tecnico della scultura futurista”. Al suo interno si leggono frasi come: “Non ci può essere rinnovamento alcuno in un’arte se non ne viene rinnovata l’essenza, cioè la visione e la concezione della linea e delle masse che formano l’arabesco”. E ancora: “Noi dobbiamo partire dal nucleo centrale dell’oggetto che si vuol creare, per scoprire nuove leggi, cioè le nuove forme che lo legano invisibilmente ma matematicamente all’infinito plastico apparente e all’infinito plastico interiore”.
Boccioni cerca un’innovazione tout court, un cambio di paradigma che sgretoli il passato. E tale innovazione avviene secondo i canoni futuristici e quindi di dinamismo, velocità, vibrazione. La sua è una rivoluzione analoga a quella applicata da Einstein in un campo diverso. Non posso dire che Boccioni conoscesse sufficientemente le teorie di Einstein da esserne influenzato direttamente, ma evidentemente l’artista sentiva un’affinità istintiva -seppur inconsapevole- tra il tessuto spazio- temporale einsteiniano e il mondo futurista in cui egli voleva proiettare la sua arte.
Ed ecco che in effetti la scultura “Forme uniche di continuità dello spazio” è una rappresentazione formidabile del nuovo spazio-tempo. La scultura (rappresentata anche sul retro dei 20 centesimi di euro italiani) mostra un uomo in movimento, meglio: il movimento di un uomo. È il movimento ad essere il vero protagonista dell’opera, l’uomo non è che la sua sorgente originale relegata in secondo piano. Il movimento deforma lo spazio, descrive superfici e volumi che nascono dal movimento stesso e si ripiegano in esso. L’avanzare dell’uomo crea uno spazio e un tempo nuovi, ricurvi, dinamici, pronti ad apparire e scomparire in esso. L’opposto esatto de “La danza delle ore” di Previati: nell’epoca post-1905 Boccioni intuisce che anche nell’arte non vi è più uno spazio rigido, indeformabile, con tempo comune, esterno al mondo; è l’individuo, il singolo a generare il proprio universo spazio-temporale. Di più: l’individuo stesso si divide in muscoli, arti, in un’infinita continuità di punti, il movimento, non essendo uniforme, crea nuovi tempi e nuovi spazi diversi in ogni punto. L’individuo è attraversato da infiniti microcosmi spazio-temporali che nascono e implodono nel movimento: una guerra infinitamente complessa in cui siamo costantemente immersi. Einstein è riuscito a descrivere in termini matematici la guerra, Boccioni è riuscito a scolpirla.