ll cambiamento produce sempre delle conseguenze inaspettate anche laddove non avremmo potuto immaginare.
L’intervista al celebre studioso Jordan Peterson che si è diffusa in questi mesi in micro-pillole sui social ha permesso a molti di incontrare il pensiero chiaro ed apparentemente contro-tendenza dello psicologo: stiamo vivendo in un’epoca di collasso demografico.
La prospettiva del raggiungimento dei nove miliardi di abitanti per Peterson è legata ad un pesante giro di boa: certamente stiamo vivendo nel periodo storico a più elevata densità di popolazione della storia dell’uomo, passata e futura, ma è un picco che è destinato a lasciar posto ad un pericoloso vuoto. Queste proiezioni potrebbero lasciare alcuni lettori interdetti, giacché la propaganda degli anni ’60 sembrava porgere l’orecchio a tutt’altre prospettive: saremo troppi e con risorse insufficienti che porteranno a guerriglie per l’accaparramento di beni primari.
Le dichiarazioni di Peterson proposte nello spazio dell’intervista sostengono invece, non senza un certo calore, che quelle predizioni non solo fossero false ma contrarie alla verità; tanto false quanto la nostra esistenza nei paesi occidentali può dimostrare.
Secondo le apocalittiche previsioni dello psicologo, la diminuzione delle nascite porterà una profonda assenza di giovani e così di forza pensiero e forza lavoro; ricordandoci come l’innovazione sia ciò che ha sempre permesso al genere umano di contrastare ogni suo errore di calcolo, gli imprevisti e le carestie. Purtroppo, le ripercussioni sul sociale che stiamo sperimentando sembrano dare ragione ai pensatori degli anni rivoluzionari del ’900; di fatto la percezione dei singoli è una sorta di conferma popolare che rimbalza nelle conversazioni con le coppie attorno ai trent’anni: “non faremo figli, in fondo c’è troppa gente su questo piccolo pianeta blu”. Rispetto a questa posizione Peterson afferma che questo tipo di concezione è il più radicale pensiero genocida che l’umano abbia formulato, seppure mascherato da una parvenza di eticità legata all’idea che l’uomo sia una sorta di virus o un cancro per se stesso e per il pianeta.
La propaganda che, secondo Peterson, è stata diffusa a tutti i livelli presenta un’immagine dell’umanità profondamente negativa: essa sarebbe tanto corrotta che ‒ e qui userò un’espressione presa dalla serie televisiva True Detective ‒ dovremmo «smetterla di riprodurci, procedere mano nella mano verso l’estinzione… Un’ultima mezzanotte in cui fratelli e sorelle rinunciano ad un trattamento iniquo».
Il modo in cui solitamente si agisce contro un cancro è esattamente ciò che si può fare per liberarsene.
Le conseguenze tossiche di questa posizione si sono presentate anche senza il bisogno di scomodare Greta Thunberg: la prima e più sconvolgente si manifesta nel colpevolizzare la recente acquisizione di maggiori diritti da parte della donna, alla quale, da un lato o dall’altro, viene fatto carico delle sorti del mondo e difatti, senza voler peccare troppo di apofenia, proprio in questi giorni si discute con fermento sulla proposta di abolire la legge che tutela il diritto d’aborto negli Stati Uniti. Proposta che ha scosso ancor di più le sicurezze di tutti coloro che nel mondo guardano agli USA come al motore della modernità.
Le analisi demografiche sulla natalità confermano la tesi di Peterson e vedono in tutti i paesi occidentali una netta diminuzione delle nascite salvo una florida eccezione: la Germania. É d’uopo la menzione giacché essa è un esempio illuminato di come le politiche di welfare a tutto tondo possano contrastare la diffusione di un sentimento di sfiducia nel futuro; perché dopotutto è chiaro come all’origine di questa decrescita ci sia un sentimento di sconforto e di paura che attanaglia anche i più ottimisti, conservatori e romantici giovani e che relega le coppie ad una visione centrata su obiettivi di vita sempre più microscopici e sempre più legati ai bisogni primari ‒ i quali sarebbero messi in discussione di fronte alla possibilità di costituire una famiglia con figli.
Peterson certamente è un pensatore che va tenuto in considerazione ma è anche lontano dalle dinamiche ambientali che la crescita smodata dello scorso secolo ha prodotto, e che come sappiamo riverberano lontano dalle nostre strade ‒ salvo quando le rotte migratorie ci riportano in grembo i risultati del nostro aver spostato lontano dagli occhi le conseguenze negative del nostro passaggio sulla terra. Le nostre comodità non pesano più sulle nostre città come potevano essere viste nella Londra del XIX e inizi XX secolo, quando la coltre di smog rendeva l’aria irrespirabile. Oggi, invece, il rischio per un pensatore occidentale è quello di non volgere mai il proprio sguardo fuori dai centri abitati sempre più green.
Dunque ai nostri lettori, che come sappiamo si attestano per lo più nella fascia tra i venti ed i quarant’anni, quale pensiero possiamo suggerire? La rivista tutta ha chiaro che il cambiamento produce sempre delle conseguenze inaspettate anche laddove non potremmo immaginare e siamo i primi ad essere spaccati in due, tra visioni conservatrici e rivoluzionarie (per utilizzare un gergo antiquato). Quel che in cuore mio conservo è una speranza delicata, una speranza che finalmente il mondo intero ragioni su rotte condivise perché è chiaro che non v’è altra possibilità se non sforzarci con tutti i mezzi di cui disponiamo, consapevoli che dall’altro lato ci sono le leggi matematiche a tenere il freno. Lontano dai vittimismi e da un sempre valido in medias res non resta che continuare ad insegnare la filosofia nelle scuole, promuovere studi che aiutino a vedere il prisma che rappresenta la Verità e invitare caldamente le scienze tutte ‒ fisiche, del pensiero e politiche ‒ ad assumere approcci che tengano insieme le varie discipline. Sapendo sempre che la perfezione è divina ed all’umano resta l’insanabile dicotomia del suo Yin ed il suo Yang.
[1] https://www.youtube.com/watch?v=GcA3rI19jYM
Intervista a Jordan Peterson