Newton come
rimedio

Michele Diego
Scienza

È la potenza e la bellezza stessa della fisica: la capacità di astrarsi dal caso specifico per arrivare a una formulazione semplice, analitica e universale.

Tra le tante regole non scritte della fisica che mi è capitato di ascoltare dai professori che hanno segnato il mio percorso, ne esiste una che sembra mettere tutti d’accordo: nella fisica la bellezza risiede nella semplicità. La grandezza di una scoperta, di un’equazione o di una teoria sta nel saper racchiudere in pochi e semplici concetti una grande varietà di fenomeni. Fenomeni molto complicati, descritti attraverso leggi matematiche macchinose e piene di parametri, sono poco attraenti per i fisici. Nel cuore di ogni fisico si nasconde la speranza di riuscire a unire fenomeni apparentemente sconnessi in un’unica formula di una semplicità sconcertante.
Nel 1923, durante la sua conferenza per la ricezione del premio Nobel, Albert Einstein disse: “Una mente che si sforza di unificare le teorie non può ritenersi soddisfatta dall’esistenza di due campi che, per loro natura, sono del tutto indipendenti. Occorre cercare una teoria matematicamente unificata in cui il campo gravitazionale e il campo elettromagnetico siano interpretati solo come componenti o manifestazioni differenti dello stesso campo” [1]. E Einstein non fu il solo. Molti fisici illustri si applicarono nell’unificazione di fenomeni prima d’allora scollegati: Michael Faraday e André-Marie Ampère unificarono l’elettricità e il magnetismo nell’elettromagnetismo, a cui James Clerk Maxwell incorporò la luce interpretandola come un’onda elettromagnetica; Abdus Salam unificò la forza elettromagnetica alla forza debole (responsabile del decadimento di alcuni atomi) nella forza elettro-debole, etc.
Il più alto compito della fisica, insomma, sta nello scoprire i principi primi della realtà, i meccanismi fondamentali con cui la natura costruisce scenari più complessi e talvolta apparentemente dissociati, le poche e semplici note con cui l’universo suona la sua sinfonia cosmica.

Eppure oggi questa convinzione sembra lentamente affievolirsi, in nome di un nuovo paradigma. Con l’avvento di computer sempre più potenti, una nuova frontiera della fisica sembra farsi strada. Se finora gli strumenti che l’uomo possedeva per comprendere la natura lo portavano automaticamente a cercare le componenti basilari e semplici della realtà, oggi un supercomputer è in grado di tenere in considerazione un’infinità di parametri e di variabili diverse.
Prendiamo un esempio concreto: lo scontro di due galassie. È evidente che per la sua complessità e la quantità di parametri in gioco, un simile fenomeno sia fuori dalla portata di una descrizione formulata attraverso un semplice set di equazioni analitiche. È impensabile tenere conto dei miliardi di interazioni e di scontri tra stelle e corpi celesti che compongono le galassie all’interno di un’unica formula. Un fisico tradizionale sarebbe portato a descrivere quali siano i meccanismi fondamentali alla base dello scontro tra corpi celesti (l’attrazione gravitazionale, la dinamica delle forze, la conservazione dell’energia totale, etc.), ma certamente non sarebbe in grado di descrivere nella sua caoticità lo scontro di miliardi di stelle. Un supercomputer invece può farlo, tenendo conto dell’enorme quantità di parametri ed eventi in gioco.
Questa nuova tendenza della fisica, dal semplice al complesso, dal caso ideale a quello reale, da una trattazione matematicamente analitica ad una computazionale, porta con sé – almeno agli occhi di chi scrive – il rischio di far dimenticare la regola aurea della fisica: semplice è bello. In un mondo dove qualsiasi fenomeno si può descrivere attraverso centinaia di equazioni, ognuna delle quali possiede centinaia di variabili, potrebbe mancare la spinta alla ricerca di equazioni semplici ed eleganti, in grado di districare le complessità del mondo e rivelarci le sue componenti più pure.

Un simile scenario, portato alle estreme conseguenze, era stato già intuito da Isaac Asimov. Nel racconto “Nove volte sette”, Asimov immagina un mondo in cui nessuno sappia più le regole alla base di un qualsiasi calcolo matematico. Sono le calcolatrici a fare i conti, che agli occhi degli uomini sono privi di qualsiasi ragione logica; la calcolatrice è diventata una scatola nera in cui inserire numeri ottenendone un risultato indiscutibile e svuotato di qualsiasi fondamento razionale. Un uomo, tuttavia, sembra aver riscoperto da zero il meccanismo alla base delle calcolatrici ed è quindi in grado di compiere semplici operazioni matematiche in autonomia. La sua capacità, superati i primi scetticismi di chi lo ritiene una sorta di illusionista, appare rivoluzionaria. La possibilità di fare conti matematici è il primo passo verso la liberazione dalle macchine, da cui gli uomini dipendono ormai intrinsecamente.
Il racconto si conclude con una nota amara. La liberazione dalle macchine non è pensata allo scopo di elevare l’uomo e farlo tornare al centro del processo intellettuale, ma per ragioni utilitaristiche: se è vero che un uomo può imparare a fare conti matematici, allora lo si potrà utilizzare al posto di uno strumenti di calcolo, per esempio all’interno di un missile intelligente, rendendo così l’arma meno costosa.

Con questo articolo, al contrario del racconto di Asimov, spero di lasciare al lettore una nota di bellezza. Di proposito, infatti, non ho ancora citato l’uomo che forse più di ogni altro nella storia della fisica ha saputo unificare fenomeni apparentemente sconnessi in una formula semplice, elegante e generalissima. Si tratta di Isaac Newton, che attraverso la sua legge di gravitazione universale ha saputo condensare anni di lavori durissimi di osservazione astronomica da parte di grandi scienziati, ha derivato le leggi empiriche di Keplero mostrando esplicitamente perché fossero state formulate in tal modo, e infine ha unito la meccanica terrestre alla meccanica celeste, facendo comprendere all’umanità come la forza che fa cadere a terra una mela è la stessa che fa orbitare la Luna attorno alla Terra.
Nella restante parte dell’articolo, quindi, cercherò di mostrare come un fisico possa ragionare nel tentativo di estrarre una formula matematica elegantissima come quella della gravitazione universale. Non si tratta di una derivazione storica, che segue per filo e per segno il processo di Newton. Sarà piuttosto una trattazione semplice e comprensibile a tutti, con lo scopo di dare, a chi lo desiderasse, un assaggio di cosa fino ad oggi è stata considerata la bellezza all’interno del mondo della fisica.

Partiamo dal secondo principio della dinamica, formulato dallo stesso Newton:

f=m·a

ovvero, dato un oggetto di massa m, per muoverlo con un’accelerazione a, occorre applicare su di esso una forza f. Dove esiste un’accelerazione di un oggetto, quindi, deve esserci una forza responsabile di tale accelerazione. Dal momento che tutti gli oggetti cadono al suolo con un’accelerazione (gravitazionale) che chiameremo g, deve esserci una forza (gravitazionale) F responsabile della loro caduta. Quindi, preso un oggetto di massa m in caduta libera, si ha:

F=m·g

Dal momento che già all’epoca di Newton era stato dimostrato che tutti gli oggetti cadono a terra con la stessa accelerazione g, si ha che:

F∝ m

(la forza è direttamente proporzionale alla massa)

Questo perché se la forza non fosse direttamente proporzionale alla massa, si avrebbe che corpi con massa maggiore cadrebbero più lentamente rispetto a corpi più leggeri (è difficile convincersene ma è proprio così). A parità di forza, un oggetto più massivo viene accelerato meno rispetto a uno più leggero. Dal momento che invece l’accelerazione dei corpi in caduta libera è sempre la stessa per tutti i corpi, ciò implica che la forza responsabile della loro caduta deve essere proporzionale alla massa.
A questo punto interviene il terzo principio della dinamica (sempre formulato da Newton), detto anche principio di azione-reazione, secondo il quale ad ogni azione esiste una reazione uguale e contraria. Il che significa che se un oggetto è attratto dalla Terra con una forza F, anche la Terra è attratta dall’oggetto con la stessa forza. Il che, quindi, seguendo il medesimo ragionamento fatto qualche riga più sopra, implica che la forza sia proporzionale anche alla massa M della Terra:

F∝M

Per proseguire, ci manca un ultimo ingrediente fondamentale. Occorre cioè affidarsi al genio di Newton che comprese che la forza che fa cadere al suolo un oggetto è la stessa che fa sì che la Luna giri attorno alla Terra.
Prendiamo quindi la Luna in orbita attorno alla Terra. Per tenerla in rotazione è necessaria una forza in grado di fornirle una forza centripeta. Ciò significa, quindi, che la stessa forza F di cui abbiamo parlato finora dev’essere pari alla forza centripeta della Luna, ovvero:

F=m·r·(2π/T)²

dove m in questo caso è la massa della Luna, r è la distanza Terra-Luna e T il periodo che impiega la Luna a completare un’orbita attorno alla Terra.
L’uguaglianza può essere riscritta come:

T²/r·F=4π²·m

Il termine a destra (4π²·m) è una costante, mentre a sinistra abbiamo un termine che non sembra essere costante e dipende dalla distanza Terra-Luna e dalla forza che la Terra esercita sulla Luna. Newton però sapeva dalla terza legge di Keplero che il termine T²/r³ è una costante. Allora affinché anche il termine a sinistra sia costante, si deve avere che F sia tale da rendere l’espressione a sinistra proporzionale a T²/r³, e quindi:

F∝1/r²

Riassumendo quanto dimostrato finora, possiamo concludere che:

F∝m
F∝M
F∝1/r²

che combinate assieme danno:

F∝m·M/r²

A questo punto chiamiamo G la costante di proporzionalità tra la forza e i termini a destra ottenendo:

F=G·m·M/r²

che è la legge di gravitazione universale: la forza tra due oggetti di massa m e M è data dal rapporto delle loro masse (m·M), divisa per la distanza al quadrato tra i due oggetti () e moltiplicata per la costante di gravitazione universale G.
Essa racchiude il lavoro di grandi scienziati che hanno dedicato la loro vita a scrutare il cielo e trascrivere la posizione degli astri, nel tentativo di orientarsi in un universo che non sembrava corrispondere ai dettami aristotelico-tolemaici del passato. Con la sua legge, Newton ha riassunto tutte quelle osservazioni in un’unica formula, in grado di includere anche la gravità terrestre. Da questa semplice equazione, si può calcolare la forza gravitazionale tra qualsiasi coppia di oggetti dell’universo, tra la Luna e la Terra, o tra una mela e la Terra, o persino tra noi e una stella lontana dell’universo. È la potenza e la bellezza stessa della fisica: la capacità di astrarsi dal caso specifico per arrivare a una formulazione semplice, analitica e universale.

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