Si ritiene che i tratti benevoli di Zarathustra, come l’assenza di rancore e di vendetta, l’approccio positivo alla vita e a se stessi e l’amore per la sorte siano contributi ispirati fondamentalmente da
Lou Salomè.
L’Europa alla fine del XIX secolo è costellata di pensatori che compiono ferventi sforzi per opporsi e destituire di valore logico la religiosità istituzionalizzata. Molti dogmi ecclesiastici furono rigorosamente confutati e demoliti. L’intero sforzo fu coronato dall’abbattimento del pilastro di tutto il cristianesimo, ossia naturalmente il concetto di ‘Dio’. Pur essendo già morto due volte, Egli sarebbe tuttavia ancora risorto e avrebbe perseguitato le menti dei suoi “assassini”. Svilita e abolita, la religiosità avrebbe comunque continuato a cercare nuove forme e significati, come un ruscello che, pur con il suo corso ostruito, scorre attraverso le fessure tra le pietre.
Nata in Russia da una famiglia di origini francesi ugonotte e tedesche settentrionali, Lou Andreas-Salomè è passata alla storia come un’enigmatica russa per gli stranieri e una straniera per i russi. Le ci sono voluti poco più di 30 anni per prendere piena consapevolezza della sua vena rutena, perché durante l’infanzia era riluttante a imparare il russo e a identificarsi come tale. La lingua con cui scriveva era il tedesco e trascorse la maggior parte della sua vita in Germania, dove morì nel 1937 all’età di 75 anni. Lou Salomè aveva uno spirito ribelle, forse dovuto al modo in cui i suoi genitori la educarono: non le vietarono mai di perseguire qualsiasi attività scegliesse di intraprendere. Una volta, all’età di dodici anni, le capitò di ascoltare una battuta sull’esistenza di Dio pronunciata di sfuggita dai domestici di casa sua. Da quel momento iniziò a chiedersi e a interrogarsi sull’esistenza di Dio. I suoi dubbi in merito non si placarono con il tempo e, all’approssimarsi della Cresima, entrò in corrispondenza con un pastore olandese, Erick Gillot, nella speranza di trovare delle risposte. I due anni successivi furono fruttuosi per Lou, poiché Gillot le tenne lezioni di filosofia, che la portarono ad appassionarsi a Spinoza – oltre, naturalmente, a prepararla per il sacramento della Confermazione.
I loro incontri erano riservati ma, con il passare del tempo, Gillot insistette perché informassero la madre delle lezioni che le impartiva nel suo tempo libero. In un’occasione, invitato a casa di Salomè con l’intenzione di smascherarli definitivamente, lui chiese alla madre la mano di Lou. Rifiutando l’idea del matrimonio e assolutamente delusa dal suo maestro, Lou si sentì ingannata da Gillot. Tutta l’immagine che aveva di lui, divinizzata negli ultimi due anni, andò in frantumi. Con ogni probabilità, in seguito, ciò si estese anche alla sua sessualità, dalla quale Lou si allontanò decisamente per almeno vent’anni. Ciononostante, il pastore Gillot sarebbe ricomparso di frequente nelle sue opere letterarie e nella sua vita. All’Università di Zurigo, dove Lou Salomè studiò come uditrice per un anno, frequentava le lezioni del prof. Biedermann, che influenzò anche la sua visione della religiosità e la mise sul binario dell’agnosticismo. [1] Nonostante rinunciasse alla fede in un Dio personale, seguendo Biedermann, stimava che la religione avesse un valore intrinseco per la sua capacità di trascendere «tutti gli impulsi della vita mentale» [2] .
Poco dopo dopo l’incontro con i filosofi tedeschi Paul Reè e Friedrich Nietzsche, Lou si entusiasmò all’idea di formare con loro una ‘comune filosofica’, che sarà poi chiamata La Trinità. Reè avrebbe adottato il positivismo e avrebbe ispirato Nietzsche per i temi che sarebbero poi apparsi nel suo celebre Also Sprach Zarathustra (Così parlò Zarathustra). Si ritiene che i tratti benevoli di Zarathustra, come l’assenza di rancore e di vendetta, l’approccio positivo alla vita e a se stessi e l’amore per la sorte siano contributi ispirati fondamentalmente da Lou Salomè. Facendo parte della Trinità ed essendo quindi coinvolta in costanti discussioni sul tema della religiosità, Lou scrisse il suo primo romanzo: Im Kampf um Gott (In lotta per Dio). Nelle pagine del romanzo trasferisce in modo semi-velato la Trinità filosofica: Kuno-Nietzsche, Margarita-Lou e il Conte-Reè. Kuno è il figlio di un predicatore che un giorno perde la fede paterna e cerca di risolvere il suo ‘conflitto interiore’ dedicandosi ad un’appassionata contemplazione filosofica. Non a caso, il Kuno di Salomè riverbera il personale ripudio di Dio da parte di Lou, quando comunica al padre la sua lotta per la perdita di un Dio modellato personalmente e basato su un’immagine genitoriale idealizzata, come Lou farà con la madre. Qualche tempo dopo scriverà che la religione è solo «un’illusione, una “correzione e completamento” fittizio del mondo reale» [3] , mostrando così di non credere in Dio. Contro ogni previsione, rimase affascinata dalla forza del sentimento religioso anche dopo aver negato un Dio personale. Il suo sostituto della figura di Dio era il principio universale «das All» o ‘il Tutto’, un agente creativo che ispira soggezione nell’individuo, simile alla soggezione che i credenti provano di fronte a Dio.
Nel suo libro Friedrich Nietzsche in Seinen Werken (Friedrich Nietzsche [nelle sue opere]), pubblicato per la prima volta nel 1894, Salomè insiste sulla profonda religiosità di Nietzsche. Secondo lei, alla fine della sua vita, egli arrivò esattamente al punto da cui era partito; nato in una famiglia religiosa, si staccò dall’ambiente religioso e si alienò dai suoi simili immergendosi in se stesso. Più profonda era l’immersione, più assoluto era il suo autoritratto. Così, tutta la sua ricerca filosofica era, né più né meno, una ricerca sublimata di Dio. [4] La sua visione di Nietzsche come persona inconsapevolmente e profondamente religiosa ha incontrato molte critiche, nelle quali le è stato rimproverato di aver frainteso le sottigliezze del suo linguaggio metaforico. Tuttavia, l’attenzione di Salomè sembra essere rivolta piuttosto all’aspetto psicologico dell’uomo Nietzsche che alla sua ricerca filosofica. Questo libro è stato probabilmente un tentativo di analizzare la sua personalità e di tracciarne un ritratto psicoanalitico. Non è forse questo che farebbe uno psicoanalista ancora in latenza?
Nello sviscerare la personalità di Nietzsche, la scrittrice manifesta anche la propria, e ne possiamo ricavare diversi spunti di riflessione. L’amor proprio (‘egoismo’ nel linguaggio di Salomè), tratto saliente dei testi nicciani e della personalità del filosofo, non sfuggiva all’inesorabile penna di Luo, eppure i suoi stessi testi presentano una sorta di arroganza. [5] Dipinge Nietzsche come un uomo infantile quando parla del suo inconsapevole ‘ritorno alla religione’ ‒ pur con l’intento di negarla ‒, mentre esorta il lettore a considerare l’allontanamento da Dio da lei compiuto come un momento che funge da sostegno per un progetto più complesso e maturo dell’elementare sforzo nicciano. Catturata in questo gioco, assomiglia a quel fanciullo che una volta scoperto se stesso si dedica con passione all’ammirazione del proprio riflesso in uno specchio d’acqua. La figura di questo fanciullo è stata introdotta nella psicoanalisi del XX secolo, prima da Havelock Ellis e poi da Sigmund Freud, di cui Lou Andreas-Salomè è diventata successivamente discepola.
Se lei avesse avuto il compito di psicanalizzare se stessa, quali tratti avrebbe inserito nella prorpia mappa psicologica?
[1] Rudolf Binion, Frau Lou: Nietzsche’s Wayward Disciple, Princeton University Press, New Jersey 1968, p. 36. Le traduzioni dei brani inglesi citati, sia per il volume di Binion che per quello di Diethe, sono a cura del traduttore del presente articolo.
[2] ibid.
[3] ibid. p. 178.
[4] Carol Diethe, Lou Salomè’s Interpretations of Nietzsche’s religiosity, in Journal of Nietzsche’s studies. Issue 19. Penn State University Press, 2000. p. 83.
[5] ibid. p. 84.