La filosofia dell’Altro ci avvicina misteriosamente all’Altro e allo stesso tempo ci insegna ad abbandonare i tentativi di comprensione dell’Altro.
Fin da bambina ho sentito pronunciare ‘Io’, ‘Tu’, ‘It‘ [1] ed ogni altra forma o composto dei pronomi personali; iniziata la scuola, mi sono stati insegnati nella classe di lingua russa, ma a quel punto stavano davanti a me come semplici token grammaticali che dovevo utilizzare per mettere in atto una corretta comunicazione verbale. Qualche tempo dopo, mi resi conto che non erano solo segni linguistici: era necessario investire una profonda riflessione filosofica per spiegare il loro significato e la loro natura simbolica. Non era difficile comprendere che cosa fossero ‘Io’ e ‘It’; l’ostacolo si è manifestato quando si è trattato del ‘Tu’. La mia mente ha dedotto: “Bene, l’Io esiste, e penso che sia radicato in me stessa. Ma che dire allora di questo ‘Tu’? È qualcosa che si rivolge esclusivamente ad un umano? O va un po’ oltre e può indicare tutti gli esseri viventi, compresi gli animali e le piante? E quali sono le possibilità che si estenda anche agli oggetti inanimati? E soprattutto, quali sono le sue dimensioni interne?
La relazione tra ‘Io’ e ‘Tu’ ha cominciato ad essere un campo di riflessione approfondita ed ineludibile nel XX secolo all’interno della corrente filosofica chiamata esistenzialismo. Nello stesso periodo anche la riflessione filosofica sull’Etica ha avuto un nuovo, grande impulso: la nozione di relazione e comunicazione tra gli esseri è divenuta centrale. L’Etica è stata concepita come una ‘filosofia primordiale’ quando Emmanuel Levinas ha affermato che prima ancora di cominciare a contemplare l’Ontologia e la Metafisica, gli esseri umani entrano in comunicazione con il mondo; solo dopo cominciano gradualmente a familiarizzare con ciò che è intorno, dentro e oltre loro.
Questo viaggio verso la filosofia dell’Altro o del Tu ci porterà ad attraversale le posizioni filosofiche di Jean-Paul Sartre e Martin Buber, e si concluderà con le riflessioni Emmanuel Levinas, ossia con il pensiero che ha ribaltato la concezione dell’Etica in filosofia. Le prospettive di questi filosofi, in realtà, sono diametralmente opposte, ma esprimono tutte il desiderio di esporre alla luce la natura dell’Altro.
Il conflitto è ciò che appare davanti a Sartre quando descrive l’Altro. Non a caso, una delle sue opere dedicate alla nozione di alterità si intitola L’inferno sono gli altri. Risolutamente e senza cerimonie, egli designa l’Altro come ostile, imponendogli un marchio di fredda intransigenza. Nella sua concezione le due coscienze( l’Io e l’Altro) entrano in una sorta di collusione come fossero le sfere di un pendolo di Newton. Una volta messo in movimento, le sferette metalliche cominciano a scontrarsi l’una con l’altra, ma immediatamente rimbalzano. Cose simili accadono quando due menti si incontrano. Le loro libertà si sovrappongono ed è così che si avverte la presenza dell’Altro e nasce il conflitto.
Buber prende un’altra strada e non ricorre alla logica del conflitto: L’Altro pone di fronte all’Io la possibilità di un dialogo. Il tentativo di stabilire una comunicazione è il cuore del suo esistenzialismo “dialogico”. Il rivolgersi al mondo avviene nella dinamica delle relazioni ‘Io – It’ e ‘Io – Tu’. La prima coppia di parole ci mostra un processo di oggettivazione, in altre parole, è una necessità pragmatica dell’io di utilizzare un oggetto. L’esperienza e la sensazione costituiscono la loro presenza. Per esempio, passeggiando nel bosco ho visto un albero e la mia immaginazione ha immaginato una bella sedia di legno che potrei ricavarne. In pochi istanti ritorno all’albero equipaggiato per maneggiare la sega. ‘Io – l’albero’ è un rapporto soggettivo-oggettivo. Quest’ultima coppia di parole racchiude una forma di relazione drasticamente diversa che esclude il principio di utilità. In questo incontro anche quello stesso albero si trasforma nel ‘Tu’. [2] Sembra che in questo punto le dimensioni del ‘Tu’ si stiano manifestando. Ci appare come una sfera intermedia che riguarda i partner umani [3] e non solo. L’Io-Tu è un incontro reciproco, in cui uno dà tutto il suo essere all’altro. Il ‘Tu’ nasce nella mente e nello spirito dell’ ‘Io’. Il dialogo fornisce un terreno fertile per relazioni autentiche. I semi sono la relazionalità e l’interconnessione degli esseri tra loro. Noi, eredi dell’umanità, entriamo in dialogo per diventare pienamente umani, per consentire all’Altro di lasciare un’impronta nella nostra mente, influenzandoci e modificandoci. Dal punto di vista politico, il dialogo è ciò che rende possibile la riconciliazione e la pace tra individui, gruppi sociali e paesi.
Levinas condivide le opinioni di Sartre sull’alterità, ma prende posizione contro la sua logica del conflitto. L’approccio di Buber al ‘Tu’ gli è più congeniale, ma il suo percorso conciliante “attraverso un dialogo verso la pace” lo trova discorde. Levinas ritiene che il dialogo sia insufficiente, e questo semplicemente perché ci sono certe situazioni e condizioni in cui il dialogo potrebbe non essere nemmeno possibile. Nell’affermare questo, Levinas ha le sue buone ragioni, essendo stato testimone diretto di una situazione di questo tipo. Quando iniziò la seconda guerra mondiale, andò sul fronte di battaglia come soldato ordinario dell’esercito francese; poco dopo fu catturato dai soldati tedeschi e imprigionato in un campo di concentramento, dove vide esseri umani completamente disumanizzati, il cui metodo di comunicazione con il nemico non era certo quello del dialogo. Se non un dialogo o un conflitto, allora cosa? – Relazioni asimmetriche, una posizione contraria a quella delle reciproche relazioni simmetriche offerte da Buber: le prime non si basano sui principi di reciprocità, ma sull’accettazione dell’alterità assoluta e della diversità ontologica dell’Altro. Il punto focale consiste nel fatto che ogni ‘Io’ ha una responsabilità maggiore nei confronti dell’Altro, di quella che l’Altro ha nei confronti dell’ ‘Io’. Questo Altro di Levinas è misterioso come il mistero della morte, perché entrambi sono ‘inafferrabili’. [4] L’Altro, secondo Levinas, non ha nemmeno bisogno di essere compreso ‒ nel senso di analizzare o esaminare come faremmo con un oggetto‒, dal momento che la comprensione stessa è vista come un atto di violenza. Cercando di afferrare l’alterità dell’Altro, lo si oggettivizza. Il principio di totalità, introdotto in filosofia per la prima volta da Levinas, determina l’oggettivazione di ogni singola cosa intorno a noi, similmente alla relazione ‘Io’ – ‘It‘ di Buber che è stata menzionata nel paragrafo precedente. In base ad essa si costruisce la cosiddetta logica della guerra che è il nucleo della civiltà occidentale come sostiene Levinas: «Il volto dell’essere che si rivela nella guerra si fissa nel concetto di totalità che domina la filosofia occidentale». [5] La logica della guerra è questa: la pace è considerata solo una pausa tra le guerre: «La pace degli imperi prodotti dalla guerra si fonda sulla guerra». [6] Il principio di Totalità implica che un essere umano e una sedia intesi come oggetti (reificati) abbiano lo stesso valore; l’unica differenza consiste nel fatto che generalmente bisogna impiegare più tempo ed energie per comprendere un essere umano piuttosto che una sedia, dato che il primo è esponenzialmente più complesso della seconda. Come concetto opposto alla totalità, Levinas offre quello di alterità. Esso vieta che l’io sia generalizzato o totalizzato, perché un essere umano non è un oggetto che è superiore a una sedia a causa della sua complessità, un essere umano è qualcosa di fondamentalmente diverso e unico. L’infinità è il prossimo concetto che si accompagna all’alterità ed è considerabile come «lo straordinario fenomeno dell’escatologia», [7] il quale «mette in relazione con l’essere al di là della totalità o della storia, e non con l’essere al di là del passato e del presente». [8]
La filosofia dell’Altro ci avvicina misteriosamente all’Altro e allo stesso tempo ci insegna ad abbandonare i tentativi di comprensione dell’Altro. L’umanità così abituata a “comprendere” e analizzare gli altri abitanti di questo pianeta ha bisogno di essere avvertita del fatto che un essere vivente è un’alterità radicalmente diversa che non deve essere categorizzata o divisa in gruppi secondo il suo genere, sesso, religione e orientamento sessuale. Non devono essere percepiti come un’estensione del sé o manipolati per il bene del sé individuale o sociale. Questo Altro è proprio quel ‘Tu’ di cui volevamo scoprire le dimensioni all’inizio – quello che, senza eccezioni, si presenta inseparabilmente in una pericoresi con l’Io, il che significa: non c’è me senza te.
[1] NDT: il presente testo è tradotto dalla lingua inglese, la quale possiede il pronome personale di terza persona singolare neutra “It”. Viene solitamente utilizzato per riferirsi ad animali, oggetti inanimati, tempo, condizioni climatiche, date, distanze ed altri casi simili. Naturalmente la lingua italiana non possiede pronomi personali in forma neutra, pertanto la traduzione più corretta sarebbe “Esso/Essa” qualora svolga la funzione di soggetto e “lo, la, ciò” qualora svolga la funzione di complemento. Poiché ciascuna di queste traduzioni sarebbe stata fuorviante per la comprensione dello svolgimento argomentativo, si è preferito mantenere il termine inglese dandone spiegazione nella presente nota.
[2] Cfr. Martin Buber, L’Io e il Tu, in Il principio dialogico e altri saggi, Andrea Poma (a cura di), trad. di Anna Maria Pastore, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993.
[3] Cfr. N. Rotenstreich, Immediacy and Dialogue, in «Revue Internationale de Philosophie» Vol. 32, No. 126 (4), Martin Buber 1878-1978 (1978), pp. 460-472, p. 460.
[4] Cfr. Emmanuel Levinas, Il Tempo e l’Altro, Mimesis, Milano-Udine 2021.
[5] Emmanuel Levinas, Totalità ed Infinito.Saggio sull’esteriorità, Silvano Petrosino (a cura di), trad. di Adriano Dell’Asta, Jaca Book, Milano 1990, p. 20.
[6] Ibidem.
[7] Ibidem.
[8] Ivi, p. 21.