La nostra vita è social, ed i social corrispondono accuratamente a noi. In parte perché, a fini commerciali, i nostri dispositivi ci ascoltano; e in parte perché i loro stessi algoritmi perseguono questo scopo. In ogni caso, i nostri luoghi virtuali ci conoscono assai meglio di quanto noi conosciamo loro. Questa riflessione trova conferma anche rispetto al pensiero comune che vorrebbe, in base alla sua ragione, ostracizzare e racchiudere in una dimensione più piccola e degradata quanto in realtà è ben più grande e difficile da comprendere.
La tennica[1] ci sta lisciando il pelo.
Quando dunque il conformista di turno rovescia sul tavolo virtuale le sue sterili accuse contro l’uno o l’altro strumento di connessione digitale tra umani, quel che non sa di ammettere è di essere in primo luogo lui stesso arido e vuoto quanto i social che abita. Questo perché essi si modellano, nel tempo, attorno a noi e siamo noi stessi il loro continuo rifornimento. Se Facebook è pieno di gente idiota è perché tu hai deciso coscientemente e liberamente di essere ‘amico’ di quelle persone; se Instagram è pieno di ‘culi disegnati col compasso’ è perché tu hai deciso di seguire quel filone. È evidente come i social lavorino su dei trend dettati dalle volontà complessive dei singoli assieme ad intrinseche peculiarità ‒ la società dovrebbe, come si suol dire: “farsi due domande e darsi un paio di risposte”; perché, in fondo, siamo noi che dobbiamo contribuire a modellare il nostro spazio virtuale affinché ci assomigli.
Rischio che io sento di poter affrontare adottando una poliedricità di pensiero, affinché poliedrico sia anche il responso dell’internet.
Ovviamente si corre così il rischio di ritrovarsi nella proverbiale ‘bolla’, ossia che col tempo e senza renderci conto possano apparire, ad esempio su YouTube, solo video di persone che la pensano come noi. Rischio che io sento di poter affrontare adottando una poliedricità di pensiero, affinché poliedrico sia anche il responso dell’internet.
Quando, ad esempio, qualcuno ridicolizza Tik Tok per i suoi video di ‘balletti’, mentalmente rivedo una delle scene finali del film Jojo Rabbit in cui la protagonista ‒ un’ebrea adolescente che viveva nello sgabuzzino del suo amico-nemico, un bambino tedesco fan boy di Hitler ‒ alla domanda: “cosa vorrai fare quando sarà finita la guerra?”, rispondeva che la prima cosa sarebbe stata uscire per le strade e ballare. Ed in fondo infinite potrebbero essere le citazioni in questo senso perché quando si balla si rilasciano endorfine che ci fanno sentire bene. E se moltitudini di ragazzini ballano è forse perché non hanno altro modo di recuperare un po’ di sana leggerezza.
Per tornare ora al mio compito di contrastare le critiche di empietà verso i social, ricordo di aver ricevuto, non molto tempo fa, uno dei milioni di milioni di stimoli positivi per le mie attività, il quale proveniva proprio da Tik Tok.
Una ragazza raccontava in un video la sua esperienza con Tinder, scaricato malgrado e grazie la quarantena, e di essersi immediatamente resa conto che un social come questo, basato sulle sole immagini, non le dava modo di capire se, tra i tanti volti a due dimensioni, ve ne fosse uno che nascondesse il pregio inestimabile di riuscire a farla ridere. Così, per velocizzare il processo e renderlo più efficace, ha sfruttato una delle funzionalità gratuite di Google: i Google Form.
Si era messa dunque, di buona lena, a scrivere le domande; per citarne alcune: “qual è tuo il meme preferito?” oppure quale fosse la barzelletta preferita da bambino o il film demenziale del cuore. Dopo aver allegato il form al suo profilo Tinder la risposta era stata inaspettata: l’avevano compilato 2300 persone.
Mentre osservavo divertita gli esperimenti sociali di questa ragazza, la mia mente tornava ad un corso telematico sulla ‘creazione di contenuti digitali’ a cui mi sono iscritta durante la quarantena, nella piattaforma Coursera. Ogni professore del corso aveva ripreso lo stesso tema cardine di quest’aneddoto: conosci il tuo pubblico.
In un colpo d’occhio mi sono resa conto che la mia pausa dal lavoro mi stava riportando al lavoro, senza fatica e senza sforzo: i Google Form li avrei potuti usare anche io!
Per concludere rifletto sul fatto che le aziende pagano fior di quattrini per la gestione del marketing, per consulenti e commerciali, e delle volte mi sorprendo di come queste dinamiche siano così lontane dal mondo vero. Ne è la prova l’unico social che non ho menzionato: Linkedin; il quale è per me il luogo della superficialità, delle parole vuote e stantie, degli anglicismi anni ‘80. Si respira odore di vecchio e di rigido ed onestamente, proprio per questo, non spendo al suo interno più di qualche secondo obbligato in una settimana, giacché la parola d’ordine è sempre: conosci il tuo nemico.
[1] la tennica altro non è che la tecnica, così come veniva pronunciata dal nostro Maestro Emanuele Severino.