La questione, dunque, appare ancora più critica della crisi petrolifera degli anni ’70 […] ci sono solo due vie per superare questa crisi: o l’UE e i Paesi membri collaborano in solidarietà od ognuno cura il proprio orticello, senza minimamente badare a coloro che vi confinano.
Gli affezionati delle serie high fantasy avranno riconosciuto immediatamente la citazione del motto di casa Stark. Questo è l’unico motto familiare ad essere un monito per tutti, nei libri di G.R.R. Martin, così come lo è, purtroppo, anche per tutti noi. Perché l’inverno sta davvero arrivando e non siamo pronti a gestire ciò che porterà con sé.
La situazione è seria, inutile girarci intorno. Gli scenari possibili vanno dal preoccupante, all’assoluto disastro. La guerra in Ucraina e le sue conseguenze segnano per l’Europa – ma non solo – l’inizio di un inverno molto, molto duro. L’apporto di gas naturale russo in Europa e in Italia all’inizio del 2022 è enorme e proviene sia da gasdotti che attraversano l’entroterra, sia da tubazioni che attraversano il mare (i tanto chiacchierati Nord Stream e Nord Stream II). Nel momento in cui queste arterie non sono più fruibili, tanto l’Unione Europea quanto i singoli Stati si trovano ad arrancare disperatamente per coprire le necessità dei propri cittadini. In Italia il gas naturale si fa carico di circa il 40% del fabbisogno energetico del Paese. Seguono il petrolio (33%) e le fonti rinnovabili, soprattutto idroelettriche (20%). Dunque, si può affermare che l’Italia funzioni principalmente a gas naturale, risorsa che in gran parte arriva dall’estero: infatti dei 71 miliardi di Smc (la sigla dell’unità di misura del gas, che sta per standard metro cubo) consumati dagli italiani nel 2020, solo 4-5 miliardi provengono dal territorio nazionale, mentre i rimanenti vengono importati. Ma da dove? Olanda, Norvegia, Libia, Azerbaijan. Una parte arriva in forma liquida via mare, il cosiddetto GNL, Gas Naturale Liquefatto. Una grossa porzione arriva dall’Algeria, ma la fetta più grande, pari al 38% del totale, è di importazione russa. È chiaro come il non avere più accesso a questo tipo di fonte di energia sia oltremodo preoccupante.
Per cercare di arginare il problema – perché si parla di arginare e non di risolvere, almeno non in tempi così brevi – si può agire in due modi, necessariamente usati in tandem: dalla parte dell’offerta e dalla parte della domanda. Il gergo è di tipo economico ma gli interessi intrecciati alla questione vanno ben oltre il linguaggio del mercato e sono invece geopolitici. Agire dal lato dell’offerta implica diversificare tanto le tipologie di fonti di energia, quanto l’importazione nazionale di gas rivolgendosi altrove e aumentando, in sostanza, l’importazione diretta da alcuni paesi e quella di GNL da altri. Una soluzione che a colpo d’occhio sembra rapida e indolore. Purtroppo, è ben lontana dall’esserlo. In primis, il gas non è una risorsa infinita. L’aumento delle importazioni in un paese comporta il dirottamento dei rifornimenti da un’altra fonte, sia per quanto riguarda il gas naturale importato via gasdotto, sia nel caso di GNL. Questo implica notevoli trattative di tipo commerciale e geopolitico, oltre che un aumento vertiginoso del prezzo della materia prima, vista la sua alta richiesta. Per quanto riguarda quest’ultima questione, si sta appunto discutendo in sede europea di un tetto commerciale sul prezzo del gas (e del petrolio), i cui risultati però non sono affatto garantiti proprio perché la gran parte dei produttori è esterna al contesto europeo.
In secondo luogo, un aumento delle importazioni – specie di GNL – implica la necessità di avere infrastrutture che si occupino di questo surplus. Qui si tocca un tasto dolente: il tempo, o meglio, la sua mancanza. Costruire o adeguare strutture già esistenti per renderle pronte a gestire un input di gas superiore a quello solitamente processato richiede tempistiche tutt’altro che brevi. Infatti, delle due piattaforme di rigassificazione galleggianti acquistate dal governo italiano, atte a gestire l’aumento di GNL proveniente da Qatar, Egitto e Congo (e quello potenzialmente in arrivo da Angola, Nigeria, Mozambico, Indonesia e Libia, tutti in trattativa con il governo italiano per la vendita di questo, oramai, oro liquido) la prima entrerà in funzione «nei primi mesi del 2023». Che, siamo tutti concordi, non è esattamente domani.
Ecco perché, almeno per i bisogni immediati della nazione, non si è parlato di investimenti in energia rinnovabile. Se una delle soluzioni più immediate implica comunque una serie di mesi di duro lavoro per essere fruibile, i benefici che derivano da fonti solari, eoliche e idriche si possono avere esclusivamente in anni, considerate le lunghe tempistiche di messa in opera tipiche di questa tipologia di impianti. Questo non significa che non valga la pena intraprendere la via delle rinnovabili. Tutt’altro. La crisi odierna dovrebbe servire da lezione su quanto sia importante diversificare le proprie fonti di energia e quanto sia vitale sviluppare sempre di più l’apparato di energie rinnovabili, i cui frutti però potranno essere raccolti solamente a lungo termine. Inoltre, per quanto riguarda le energie rinnovabili, è necessario sottolineare come abbiano una densità energetica di molto inferiore alle energie fossili e dunque non siano – almeno per il momento – adatte a sostenere l’industria pesante, come ad esempio quella metallurgica. Un discorso simile concerne – indipendentemente dalla posizione più o meno favorevole che si può avere a riguardo – il nucleare. La costruzione e la messa in atto di un simile impianto ha tempi lunghissimi e dunque non adatti ad affrontare la crisi attuale.
Cosa rimane dunque? Il lato della domanda. Ovvero decurtare l’utilizzo del gas mediante razionamenti e restrizioni. In Italia, tramite il Piano Nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale rilasciato dal MiTE (Ministero della Transizione Ecologica), si sono già stabiliti, oltre alle misure relative all’offerta riportate sopra, delle limitazioni e regolamentazioni legate alla fruizione degli impianti termici, sia nel settore domestico che in quello degli uffici e del commercio. Queste limitazioni dovrebbero, secondo i calcoli del MiTE, portare a un risparmio di circa tre miliardi di Smc.
Alle misure di contenimento sopra riportate se ne aggiungono altre, tra cui anche la possibilità di incrementare la produzione nazionale di gas naturale – che ad oggi contribuisce a circa il 5% del fabbisogno totale italiano –, appoggiarsi allo stoccaggio nazionale di gas e la massimizzazione della produzione di energia elettrica da combustibili diversi dal gas (bioliquidi, olii combustibili e sì, anche carbone). La nota preoccupante, tuttavia, è che il piano governativo italiano nel suo insieme mette in campo 25 miliardi di Smc di gas entro il 2025, contro i 30 miliardi di gas russo ottenuti fino all’altro ieri. Non è necessaria una mente particolarmente sveglia per notare che i conti, specialmente considerate le tempistiche, non tornano. Ad accentuare le preoccupazioni è anche il non trascurabile dettaglio che riguarda un’altra fonte energetica che viene importata dalla Russia e che potrebbe essere decurtata a partire da dicembre: il petrolio.
La questione, dunque, appare ancora più critica della crisi petrolifera degli anni ’70, dato che le risorse decurtate nel nostro caso sono ben due. Fatih Birol, a capo dell’Agenzia Internazionale dell’energia, ha affermato che ci sono solo due vie per superare questa crisi: o l’UE e i paesi membri collaborano in solidarietà od ognuno cura il proprio orticello, senza minimamente badare a coloro che vi confinano. Una terza, eventuale, via andrebbe ad attaccare il problema alla radice e andrebbe a porre fine alla guerra in Ucraina. L’unico modo per farlo è attraverso serie vie diplomatiche, visto che il famigerato principio di Luttwak “give war a chance” non è affatto praticabile, considerato che la disponibilità economica e militare della Russia non è stata intaccata dalle sanzioni e che l’Ucraina continua a ricevere armi e armamenti dagli Stati Uniti.
[1] Fortune Italia. Crisi energetica in Europa: ecco quanto potrebbe essere grave. https://www.fortuneita.com/2022/09/27/crisi-energetica-in-europa-ecco-quanto-potrebbe-essere-grave/
[2] Foreign Policy. With Winter Coming, Europe Is Walking Off a Cliff.https://foreignpolicy.com/2022/09/29/europe-energy-crisis-russia-policies-gas-nuclear-renewable-electricity-prices/
[3] MiTE, Piano Nazionale di Contenimento dei Consumi di gas naturale. https://www.mite.gov.it/sites/default/files/archivio/comunicati/Piano%20contenimento%20consumi%20gas_MITE_6set2022_agg.pdf
[4] Adnkronos, Gas Russia, il piano del governo per l’Italia: le misure.https://www.adnkronos.com/gas-russia-il-piano-del-governo-per-litalia-le-misure_7lCBNdyQm9NkALk090rJi3?refresh_ce
[5] MiSE, Bilancio dell’utlizzo di gas naturale https://dgsaie.mise.gov.it/bilancio-gas-naturale
[6] Geopop. Crisi energetica – Cosa potrebbe fare l’Italia se la Russia chiudesse i rubinetti del gas? https://www.youtube.com/watch?v=BtigK0PGzcQ