I pesci non hanno mai riscosso un particolare successo presso il grande pubblico, ad esclusione di qualche famoso personaggio umanizzato dai film di animazione. Il sangue freddo, gli occhi sbarrati e inespressivi, privi di palpebre, il (presunto) mutismo non li hanno mai resi particolarmente accattivanti. Vuoi mettere un delfino? Con quel suo ‘sorriso’, le capriole e i buffi richiami?
L’interesse nel comportamento dei pesci è iniziato tempo fa. Nel 1881 Francis Day, un medico in pensione dell’esercito britannico di stanza in India, pubblicò sul ‘The Journal of the Linnean Society’ un articolo intitolato ‘Emotion in Fish’.
“Some naturalists have not hesitated to assert that the lives of the finny tribes are destitute of the joys and sorrows generally appertaining to vertebrate animals, attributing to them an almost vegetative existence. […] Their sexual emotions, cold as their own blood, indicate merely individual wants. With scarcely an exception, fish do not construct a nest; they neither feed nor defend their offspring. The inhabitant of the waters knows no attachments, has no language, no affections; feelings of conjugality and paternity are not acknowledged by him; ignorant of the art of constructing an asylum, in danger he seeks shelter among rocks or in the darkness of profound depths: his life is silent and monotonous.”
Circa un terzo
delle famiglie
di pesci viventi
pratica un qualche tipo
di cure parentali
L’articolo del dr. Day continua riportando numerosi esempi, tra quelli allora conosciuti (e spesso mal interpretati) per dimostrare la complessità comportamentale esibita dai pesci. Come accade spesso nei film Disney, anche in questo caso l’autore incorre nell’errore, perdonabile vista l’epoca, di umanizzare gli animali. Nei decenni successivi, comunque, numerosi studi scientifici si sono occupati dell’etologia dei pesci in maniera rigorosa, dimostrando come questo gruppo di animali abbia evoluto interessanti strategie comportamentali riguardanti, ad esempio, la riproduzione.
Secondo Breder & Rosen (1966), infatti, circa un terzo delle famiglie di pesci viventi pratica un qualche tipo di cure parentali. Se pensiamo che, per numero di specie, i pesci superano anfibi, rettili, uccelli e mammiferi messi insieme, gli esempi non mancano. La gamma di comportamenti e strategie messi in atto è davvero ampia: in questa sede dobbiamo limitarci ad accennare solamente ad alcuni esempi tra quelli più peculiari. Conviene comunque iniziare da una delle cure parentali più semplici, che consistono nel seppellire le uova per nasconderle alla vista di potenziali predatori, per poi però abbandonarle al loro destino, come fanno ad esempio le trote e i salmoni. In altri casi, uno o entrambi i genitori si occupano della costruzione di un nido, più o meno complesso, che viene poi difeso non solo dai predatori ma anche dai potenziali competitori. Poiché la maggior parte delle specie di pesci si riproducono mediante fecondazione esterna, c’è spesso la possibilità che un maschio rivale tenti, riuscendoci, di intrufolarsi tra i due amanti, riuscendo a fecondare le uova appena deposte. Mai come in questo caso mater semper certa est, pater numquam. Il nido può essere semplicemente una pietra o una foglia, che viene attentamente ripulita e sulla quale vengono fatte aderire le uova. Oppure può essere una costruzione più elaborata, come il cumulo di sabbia costruito dal ciclide africano Cyathopharynx furcifer. Questa costruzione ricorda un piccolo vulcano, nel cui “cratere” vengono deposte ed accudite le uova. Altro esempio di nido, un ‘classico’ dell’etologia, è il tunnel di materiale vegetale costruito dallo spinarello Gasterosteus aculeatus.
Spesso è il maschio che si occupa di difendere un territorio, costruire il nido ed occuparsi delle uova fecondate, che vengono ossigenate con il movimento delle pinne, mentre quelle non fertilizzate, che ammuffiscono, vengono accuratamente rimosse per evitare la contaminazione di quelle fertili. La femmina, una volta deposte le uova, può essere addirittura scacciata con veemenza. Non mancano comunque esempi di cure materne e bi-parentali, in cui entrambi i genitori si occupano della prole.
Anche negli Anabantidi, un gruppo di pesci tipico delle acque ferme e povere di ossigeno del sud-est asiatico, è in genere il maschio che mette su casa. In questa famiglia, però, si tratta di una casa galleggiante. Boccheggiando in superficie, il futuro padre ingoia aria e la mischia al muco prodotto nella cavità orale, risputando delle bolle che andranno appunto a costituire una massa galleggiante che fungerà da nido. Terminato il nido avviene l’accoppiamento: il maschio circonda la femmina in un abbraccio che i naturalisti dell’800 avrebbero senza dubbio definito ‘appassionato’. Il futuro padre raccoglie quindi con la bocca le uova appena deposte e fecondate, e le colloca tra le bolle, proteggendole in attesa della schiusa.
In altre situazioni, invece, i pesci possono ricorrere ad un pre-fabbricato. Il maschio del ghiozzetto di laguna Knipowitschia panizzae, ad esempio, utilizza come nido uno dei due pezzi della conchiglia di un mollusco bivalve. Quando trova una conchiglia che reputa adeguata la posiziona con la concavità verso il basso, e con accurati colpi di pinna la ricopre di fango, per nasconderla, lasciando solo una piccola apertura.
L’evoluzione però si è spinta oltre, facendo diventare, anche nei pesci, il corpo di uno dei genitori un nido sicuro (la nostra specie, in quanto mammiferi, ne sa qualcosa). Il caso sicuramente più famoso è quello dei Singnatidi, una famiglia di pesci che comprende i pesci ago e i cavallucci marini. In questi pesci, la femmina depone le uova in apposite tasche presenti sull’addome dei maschi, che in questo modo incubano le uova fino alla schiusa. Non si tratta però di un semplice trasporto. Il padre è infatti in grado di fornire nutrimento agli embrioni che si stanno sviluppando.
L’esempio forse più curioso di cure parentali potrebbe essere però quello dell’incubazione orale, molto diffusa ad esempio tra i ciclidi dei grandi laghi africani della Rift Valley. In questo caso, uno dei due genitori (in genere la madre, più raramente il padre o entrambi) smette di cibarsi per un paio di settimane, mentre ospita nella cavità boccale le uova, in attesa dello sviluppo degli embrioni e della nascita degli avannotti. Una volta schiuse le uova, i piccoli iniziano ad avventurarsi nel mondo esterno, nuotando fuori dalla bocca della madre che può finalmente ricominciare a nutrirsi. Nelle prime settimane di vita, però, gli avannotti continuano a rimanere nelle vicinanze. In caso di pericolo, ad un segnale della madre (in genere particolari movimenti delle pinne), gli avannotti corrono a rituffarsi all’interno della sua bocca spalancata.
Breder C. M. & Rosen D. E. 1966. Modes of Reproduction in Fishes. American Museum of Natural History.
Day F., F.L.S. &c., Deputy Surg.-Gen. Madras Army (retired). Instinct and Emotions in Fish. The Journal of the Linnean Society. Zoology. 1881, Vol. XV, pp. 31-58.