Obiezione di
coscienza
e IVG

Sara Simon
Attualità

Anno 2020. Italia. Una donna alla 18esima settimana di gravidanza giunge all’ospedale di Napoli, il feto già privo di battito cardiaco; è necessario svolgere immediatamente un aborto farmacologico per salvare la vita alla donna. Il ginecologo di turno si rifiuta di operare appellandosi all’obiezione di coscienza, così la donna viene salvata da un altro medico chiamato d’urgenza da un’ostetrica. Successivamente il ginecologo obiettore viene licenziato per omissione di assistenza.
In Italia l’interruzione della gravidanza è legale grazie alla legge n. 194 del 1978, ma l’obiezione di coscienza rende sempre più difficile l’accesso all’aborto nel nostro Paese. L’episodio paradossale narrato in apertura mostra l’esistenza di un’obiezione di coscienza così radicata e cieca in alcuni medici, tale da permettere addirittura che un feto già morto possa trascinare la propria madre allo stesso irreversibile destino.

L’obiezione di coscienza indica il rifiuto di adempiere ad un obbligo imposto per legge contrario alla propria morale, coscienza o al proprio credo religioso. Storicamente, essa rappresentava un atto di coraggio nell’opporsi ad un divieto o ad una legge che si riteneva sbagliata, ed in Italia diventò un diritto grazie alla legge 772 del 1972 che in ambito militare riconobbe la possibilità di rifiutare il servizio militare, a quel tempo obbligatorio, e di sostituirlo con un altro servizio non armato ma sempre obbligatorio: il servizio civile. Oggi, nell’ordinamento giuridico italiano sono previste tre forme di “obiezione”: al servizio militare, alla sperimentazione sugli animali e in campo sanitario. Per quanto riguarda il campo medico, sono previste diverse forme di sottrazione alla legge di cui la prima, in ordine temporale, riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) che venne introdotta in Italia dalla summenzionata legge n. 194 del 1978 che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso all’aborto.

Sarebbe giusto inibire l’accesso alla specializzazione ginecologica per i medici obiettori?

 

Tale legge prevede uno specifico articolo per garantire l’obiezione, il numero 9 che sancisce che il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. Circa l’obiezione in sé non ci sono altre indicazioni specifiche, se non ché l’obiezione di coscienza può essere revocata e lo status di obiettore non esonera dall’assistenza antecedente e conseguente alla procedura vera e propria di interruzione della gravidanza. La stessa inoltre non può essere invocata quando l’intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. Cionondimeno, gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenute in ogni caso ad assicurare che l’IVG si possa svolgere e le regioni, secondo la norma, devono controllare e garantire l’attuazione del diritto all’aborto anche attraverso la mobilità del personale.
Secondo l’Istat oggi 7 ginecologi su 10 sono obiettori, arrivando a toccare il 96, 9% in Basilicata. Ciò nonostante, secondo una ricerca dell’Eurispes, l’82% degli italiani è favorevole all’interruzione volontaria della gravidanza. Come si spiega pertanto la massiva presenza di medici obiettori?
In primis vanno tenuti in considerazione i motivi di ordine religioso: la religione cristiana infatti, ponendo l’accento sulla sacralità della vita sin dal concepimento, equipara l’aborto all’omicidio. Il credo religioso tuttavia, sebbene utilizzato nella maggior parte dei casi come monolitica giustificazione del proprio status di obiettore, rappresenta nella realtà dei fatti un elemento abbastanza marginale nell’effettivo bilancio dei fattori che portano a diventare medici obiettori. Alcune ricerche promosse da LAIGA (l’associazione italiana che rappresenta i medici non obiettori), sostengono che nella maggior parte dei casi si diventi obiettori perché questo facilita la carriera e crea maggior consenso, oltre a facilitare circostanze lavorative più gradevoli. L’IVG infatti è una pratica relativamente semplice e monotona, e viene generalmente considerata un lavoro poco gratificante. Ciò è dovuto al fatto che i pochi ginecologi non obiettori finiscono per praticare da soli tutte le pratiche abortive, che vengono percepite come un lavoro ‘accessorio’, nonostante siano la pratica medico-ginecologica più diffusa dopo il parto.
In alcune realtà, poi, l’obiezione è una scelta di comodo in quanto i medici abortisti si sentono stigmatizzati da parte dei colleghi obiettori: in particolare, qualora questi ultimi occupino posizioni di prestigio all’interno degli ospedali, la carriera dei non obiettori può arenarsi proprio sulla pratica dell’IVG. Negli ospedali del Nord Italia, ad esempio, gli esponenti cattolici hanno un potere vastissimo essendo gran parte della sanità lombarda sotto l’influenza diretta o indiretta del gruppo politico Comunione e Liberazione.
Esiste infine una motivazione economica, in quanto l’IVG si può praticare sia in ospedali pubblici in modo gratuito, sia in cliniche private. Per la sanità pubblica, l’aborto non può essere compreso tra le prestazioni di libera professione erogate nelle strutture ambulatoriali dell’ospedale, e ciò legittima molti medici c.d. “obiettori di comodo” a dichiararsi obiettori per il servizio sanitario nazionale, per poi eseguire l’IVG a pagamento nei propri ambulatori.
A ben vedere, paiono esser stati compiuti grossissimi passi avanti dal “Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni. La stessa pena si applica alla donna che ha consentito all’aborto” ma molti devono esserne ancora compiuti. L’evoluzione legislativa ha permesso alla pratica abortiva di divenire sulla carta una scelta possibile per la donna incinta, un diritto di autodeterminazione. Purtroppo però, la scelta di molti ginecologi di non praticare l’aborto adducendo l’obiezione di coscienza (sostenendo come tale pratica sia contraria al loro sentire) rischia molto spesso di trasformare il diritto in un’opportunità non sempre garantita; questo rende molto difficile per una donna ottenere l’IVG entro i tempi previsti dalla legge, ovvero entro 90 giorni dal concepimento, conteggiati dal primo giorno dell’ultima mestruazione.
Di fatto bisogna non solo lavorare sul rendere effettivo il diritto all’aborto in ogni ospedale italiano, assicurando un’adeguata percentuale di medici non obiettori in ogni struttura; se si volesse davvero risolvere il problema definitivamente si potrebbe pensare di rendere inaccessibile la specializzazione in ginecologia al medico obiettore. Esistono infatti moltissime specializzazioni mediche per uno specializzando che non richiedono di praticare interruzioni di gravidanza: se sul piatto della bilancia poniamo da una parte il sogno di diventare ginecologo (seppur obiettore) e dall’altro la possibilità di accesso per una donna ad un diritto previsto per legge, quest’ultimo finisce inevitabilmente – a parere di chi scrive – per avere un peso maggiore. Soprattutto in un contesto in cui la massiva presenza del primo caso impedisce l’effettivo rispetto di un legittimo diritto.

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