Non conosco infanticidio peggiore della guerra: la guerra è un infanticidio in massa, rinviato di vent’anni. Eppure lui l’accetta, in nome di chissà quali altri culti, e non applica ad essa la tesi del suo continuum.
«Il mio collega si è dimenticato di ammettere che per ogni Omero nasce un Hitler, che ogni concepimento è una sfida carica di splendide e orrende possibilità. Io non so se questo bambino sarebbe stato una Giovanna d’Arco o un Hitler: quando è morto egli era soltanto una sconosciuta possibilità. Però so chi è questa donna: una realtà da non distruggere. Tra una possibilità sconosciuta e una realtà da non distruggere, io scelgo quest’ultima.»
«Il mio collega sembra ossessionato dal culto della vita. Però quel culto egli lo riserva a chi potrebbe essere, non lo estende a chi lo è già. Il culto della vita è una bella chiacchiera e basta. Anche la battuta un-figlio-non-è-un-dente-cariato è una bella battuta e basta. Scommetto che il mio collega è stato alla guerra e ha sparato e ha ucciso dimenticando che nemmeno a vent’anni un figlio è un dente cariato. Non conosco infanticidio peggiore della guerra: la guerra è un infanticidio in massa, rinviato di vent’anni. Eppure lui l’accetta, in nome di chissà quali altri culti, e non applica ad essa la tesi del suo continuum. Anche come scienziata non posso prendere sul serio il suo continuum: se lo facessi, dovrei portare il lutto ogni volta che un uovo muore non fecondato, ogni volta che i duecento milioni di spermii non arrivano a bucarne la membrana. Peggio: dovrei portare il lutto anche quando viene fecondato: pensando ai centonovantanove milioni e novecentonovantanovemilanovecentonovantanove spermii i quali muoiono sconfitti dall’unico spermio che ha bucato la membrana. Anch’essi sono creature di Dio. Anch’essi sono vivi e contengono gli elementi che compongono un individuo. Il mio collega non li ha mai osservati al microscopio? Non li ha mai visti correre scodinzolando come un branco di girini, non li ha mai visti faticare e lottare contro la zona pellucida, battendoci il capo disperatamente, sapendo che fallire è morire? Si tratta di uno spettacolo straziante: ignorandolo, il mio collega non è generoso verso il suo sesso. Io non vorrei indulgere a facili ironie ma, visto che egli crede tanto alla vita, come può lasciar morire miliardi e miliardi di spermii senza farci nulla? Omissione di soccorso o crimine? Crimine, ovvio: dentro quella gabbia dovrebbe starci anche lui.
Se non ci va, e subito, significa che ci ha mentito, che il suo perbenismo è turbato da chi dice che il problema non consiste nel far nascere un gran numero di individui ma nel rendere meno disgraziata possibile l’esistenza di coloro che sono già nati.
«Sempre a proposito del mio collega, evito di prender sul serio la sua insinuazione di correità. Al massimo potrei essere accusata di errato giudizio, e neanche una giuria della vita può condannare l’errato giudizio. Del resto non fu tale: fu semplicemente un giudizio e di cui non mi pento. La gravidanza non è una punizione inflitta dalla natura per farti pagare il brivido di un momento. È un miracolo che deve svolgersi con la stessa spontaneità che benedice gli alberi, i pesci. Se non procede in modo normale, non puoi chiedere a una donna di stare mesi e mesi distesa in un letto come una paralitica. In altre parole, non puoi esigere da lei la rinuncia della sua attività, della sua personalità, della sua libertà. Lo esigi forse da un uomo che con quel brivido gode molto di più? Evidentemente il mio collega non riconosce alle donne il diritto che riconosce agli uomini: disporre del proprio corpo. Evidentemente egli considera l’uomo un’ape cui è permesso di svolazzare di fiore in fiore, la donna un sistema genitale che serve solo alla procreazione. Capita a molti nel nostro mestiere: le pazienti preferite dai ginecologi sono fattrici placide, grasse, senza problemi di libertà. E comunque non siamo qui per giudicare i medici. Siamo qui per giudicare una donna accusata di omicidio premeditato e compiuto col pensiero anziché coi ferri. Rifiuto l’accusa, in base ad elementi precisi. Il giorno in cui diagnosticai che tutto andava bene, vidi un gran sollievo in lei. Il giorno in cui ammisi che il feto era morto, vidi un gran dolore in lei. Ho detto feto e non bambino: la scienza mi permette questa distinzione. Sappiamo tutti che un feto diventa un bambino solo al momento della viabilità, e che tale momento sopraggiunge al nono mese. In casi eccezionali, al settimo mese. Ma ammettiamo pure che non fosse più un feto, che fosse già un bambino: il crimine non esisterebbe ugualmente. Caro collega, costei non voleva la morte del suo bambino: voleva la propria vita. E purtroppo in certi casi la nostra vita è la morte di un altro, la vita di un altro è la nostra morte. A chi ci spara, si spara. Le leggi scritte chiamano ciò legittima difesa. Se mai questa donna desiderò inconsciamente la morte del figlio, lo fece per legittima difesa. Quindi non è colpevole.»
[1] Oriana Fallaci, Lettera a un bambino mai nato, Rizzoli editore, 1977, Milano.