Maxwell e l'estetica
della luce

Michele Diego
Scienza

I campi elettrici e magnetici, allora, iniziano a essere visualizzati come dei fluidi che permeano lo spazio. Una carica elettrica induce attorno a sé un campo elettrico e, se un’altra particella appare nei paraggi, ci sarà una interazione tra il campo, già presente, e la nuova particella.

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Se vi venisse chiesto quali siano i due fisici più importanti della storia, chi scegliereste? Se avete risposto Albert Einstein e Isaac Newton, appartenete a una maggioranza abbastanza ben consolidata. (Se avete risposto Galileo Galilei è probabilmente per patriottismo, se avete risposto Nikola Tesla siete con ogni probabilità dei complottisti).
Eppure tra Newton e Einstein esiste un terzo scienziato che, in qualche modo, ha costruito un ponte tra la gravitazione universale (di Newton) e la relatività (di Einstein). Si chiama James Clerk Maxwell e compare al dodicesimo posto nella lista di Google degli scienziati più famosi della storia. Nonostante questo scarso posizionamento, si può dire che la fisica moderna nasca nel 1865, quando Maxwell pubblica un articolo intitolato Una teoria dinamica del campo elettromagnetico. Nell’articolo Maxwell introduce delle equazioni che cambiano radicalmente la nostra concezione di spazio, del campo elettromagnetico, della luce, del vuoto. Esse rappresentano un esempio da manuale di ciò che i fisici intendono per bellezza ed eleganza matematica. Sono una sintesi di scoperte e leggi studiate da altri scienziati, ma riscritte e aggiustate sotto una concezione dell’universo nuova, in cui il ‘vuoto’ non è più concepito come ‘nulla’.

Ma in che modo gli studi sull’elettricità e il magnetismo di Maxwell possono fare da ponte tra Newton e Einstein, il cui oggetto di studio era la gravità? Per capirlo, dobbiamo partire dal punto in cui Newton ci ha lasciati: la legge di gravitazione universale. Attraverso questa legge Newton è stato in grado di descrivere la forza che si instaura tra due corpi dotati di massa e posti ad una certa distanza uno dall’altro. Questi due corpi possono essere di qualsiasi tipo: la Terra e la Luna, la Terra e il Sole, una mela e la Terra, noi che invece di volare via restiamo attaccati al suolo, etc. La grandezza di Newton è stata di comprendere che la forza che teneva legati i corpi celesti era la stessa che la Terra esercita su di noi: è l’unificazione della meccanica celeste e di quella terrestre. E questa forza dipende dalla distanza tra i due oggetti: quanto più sono lontani, tanto più la forza di affievolisce.
La teoria newtoniana della forza di gravità presenta tuttavia dei punti deboli. Newton parlava di spazio vuoto, ma nemmeno lui era del tutto soddisfatto di questa definizione. Come può il vuoto, il nulla, trasportare una forza? Come può il nulla intervenire nella relazione tra due oggetti? Inoltre, per com’è formulata la forza di attrazione gravitazionale, essa agisce istantaneamente tra due corpi, non ha bisogno di un tempo per instaurarsi. Due oggetti ai lati opposti dell’universo sentono immediatamente la reciproca attrazione gravitazionale, e se uno dei due per qualche ragione si modifica, per esempio muovendosi o esplodendo in tanti pezzetti, l’altro sente istantaneamente una differenza nell’attrazione gravitazionale che stava avvertendo.
Immaginate per esempio di poter far scomparire il Sole in uno schiocco di dita. Secondo voi quanto tempo impiegherebbe la Terra per smettere di subire la sua attrazione gravitazionale e quindi uscire dalla sua orbita? Secondo la formula di Newton la differenza sarebbe istantanea, mentre oggi sappiamo che occorrerebbero circa otto minuti affinché ciò possa avvenire.

Anche per le forze tra cariche elettriche si ottennero risultati di questo genere. Una forza elettrica si instaura tra due corpi dotati di carica elettrica ed agiscono a distanza, attraendo o respingendo tra loro cariche di segno uguale o opposto. Di più: la forza tra cariche elettriche dipende dalla distanza delle cariche nella stessa identica maniera con cui accade per la forza di gravità. Infine, anch’essa presenta la stessa ‘istantaneità’. La forza elettrica, quindi, ha le stesse caratteristiche di quella gravitazionale, con l’unica differenza che invece che attrarre le masse, attrae (o respinge) le cariche. I dubbi irrisolti sulla gravità newtoniana, quindi, sono identici a quelli relativi all’elettricità.
Come risolvere dunque questi problemi? È Maxwell a pensarci, con il contributo fondamentale di un altro scienziato, Michael Faraday. Si può dire che Maxwell ha descritto matematicamente, formalizzando in maniera decisiva, le intuizioni di Faraday. Quest’ultimo, infatti, pur essendo dotato di una capacità immaginifica fuori dal comune, non aveva seguito degli studi canonici e aveva una conoscenza limitata del linguaggio matematico. Maxwell di lui scriverà che era stato in grado di vedere un mezzo lì dove non c’era nulla.
Per capire l’intuizione di Faraday, serviamoci di un esempio pratico. Supponiamo di prendere della limatura di ferro (quindi della polvere di ferro) e di appoggiarla su un foglio di carta. Sotto al foglio è posizionato un magnete. La limatura di ferro inizierà a disporsi sul foglio seguendo dei precisi disegni geometrici, inizierà in qualche modo ad orientarsi, come se ogni particella fosse una minuscola bussola. Fin qui nulla di nuovo: se per ogni particella di ferro si calcolasse la forza esercitata su di essa dal magnete, si vedrebbe che una per una le particelle non potrebbero che disporsi in tal maniera. L’intuizione di Faraday è che la disposizione geometrica delle particelle di ferro non sia altro che una visualizzazione di qualcosa che esisteva anche prima di appoggiare sul foglio la limatura di ferro. Questo ‘qualcosa’ è il campo magnetico e le linee su cui si orienta la limatura di ferro non sono altro che le sue ‘linee di campo’. Esse riempiono già il vuoto. Sono lì da quando è stato posizionato il magnete. E la limatura di ferro non fa altro che rivelare qualcosa di già preesistente. Ecco che il vuoto è stato riempito di campi.
I campi elettrici e magnetici, allora, iniziano a essere visualizzati come dei fluidi che permeano lo spazio. Una carica elettrica induce attorno a sé un campo elettrico e, se un’altra particella appare nei paraggi, ci sarà una interazione tra il campo, già presente, e la nuova particella. È un’idea radicalmente diversa dall’interazione istantanea e a distanza tra particelle, senza alcuna mediazione tra esse.
Nel caso del campo elettrico, possiamo visualizzare le linee di campo come rette uscenti da una carica e che proseguono all’infinito nel vuoto (che non è più così vuoto quindi). Un magnete, invece, ha delle linee che escono dal polo nord e curvano per rientrare nel polo sud. Se muoviamo la carica elettrica o il magnete, distorciamo il campo, ma non in maniera istantanea, questa distorsione si propaga ad una certa velocità, che non è più infinita come nella teoria newtoniana della gravità.
Immaginate di essere su una ragnatela gigantesca. Se una perturbazione avviene in un punto distante da voi, occorre una certa frazione di tempo affinché tale perturbazione si propaghi e vi raggiunga. Lo stesso avviene per il campo elettrico o magnetico: esso è una ‘ragnatela’ di linee di campo statiche finché non lo si perturbi, e quando viene distorto in un punto occorre un certo tempo affinché la perturbazione si propaghi. Ecco che il problema della istantaneità della forza è risolto.
Le equazioni di Maxwell interpretano i campi elettrici e magnetici secondo questa nuova concezione. Calcolano per esempio il campo elettrico che attraversa una certa superficie immaginaria, dando quindi per scontato che esso esista nel ‘vuoto’, al di là della presenza o meno di un corpo in grado di percepirlo.
Ma non è tutto, anzi non è che l’inizio. Dalle equazioni di Maxwell emerge come il campo elettrico e quello magnetico siano intrinsecamente legati tra loro: un campo elettrico variabile nel tempo genera un campo magnetico, così come un campo magnetico variabile nel tempo genera un campo elettrico. Un’eccitazione elettro-magnetica può allora dar vita a una danza tra questi due campi che si continuano a generare a vicenda. Maxwell calcolò qual era la velocità di propagazione di tale eccitazione. Il risultato è la velocità della luce. Ecco che dalle equazioni di Maxwell emerge la reale natura della luce: essa non è che un campo magnetico ed uno elettrico che si propagano in maniera ondulatoria nello spazio vuoto. Ci troviamo di fronte all’unificazione tra elettromagnetismo e ottica.
E la luce che noi osserviamo con gli occhi non è che una piccola parte dello spettro elettromagnetico: onde radio, microonde, infrarosso, onde ultraviolette, raggi-X, raggi gamma, sono tutte manifestazioni elettromagnetiche che obbediscono alle predizioni di Maxwell.
Da qui, Einstein inizierà a studiare quale sia il comportamento del campo elettromagnetico e della luce in diversi sistemi di riferimento. Si accorgerà che campi elettrici e magnetici sono facce di una stessa medaglia e che la velocità della luce è una velocità insuperabile. Da queste considerazioni, sarà in grado di dedurre la sua teoria della relatività. Ma questa è tutta un’altra storia che merita un articolo a parte.

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