Vincolo
d'unione

Escher e l'origine
della complessità

Nausica Manzi
Filosofia

Ognuno è un vincolo d’unione, un legame incarnato di pelle che, come nei disegni di Escher, si trasforma in buccia d’arancia senza inizio e senza fine, in scala che confonde, panorama che illude o in un elemento libero ma legato all’altro da sé.

Una società nel bel mezzo di scale che scendono ed insieme salgono, sopra scivolosi e fragili pavimenti che sono soffitti di libertà e contemporaneamente tetti claustrofobici; un’umanità persa tra oggetti dello spazio che diventano specchi che ingannano ma che permettono di ritrovare se stessi; un intero mondo sospeso tra corpi e menti meravigliosamente diversi, ma scomposti ed intrecciati come buccia d’arancia arrotolata. Complessità di Escher, complessità del reale.

Utilizzata linguisticamente in ambiti diversi, la parola ‘complessità’ esprime la caratteristica di ciò che è composto di più parti diverse, ma in grado di interagire tra di loro. Elementi contrastanti che vengono in contatto e lottano. La complessità fa paura e viene associata a confusione ed angoscia, eppure essa indica una strada per reinventare la realtà. Tra possibile ed impossibile, il geniale artista olandese Maurits Cornelis Escher, con i suoi lavori, vuole aprire questa strada indicandone origine e senso. Dunque qual è l’origine della complessità? Come interpretarla?

La complessità si pone come impossibilità di risoluzione e semplificazione, in particolare emerge come inedito, disordine, incertezza e dilemma. Questo rivela una profonda crisi cognitiva, una difficoltà estrema della mentalità contemporanea di accettare ed educarsi a tale caratteristica: tutto risulta intrecciato e difficile in un’ecumene che si amplia costantemente. Complesso non significa però complicato, ovvero somma di parti, ma indica elementi diversi che sono in relazione. Dunque, ecco ciò che bisogna prendere in considerazione: la relazione. Nel superare il determinismo classico, difatti, i disegni di Escher evidenziano come, tra elementi diversi, vi sia una circolarità continua ed inoltre come la complessità riveli il senso profondo del nostro tempo. Senso che è incerto perché niente è prevedibile, contraddittorio perché ogni elemento del reale è qualcosa di più di ciò che semplicemente appare ‒ è tutto e il contrario di tutto ‒ ed infine, emergente perché, in ogni intreccio, vi è qualcosa che si muove sotto, che l’origina. 

Vi è dunque un’origine della complessità. Scovarla è la sfida che Escher lancia, facendosi maestro e promotore di quella bellezza dell’occhio che pensa :

“Mi è accaduto durante le passeggiate solitarie per i boschi[…]di fermarmi di colpo sui miei passi, colto da una sensazione allarmante, irreale e allo stesso tempo deliziosa: mi trovavo faccia a faccia con l’inspiegabile. Quell’albero davanti a me, come oggetto, come parte dei boschi, può non essere sorprendente. La distanza, lo spazio, che è tra di noi sembra, comunque, improvvisamente enigmatica. Non conosciamo lo spazio. Non lo vediamo, non lo ascoltiamo, non lo sentiamo. Siamo in mezzo a esso, ne facciamo parte, ma non ne sappiamo nulla[…]Vedo solo frontiere, segni; non vedo lo spazio vero e proprio. Il vento che soffia sul mio viso pungendomi la pelle, non è spazio. Quando tengo un oggetto tra le mani, non sento l’oggetto spaziale in sé. Lo spazio resta impenetrabile, un miracolo”.[1]

La realtà è quindi un miracolo, sistema complesso, composto di elementi la cui relazione è caratterizzata dalla non-linearità ed in grado di produrre un comportamento emergente, nel senso di non prevedibile o derivante dalla semplice somma delle parti che lo compongono: «è il miracolo di quella stessa tridimensionalità dello spazio in cui giorno per giorno arranchiamo, come se spingessimo la macina di un mulino»[2]. Un miracolo di complessità abbraccia e coinvolge quindi esseri umani e mondo intero: ognuno è un vincolo d’unione, un legame incarnato di pelle che, come nei disegni di Escher, si trasforma in buccia d’arancia senza inizio e senza fine, in scala che confonde, panorama che illude o in un elemento libero ma legato all’altro da sé. L’altro limita nei movimenti, ma è paradossalmente l’unico mezzo che permette ‘coscienza’ dello spazio-mondo, ecumene che divora, che è pavimento ma soffitto, profondità e superficie, punto focale e perdita di orizzonte, disegno a matita e anima che prende vita: «il miracolo che chiamiamo ‘realtà’ riguarda da vicino la nostra coscienza di spazio»[3]. L’origine della complessità va dunque individuata in questo miracolo

Filosoficamente l’origine, principio o archè, è fondamento ontologico ed anche causa costitutiva. L’origine è quindi la radice di senso, il nodo principale da dove prendono vita intrecci di corpi ed anime, di realtà e finzione, di bene e male. Vorrei però soffermarmi su uno dei tanti significati che il termine archè ha in greco: quello di ‘stato’. Oltrepassando il suo senso comune, esso arriva a significare anche stato d’animo, ovvero principio dell’interiorità, modo con cui l’esterno si riflette in me e viceversa: indica cioè una relazione complessa tra un esterno ed un interno. L’origine è uno stato di relazione. Nei suoi giochi grafici, Escher rende palese a tutti questo tipo di origine.

L’origine della complessità è dunque uno stato d’animo fatto di contrasti in lotta, in relazione quindi, che, rapendo l’interiorità, dà vita ad un’armonia disordinatamente straordinaria. E quale è questo stato d’animo se non la meraviglia? La meraviglia è principio dell’interiorità e dell’esteriorità, dimensioni fuse insieme, quindi origine della complessità. In quanto produce un disordine armonico nell’interiorità e un’azione consapevole nella realtà, la meraviglia genera un miracolo. Tramite essa, seppur intrecciato, perso tra dubbi ed illusioni, ognuno si scopre pensante, quindi vivo: questa è la ‘bellezza dell’occhio che pensa’, risposta che Escher consegnava sempre a chiunque gli chiedesse quale fosse il senso delle sue opere: «Le idee che stanno alla base delle mie opere derivano dalla mia ammirazione e dal mio stupore nei confronti delle leggi che regolano il mondo in cui viviamo. Chi si meraviglia di qualcosa si rende consapevole di tale meraviglia»[4]. Escher perseguiva la meraviglia riposta in ogni vincolo d’unione della complessità. La complessità è custode d’essenza.

L’intera realtà contemporanea è quindi un miracolo e sconvolgente disegno di Escher. Fermi al non capire, al perdersi nelle prospettive illusorie, tutti però si focalizzano a guardare i nodi in quei paradossi senza inizio e senza fine. Il riconoscimento poi però avviene e salva. Difatti, quando la meraviglia interviene a lasciare senza fiato, a generare sorrisi e rughe di dubbi o anche ad arrendersi al mistero, accade il miracolo: accendendo, in modi diversi, pensiero e vita assopita, quello stato d’animo diviene principio dell’interiorità ed insieme dell’esteriorità. Ognuno si scopre vincolo d’unione di respiri, pensieri e passi, occhi che sanno pensare ed inventare. 

Attraverso la meraviglia, si scopre il senso che risveglia e cambia prospettiva, esattamente come lo scheletro che Escher disegna nella pupilla dell’occhio, fermo a ricordare allo spettatore che è fusione di contrasti e che deve smetterla di lamentarsi ed odiare la complessità, rimanendo inerme, ma impegnarsi a far vivere quei contrasti, sorprendendosi della disordinata armonia che generano. L’essere umano deve ‘venir fuori’, farsi segno di contraddizione come gli animali che Escher tirava fuori dai suoi disegni di forme statiche: «La macchia piatta mi irrita[…] ‘Sei troppo finto, per me; te ne stai lì immobile e saldamente incastrato; fai qualcosa, vieni fuori mostrami di che cosa sei capace!’. Così permetto loro di saltar fuori dal piano»[5].

Mondo ed umanità sono dunque vincolo d’unione, vincolo di complessità, la cui origine è un miracolo d’esistenza generato dalla meraviglia che sconvolge, ma fa tornare a respirare e a pensare. 

[1] Maurits Cornelis Escher, L’impossibile in Esplorando l’infinito, Garzanti, Milano 1991, p.151.

[2] Ivi

[3] M.C. Escher,La divisione regolare del piano, 1958, in Esplorando l’infinito, cit., p. 132

[4] M.C. Escher, Grafica e disegni, Taschen, Köln, 1992, p. 6.

[5] M.C. Escher, La divisione regolare del piano, cit., p. 132.  

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