L'orgasmo
negato

Veronica Berenice
Editoriale

In uno dei miei viaggi in Europa, libera al tempo dalle penurie di cui tutti soffriamo in questo 2020, capitai in un paesino sopra Nizza ‒ costa sud-orientale della Francia ‒ che porta il nome di Saint Paul de Vence. Ci finii perché, allora come oggi, rincorrevo le maison degli intellettuali, dei filantropi e le case degli amici dell’arte; il caso ha voluto che propri lì vi sia la Fondazione Maeght.

 

La vista dalla sede si estende oltre i pini marittimi, fino a quel lembo di mare sulla costa azzurra che ho visto in volo solo ad anni di distanza; ricordo anche come mi apparve, dall’oblò dell’ aereo: la commozione di un piccolo eureka sulla Verità del suo nome, perché la costa azzurra è davvero azzurra. Di quel luogo d’artisti ciò che più accende la mia immaginazione è il fantasticare su coloro che, prima di me, mossero i loro passi nell’arte del collezionismo.

   

 

“Non ho mai avuto un orgasmo”, questa la dichiarazione priva di consapevolezza che non molto tempo fa propose a noi, figlie e nipoti, divenute ingenue ascoltatrici dei suoi frammenti esistenziali.

 

Sono stati raccolti, dai coniugi Maeght, molto di più delle sole opere: la stessa casa fu edificata con l’intervento di artisti come Mirò, Braque e Giacometti.

Questo genere di luoghi sono da sempre dei lidi dove ritrovo in me quella particolare sensazione ben descritta nell’Infinito di Leopardi. Qui sono compartecipe della storia tutta ed immersa, per un attimo almeno, nel vento del tempo.

Altri sono il Giardino dei Tarocchi in Toscana o la Fondazione Boros a Berlino che partecipano dello stesso sterminato desiderio di raccolta, di collezione privata e quasi intima. Luoghi formalmente ‘pubblici’ ma pensati per un pubblico che cerca e raramente ‘incappa’.

     Parimenti ognuno di noi, a più livelli, stipa in bauli più o meno reali le fragili memorie della propria vita e quell’anima buffa e mordente della mia cara nonna Ermida non è diversa. Quello che la rende, però, differente è l’aver perso nella sua mente il controllo della sua collezione, ed il risultato è un caotico rimestarsi delle opere conservate nella sua memoria. “Non ho mai avuto un orgasmo”, questa la dichiarazione priva di consapevolezza che non molto tempo fa propose a noi, figlie e nipoti, divenute ingenue ascoltatrici dei suoi frammenti esistenziali.

Mia nonna ha perso la linea temporale e si muove avanti e indietro nella sua vita come libera dal quell’ordine costituente che lega noi tutti e che affonda le sue radici nel principio di non contraddizione. Per lei l’oggi può essere ieri ed il ieri è materiale buono per il domani. Ma chi potrebbe dire che quel che vive non sia reale? Tutti coloro che sentono la vita sanno quanto sia importante la memoria, quanto il conservare il tributo di ogni umano eccezionale tracci i confini di quella specie chiamata umanità.

     Così se da un lato mi faccio compartecipe in questo bel progetto, nella raccolta mensile, delle opere d’arte [1] che incontro, dall’altro ho scelto una vita che sia un compimento di quella della mia famiglia o più in esteso di tutte le donne che non hanno potuto vivere e conservare nella loro memoria il piacere che può dare l’unico organo del corpo preposto al solo piacere: la clitoride. 

Ho scelto dunque un’identità sessuale libera e mordente, come mia nonna affrontava la vita, e di fronte alla possibilità di un orgasmo desidero far sì che diventi un attimo di connessione umana che si eleva, nell’unione di corpo e mente, ad opera d’arte. 

E la funesta tradizione di orgasmi negati si interrompa.

[1] L’arte, ci racconta Umberto Galimberti, non si esaurisce nell’oggetto bensì rimanda ad un’ulteriorità di significato rispetto a ciò che il sensibile offre.