L’illusione dell’arte

Nello sguardo dell’apocalittico
e del neo-gnostico

Luca Vidotto
Letteratura

Possiamo negare lo spirito e le sue illusioni? È quella del corpo ‒ incarnazione dell’“uomo di dolori”[1] isaitico, sempre segnato dalle stigmate della debolezza, incatenato alla gabbia del finito ‒ l’unica realtà, oppure nell’impalpabile scheggia di splendore che è lo spirito ‒ frammento di luce che oltrepassa la materia bruta ‒ possiamo trovare una consolazione?

Chi appartiene alla banda neo-gnostica crede in una salvezza spirituale, nell’arte di trasformare in “sapienza incorruttibile, in oro alchemico, il fango, la miseria, la disperazione e la distruzione del mondo”.[2]

Non è, questa, la chiave della porta dell’Eden in terra, perché i fiori dell’arte non negano l’aridità del deserto all’interno del quale viviamo, ma è piuttosto “la rivincita della vita sulla terra bruciata”[3] che la vita stessa è; è il miracolo alchemico che fa dire all’anima: “Tu m’as donné ta boue et j’en ai fait de l’or”.[4]

Ma come ben sapeva Baudelaire, quel lavorio alchemico sempre si scontra, per soccombere, con l’opera di Satana e “est tout vaporisé par se savant chimiste”.[5] L’incorruttibilità è un’illusione se posta nelle mani dell’uomo e il miracolo dell’arte è il ricino di Giona.

Ma non è un niente ciò che muore e noi, granello di polvere gettato alla polvere, nell’aridità del deserto, siamo capaci di fiorire.

Si tratta sì di un miracolo divino, voluto da Dio “per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male”[6] , per dare refrigerio all’anima ‒ carbonizzata dai fuochi che attanagliano la Terra, dall’incendio del dolore che nulla risparmia, e dalla persecuzione del sole che, alto, ci perseguita ‒, ma è una liberazione che dura un istante, poiché quella pianta, che “in una notte è cresciuta”, “in una notte è perita”[7] divorata da un verme.

Alzato il velo di Maya, svelata l’illusione, vediamo che anche l’arte, così come la conoscenza, ha destino di morte, poiché “fumo è tutto | soffio che ha fame”.[8] Come intendere, allora, questa illusione?

In questo luogo governato dall’empietà e dalla disperazione, iniquo in ogni sua più recondita piega, dominato dalla morte soltanto, l’arte è una menzogna, “non è che la corona della vanità, una faticosa e inconcludente aggiunta alla pena della vita”,[9] risponderebbe Quinzio, che prova orrore e rifiuto davanti a ciò che nasconde o vela il penare dell’uomo. L’illusione, per l’apocalittico, non è niente, una parola vuota.

Scavando un po’ nella sua storia, ripercorrendo le strade che hanno determinato la sua etimologia, scopriamo, però, un fatto singolare: in latino illusio significa ironia. Quale meraviglia! – penserà il neo-gnostico. Non può, infatti, accadere che l’ironia sia lo strumento perfetto per svelare la tragicità dell’esistenza? Non può essere l’illusione la forma attraverso la quale la vita ci tiene, ironicamente, ‘in vita’? Non è un’ironia della sorte il fatto che la boue possa trasformarsi in or?

I fiori dell’arte contengono nella loro corolla il profumo rosso-porpora della bellezza, sono l’illusione che in questa terra sempre più brutta e imbruttita ancora esista un rifugio, una salvezza, un appiglio da cui potersi sollevare, da cui poter vedere e conoscere, perciò amare ‒ seppur tutto è ironicamente destinato a sfiorire, a passare, a morire, a non poter esser trattenuto, come fosse fumo in un pugno. Ma non è un niente ciò che muore e noi, granello di polvere gettato alla polvere, nell’aridità del deserto, siamo capaci di fiorire: siamo “la rosa del Nulla, | la rosa di Nessuno”[10] e se il nostro canto si leverà “ben al di sopra | della spina”,[11] immersi nella dolce illusione d’esser salvi ‒ l’illusione di un attimo ‒ saremo uno splendente frammento d’eternità tra le colonne del Tempo.

[1] Is 53, 3, trad. it. di G. Ceronetti, Adelphi, Milano 1992.

[2] G. Ceronetti, S.Quinzio, Un tentativo di colmare l’abisso. Lettere 1968-1996, Adelphi, Milano 2014, nota 243, p.
435.

[3] Ivi, lett. 243, p. 278.

[4] C. Baudelaire, I fiori del male, trad. it. di G. Caproni, Marsilio, Venezia 2018, p. 398.

[5] Ivi, p. 64.

[6] Gn 4, 6.

[7] Gn 4, 10.

[8] Qo1 1, 14, trad. it. di G. Ceronetti, Adelphi, Milano 2013.

[9] S. Quinzio, Un commento alla Bibbia, Adelphi, Milano 1991, p. 230.

[10] P. Celan, Poesie, trad. it. di G. Bevilacqua, Mondadori, Milano 2015, p. 379.

[11] Ibidem.