Zoologia
familiare

Orgoglio e Pregiudizio

Gabriele Dessin
Letteratura

     In ogni famiglia vi sono dei parenti che hanno l’innata capacità di essere in pari misura divertenti ed imbarazzanti. Solitamente il divertimento si manifesta in privato, mentre è matematico che i momenti imbarazzanti accadano sempre in pubblico, e quando meno lo si vorrebbe. Immaginiamo di essere persone dall’intelligenza brillante – per alcuni di noi sarà più facile che per altri –, di avere abbastanza buonsenso da riconoscere quando si sta ridendo di noi, e di vivere nella campagna dell’Hertfordshire in pieno Ottocento, abbastanza benestanti da non dover lavorare, ma troppo poveri per essere al riparo dai giudizi taglienti del vicinato; solo così potremo capire la particolare situazione in cui si trova Elisabeth Bennet.

     La famiglia Bennet si compone di cinque ragazze in età da marito, due genitori, un cugino prete, uno zio commerciante e il piacere di intrattenere relazioni con ben ventiquattro famiglie del vicinato. Nove persone in totale che costituiscono, da sole, un intero catalogo zoologico della varietà umana. E ciò che non si trova in famiglia può essere facilmente recuperato a mezz’ora di camminata verso la tenuta di Netherfield Park, o verso il provinciale villaggio di Meryton. Non a caso ho usato i termini ‘catalogo zoologico’, perché il loro essere personaggi letterari nati dalla penna di Jane Austen ci consentirà di passeggiare tra loro ed osservarli come affascinanti specie animali senza venir meno alla comune sensibilità che duemila anni di Cristianesimo impongono alla nostra coscienza – si intende ovviamente la sensibilità che abbiamo sviluppato malgrado la religione, e pertanto senza il santo giudizio e la sacra condanna.

In realtà questa è la condizione naturale della stupidità: è, per chi ne soffre, totalmente asintomatica

     Nel rispetto della doverosa rivendicazione odierna delle pari opportunità di genere, partiamo dalla padrona di casa, Mrs. Bennet. Nella sua, davvero poco pietosa, targhetta informativa troviamo scritto: “era una donna di meschino comprendonio, di scarsa cultura, di umore instabile. Quando non si sentiva soddisfatta, si metteva in testa di essere nervosa. Non aveva altra mira nella vita che quella di maritare le figlie; nessun altro svago che le visite e le notizie fresche”. [1] Davvero stupisce tanto accanimento: si tratta di una donna con cinque figlie femmine, una cuoca, dei domestici, e un patrimonio vincolato, alla morte del marito, ad un lontano parente di lui; non stupisce quindi che la sua primaria occupazione sia quella di maritare le sue fanciulle il prima possibile. La sola idea di un matrimonio, più o meno vantaggioso, è sufficiente a risvegliare in lei gli ardori e l’energia della prima giovinezza. Il minimo intoppo nei suoi progetti può gettarla in un tale stato di abbattimento da far disperare per la sua stessa salute. Possiede inoltre una coerenza straordinaria, virtù che sa elevare a forma d’arte: può discutere per ore con qualcuno senza mutare di una virgola le sue idee, il ché quasi sempre equivale al non aver ascoltato una singola parola. Allo stesso tempo è totalmente lontana da qualsiasi tipo di irrigidimento mentale: una singola informazione captata e interpretata a suo piacere può farle abiurare le convinzioni di tutta la sua vita precedente.

     In Mr. Bennet, invece, troviamo un contraltare così perfetto alla moglie da far dubitare del reale motivo di una simile unione: a volte sembra provvidenza, altre uno scherzo del destino. “Il signor Bennet era un così curioso miscuglio di prontezza di spirito, di sarcasmo, di riserbo e di capriccio, che l’esperienza di ventitré anni non era bastata a sua moglie per capirne il carattere”.[2] Altro modo per dire che il segreto di un lungo matrimonio è la capacità di saper sempre stupire il coniuge, e rifuggire la monotonia della propria trasparenza e prevedibilità. In effetti Mr. Bennet aveva chiesto la mano di sua moglie “affascinato dalla gioventù e dalla bellezza, e da quell’apparenza di buon carattere che la gioventù e la bellezza per solito conferiscono”,[3] ma ben presto l’illusione ha lasciato il posto ad una più lucida visione della realtà. Tuttavia non bisogna immaginarsi che questo l’avesse gettato in uno stato di afflizione permanente. Egli invece “Amava i libri e la campagna e da questa passione erano derivati i suoi massimi godimenti. Verso la moglie non si sentiva per nulla in debito se non per quel contributo allo spasso che l’ignoranza e la vacuità di lei gli avevano apportato. Non è questa la specie di soddisfazione per cui un uomo si augurerebbe d’essere grato alla sua consorte; ma, ove manchino altre possibilità di divertimento, il vero filosofo trarrà beneficio da quelle che gli sono offerte”.[4]Per nostra fortuna possediamo un’arguta osservazione che racchiude in brevità tutta la filosofia di questo saggio uomo: “A che scopo dobbiamo vivere se non per essere presi in giro dai nostri vicini e ridere di loro a nostra volta?”.[5]

     Quando si è figli maggiori vi sono solo due modi per scongiurare qualsiasi attentato ai diritti della propria primogenitura: diventare tiranni o santi. Sono lieto di dire che Jane Bennet – o Miss Bennet – ha scelto decisamente la seconda via. In lei la bontà e la fiducia nel prossimo spesso superano quella sottilissima linea che divide la virtù dall’imbecillità. Ma soppesata con cura ogni sua azione non si può che riconoscerle una delicatezza di sentimenti che la pone al di sopra di qualunque sospetto circa la sua mancanza di senno. La sua bellezza è cosa nota e da tutti ammirata, ma più interessante è l’opinione che di lei ha la sorella Elisabeth: “Oh, tu sei fin troppo ben disposta, lo sai, nei riguardi del tuo prossimo, in generale! Non trovi mai da ridire sul conto di nessuno; ai tuoi occhi, tutti sono buoni e simpatici. Non ti ho mai sentito parlare male di un essere umano in vita mia”. [6] Se si vuole esser santi, meglio esserlo fino in fondo o si rischia di partire per il paradiso e trovarsi in purgatorio, ovvero da qualche parte in provincia. E allora per scongiurare questo triste scenario meglio credere sinceramente che i politicanti siano in buona fede, che i soldi non facciano la felicità e che il mondo sia pieno di persone bionde naturali.

     Elisabeth Bennet è senza dubbio la figura portante dell’idillio familiare. Si tratta di una giovane educata, avveduta, colta e piena di buon senso, tanto da impiegare ben quattrocento pagine per liberarsi dal pregiudizio di una prima impressione – e ben si sa cosa pensava Wilde delle prime impressioni. Il suo punto di forza è sicuramente quello di saper trovare il lato comico delle situazioni – non per nulla il padre l’adora e la madre l’ignora. Tuttavia in questa abilità non giunge fino alla maestria paterna, tanto che soffre vivamente del ridicolo di cui si coprono così spesso i suoi familiari in società. Nonostante tutto riesce a scansare l’interesse di ben due improbabili corteggiatori – uno dei quali giunge fino alla proposta di matrimonio – e ad accasarsi con lo scapolo più ricco ed avvenente che abbia mai messo piede nella contea: se non è buon senso questo, mi si dia una definizione più adeguata! I suoi patimenti sono vivi quanto la sua grande sensibilità e vengono acuiti da una spiccata intelligenza. Non a caso questa è l’essenza stessa dell’intelligenza: accresce i dolori e stempera le gioie; alcuni di noi potranno facilmente sperimentarlo.

    A proposito di intelligenza, vi è una sola cosa al mondo più biasimevole dell’essere stupidi, ed è essere stupidi con la convinzione di non esserlo. In realtà questa è la condizione naturale della stupidità: è, per chi ne soffre, totalmente asintomatica. Tuttavia alcuni ne sono così poco avveduti da tentare, con encomiabile diligenza, di ammantarsi d’un’aria di riflessività, cultura e saggezza. Mary Bennet è il dipinto vivente di questa tipologia d’esseri. Troppo brutta, rispetto alle sorelle, per prevederle un matrimonio conveniente, è inesistente per la madre. Troppo sciocca per essere interessante, e troppo pedante per essere divertente, è ignorata dal padre. Lei ama sopra ogni cosa i libri che promettono un innalzamento morale, ma è ben dubbio che essi amino altrettanto lei. La sua figura è così triste e, ahimè, comune, da suscitare una tale compassione che non ne dirò più oltre.

     Molto spesso nelle famiglie numerose la quantità di carattere disponibile non è sufficiente per fornire ogni figlio della sua personalità individuale: Catherine (Kitty) e Lydia Bennet sono il prototipo di questa incresciosa situazione. Pertanto parlerò di Kitty, e voi potrete duplicare quanto detto per Lydia. Catherine è il più meraviglioso esempio di civetta che si possa immaginare. Essa porta al suo vertice l’ossessione materna per il matrimonio, ma prendendola con tutta la calma necessaria. Dopotutto vi sono così tanti uomini al mondo da corteggiare e da cui farsi corteggiare, che sarebbe sintomo di un animo ben poco compassionevole il non accontentarne quanti è possibile senza diventare una poco di buono. La principale disgrazia della sua esistenza – l’arrivo a Maryton di un reggimento di milizia con tutta la sua compagine di ufficiali – è per lei il più grande segno della benevolenza divina. La giovane Kitty insegue le brache degli ufficiali tanto quanto essi inseguono la sua gonna – mi si conceda questa piccola licenza poetica. Riesce nell’impresa di innamorarsi di uno loro – George Wickham: corruttore, giocatore d’azzardo, bugiardo, intrigante e pieno di debiti – fugge con lui a Londra, costringe la famiglia ad una ricerca disperata, viene salvata dall’intervento di Mr. Darcy (che odia Wickham più di ogni altra persona al mondo) e da una sua generosa offerta economica, sposa l’amato ed infine, prima di essere mandata in esilio nel nord, torna a salutare i genitori e le sorelle con la gioia di chi abbia visto avverarsi tutti i suoi sogni e la malizia della sorella minore che riesce a sposarsi prima delle maggiori. È il trionfo del pragmatica sul pensiero. Inutile dire che entrambi i signori Bennet dichiareranno poi che Mr. Wickham è il migliore dei loro generi – a voi indovinare chi dei due sia ironico.

     Ed ora vi sarebbero ancora tante e tali meravigliose figure da conoscere che non potreste immaginarle mai. Il reverendo Collins, esempio di come la vocazione religiosa sia utile allo spirito solo se l’essere umano di partenza non abbia la razionalità di un calesse; Lady Chaterine de Bourgh, zia di Mr. Darcy, dimostrazione che i soldi potranno pure dare la felicità ma non l’eleganza e le buone maniere; l’adorabile e influenzabile Mr. Bingley, e le sue sorelle – non tutte le serpi vivono nei prati; la famiglia Lucas, i signori Gardiner, Mrs. Philips…

Purtroppo, però, mi trovo a corto di spazio – a dir la verità ne ho già preso più di quanto mi spettasse – e soprattutto di proposizioni intelligenti – o che almeno sembrino tali.

Pertanto non posso che attendervi tra le pagine di Orgoglio e Pregiudizio, questa straordinaria opera di una meravigliosa scrittrice che ha costituito la forma stessa del romanzo inglese contemporaneo e che merita un posto nella nostra libreria e, soprattutto, nella nostra memoria.

[1] Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio, BUR, Milano 2009, Capitolo Primo, p. 41.

[2] Ibidem.

[3] Ivi, Capitolo Quarantaduesimo, p.256.

[4] Ibidem.

[5] Ivi, Capitolo Cinquantasettesimo, p. 368.

[6] Ivi, Capitolo Quarto, p. 50.

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