Una statua
per la prima donna d’Italia:
Cristina Trivulzio

Gisella Lombardi
Letteratura

Quando arriva a Parigi la sua figura è già ammantata di leggenda: la bellissima principessa dalla fragile salute che si oppone ad un nemico tanto più grande di lei e ad un fato che non accetta.

La principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, eroina del Risorgimento, è la prima donna a cui viene dedicata una statua a Milano. Una rarità, in effetti, in tutto il Paese. Si contano sulle dita di una mano le donne ricordate in questa maniera. Quasi ci provoca, la scritta sul piedistallo: “Vogliano le donne felici e onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità!” Sono passati 150 anni dalla sua morte, che all’epoca passò in sordina. Sembra quasi volersi alzare dal suo sedile in bronzo, la principessa Belgiojoso, lo sguardo sicuro, nella mano una penna e della carta. Seguiamola, quindi, e scopriamo perché lei è una di quelle donne che dovremmo ricordare con gratitudine.

Se il titolo nobiliare suggerisce una fiaba, la vita di Cristina somiglia più ad un romanzo d’azione. Una donna dall’intelligenza vivace e dall’altrettanto spiccata caparbietà a 16 anni decide di sposare contro il volere di tutti il principe Belgiojoso. Lui, noto dongiovanni, riprende ben presto le sue vecchie abitudini,e contagia Cristina con la sifilide, aggravando così ulteriormente la sua già precaria salute. Determinata a non subire ulteriori umiliazioni Cristina chiede la separazione. Ed è qui che la sua vita inizia a divergere dal percorso tracciato, quello che tutti si aspettavano: un marito, una famiglia, i pettegolezzi della nobiltà milanese.
Per superare il fallimento del matrimonio parte, va a Genova, Napoli, Roma, Firenze e mentre viaggia scopre l’Italia, la sua patria, e se ne innamora. Inizia a sognare un’Italia libera ed unita e sorge in lei un vivo interesse per la politica. I suoi spostamenti insospettiscono le autorità austriache, ritengono che sia coinvolta in attività sovversive e quindi la mettono sotto osservazione. Infine le intimano di tornare a Milano ma lei si rifiuta. Viene quindi emesso un mandato di arresto con l’accusa di alto tradimento. Nella notte del 17 novembre 1830 Cristina fugge, attraversando un fiume, per cercare rifugio in Francia, cambiando per sempre la propria vita.

Quando arriva a Parigi la sua figura è già ammantata di leggenda: la bellissima principessa dalla fragile salute che si oppone ad un nemico tanto più grande di lei e ad un fato che non accetta. Troppo orgogliosa per voler dipendere dai suoi amici, conosce per la prima volta la povertà. Tutto il suo patrimonio è sotto sequestro e si guadagna da vivere dipingendo e scrivendo per alcuni giornali. Diventa famosa come fervente sostenitrice dell’Unità italiana. Il generale Lafayette la prende sotto la sua protezione e riesce a farle ‘scongelare’ i beni. Dal 1853 il salotto di Cristina Trivulzio è il più importante punto di incontro tra la cultura francese e quella italiana. Tantissimi i suoi ospiti celebri: Cavour, Massari, Mamiani, Listz, Bellini, Chopin, Balzac, politici, studiosi e artisti. Indossava vestiti stravaganti, discuteva con gli uomini di storia e politica. Anche la sua vita amorosa è estremamente chiacchierata: le vengono attribuiti tantissimi amanti di ambo i sessi. Nel 1838 rimane incinta e scopre nella maternità un nuovo tipo di amore. Sempre nello stesso anno un’amnistia generale le permette di tornare in patria. Per ripararsi dai pettegolezzi si rifugia in campagna nella sua tenuta di Locate.
Qui rimane profondamente scioccata dalle pessime condizioni di vita dei contadini. Non è nella sua indole osservare la sofferenza altrui senza cercare di aiutare, perciò introduce nuove norme igieniche e si occupa personalmente dei malati. Fonda delle scuole per i bambini e i ragazzi. In pochi anni Locate diventa una comunità modello. Purtroppo i difficili rapporti con il governo austriaco le impediscono di espandere le sue innovazioni oltre la sua tenuta e i suoi vicini temono le sue idee. Il suo essere donna le impedisce di fare una carriera politica tradizionale. Trova quindi uno sfogo per il suo interesse politico nel giornalismo. Fortemente convinta che il progresso si ottenga tramite l’informazione e l’educazione del popolo, vede nei suoi scritti uno strumento di cambiamento. Durante questi anni fa avanti e indietro da Parigi e lavora come giornalista. È la direttrice del primo giornale politico italiano, ed è a colpi di penna che continua la sua battaglia per l’Unità d’Italia.

Nel 1848 la rivoluzione è nell’aria. Cristina intraprende un secondo giro d’Italia: questa volta non è una donna dal cuore infranto, ma un’attivista politica. Tutti la vogliono sentir parlare ed è sommersa dagli impegni. Nelle lettere che scrive ai suoi amici racconta che essere accolta così calorosamente la ripaga delle sofferenze sopportate fino ad allora per la Patria. Le cinque giornate di Milano la sorprendono durante il suo soggiorno a Napoli. In fretta e furia organizza una nave sulla quale si imbarcherà assieme al Battaglione Belgiojoso, composto da 200 volontari. È un’emozione incredibile per lei venir accolta, nella Milano insorta, dalle urla di giubilo del popolo. Nonostante questo non si lascia sviare dall’ottimismo del momento: Cristina è esperta di storia e politica e vede chiaramente tutti gli ostacoli che ancora devono superare per un’Italia unita. Profondamente realista, crede che la migliore soluzione sia quella di sfruttare la monarchia piemontese per realizzare l’unificazione. In futuro si potrà pensare ad una repubblica, ma i tempi non sono maturi. Quando il Generale Radetzky riprende Milano è costretta ancora una volta ad andarsene, scioccata e delusa perché Re Carlo Alberto non ha difeso la città.
Si convince quindi che la Repubblica è la sola via. Quando Roma insorge decide di partire dalla Francia come corrispondente estero. A Roma, nonostante inizi presto a non condividere le decisioni del Triumvirato, si impegna al massimo affinché l’impresa riesca. Viene nominata Direttrice Generale delle Ambulanze militari e le si affida il compito di gestire gli ospedali di Roma. Cristina si appella alle donne della città che accorrono a centinaia per aiutarla: dalle nobili alle prostitute ‒ fatto che verrà aspramente criticato anche dal papa. In pochi giorni appronta un sistema con nuovi piani d’azione per l’ospedale, postazioni mediche in punti strategici e predispone per tutte le volontarie un corso infermieristico di base. La lotta è sanguinosa e resistono appena un mese prima di doversi arrendere. Anche quando i francesi entrano nella città, Cristina rimane al fianco dei suoi malati. Si batte strenuamente per prendersene cura, fino a che un biglietto anonimo non la informa di un mandato di cattura. Scappa ancora una volta con la figlia e la governante.

Il sogno di un’Italia libera e unita le pare infranto, senza speranza si ritira in Anatolia, dove vive per molti anni una vita semplice in campagna. Purtroppo però le ristrettezze economiche si fanno sentire. La sua salute peggiora ancora e un attentato alla sua vita ‒ rappresaglia di un domestico che lei aveva castigato per un episodio di violenza ‒ le lascia la gamba sinistra zoppa e la testa perennemente piegata a sinistra. Non potendo permettersi un medico, si cura da sé. È preoccupata però per la figlia ed è per amor suo che decide di accettare il ricatto austriaco: la restituzione dei suoi beni in cambio del suo ritorno a Milano e della sua fedeltà. Al ritorno si dedica al futuro della figlia Maria e al processo per farla riconoscere come figlia legittima del Principe Belgiojoso. Maria si sposa con un uomo che ama sinceramente e Cristina è felice di dedicarsi ai nipoti. Nonostante non potesse agire attivamente contro l’Austria, Cristina continua a seguire gli sviluppi dell’Unità italiana con fervore e a scrivere quando può sia di politica che di storia.

Nel 1866 pubblica il saggio Della presente condizione delle donne e del loro avvenire, dal quale è tratta l’iscrizione sul piedistallo della statua. È la prima volta che parla pubblicamente della questione di genere. Lei, esempio concreto di come sia semplicemente stupido ritenere le donne naturalmente inferiori agli uomini, esita a chiedere l’emancipazione, una parola che si rifiuta di usare. Dalle sue parole traspare quanto le sia costato il vivere sempre in contrasto con il proprio tempo e i suoi contemporanei, il dover nascondere la sua femminilità per ammantarsi di virtù ritenute appannaggio solamente maschile. Ammirata e calunniata, ascoltata ma mai davvero. E teme nel consigliare una simile esistenza ad altre donne. Eppure sogna, sogna un mondo in cui la società è arricchita dall’ingegno, dai consigli, dall’opera femminile. In cui le donne e gli uomini siano liberi e abbiano pari diritti di lavorare insieme per la comunità. Il suo primo sogno è riuscita a vederlo realizzato, «la prima donna d’Italia» muore il 5 luglio del 1871, tre giorni dopo l’entrata trionfale di Vittorio Emanuele II nella nuova capitale: Roma. E lascia a noi donne dei tempi a venire il compito di completare quella via verso la felicità che lei e le altre donne del passato hanno cominciato.

[1] “Cristina Trivulzio da Belgiojoso Geschichtsschreibung und Politik im Risorgimento” Karoline Roerig 2013

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