Essere noi stessi così affascinati da poter affascinare gli altri, perché quel che abbiamo innalzato sopra di noi come valori diventi condivisibile da tutti nello spirito più profondo.
Il capitano britannico Anthony Clarke, pronto a bombardare la città di San Sepolcro, provò un tremore nello spirito. Non poteva proseguire con l’operazione. Dall’ultimo strato della sua anima si librò in volo un ricordo, una frase attanagliata da anni al suo cuore, come le lappole erano solite aggrapparsi all’orlo delle brache della divisa. Era – il capitano – un uomo (est)etico e quel che lo travolse erano le parole di Huxley che egli aveva letto, tempo immemore addietro, in chissà quale biblioteca britannica. Il luogo che gli stava davanti non era un luogo qualsiasi. A San Sepolcro era conservata, secondo le parole del grande scrittore inglese, la più bella pittura del mondo: La resurrezione, di Piero della Francesca. I cannoni dovevano essere fermati.
Ecco come una persona (est)etica non è in grado di sottomettersi docilmente all’etica dominante della società. Dopotutto, se c’è qualcosa che la filosofia considera unanimemente un peccato è il non vivere una vita autentica. Una vita che ci consenta di guardare indietro alla nostra storia senza vergogna privata o pubblica. L’errore, ben noto nella psicanalisi dell’individuo, si può dunque legare al contesto più ampio che il Bel Paese si trova oggi ad affrontare. Esso è piccolo, come noi tutti siamo piccoli, calati in un mondo di giganti armati fino ai denti, armati di quel nucleare che qua e là viene evocato nelle abilissime strategie della tensione che i potenti propongono a noi, cittadini del mondo.
Cosa fare, quindi, quando manca l’armamento, quando si è piccoli in mezzo ai giganti? È davvero possibile che sia l’arte a salvare il mondo?
Non è detto, ma è la sola speranza a cui valga la pena aggrapparsi.
Quel che spetta a noi è di considerare la storia del Capitano Clarke nel suo significato più alto. La considerazione che nasce spontanea a partire da questo episodio della sua vita è che esistono forme di autorità tali da diventare metafisicamente intoccabili, da suscitare nello spirito umano un così alto senso di riverenza da costringere i cannoni a fermarsi. Quanto al destino dell’Italia, dell’Europa, di ognuno di noi come singoli (, probabilmente è necessario) cercare di essere quel paese, quel continente, quella singola vita del mondo in cui l’estetica muove l’etica di chi la osserva. Essere pienamente ciò che siamo e che storicamente rappresentiamo: la culla della cultura, la sorgente da cui si è prodotta la più abbondante quantità di bellezza che la storia abbia conosciuto.
È il diventare pienamente noi stessi, costringendoci ad un’aderenza a principi alti e fermi, tali da farci diventare il porto sicuro per ogni trattato di pace. È finalmente lambire l’ipotesi di non copiare modelli altrui che finiscono col renderci macchiettistici, ma lasciarci ispirare dagli altri solo in ciò che può renderci più forti nella tempra – se detto così ci può sembrar più chiaro. Senza autocompiacimento, senza posa, senza vanità.
Giungere alla consapevolezza che la nostra migliore carta da giocare, in un mondo di supergiganti che si minacciano, è lo suscitare una sorta di deferenza, di rispetto verso qualcosa di elevato. Poter contare sulla scommessa che nessuno oserà commetter peccato perché saremmo come la colomba bianca che vola sopra un campo bruciato. Essere noi stessi così affascinati da poter affascinare gli altri, perché quel che abbiamo innalzato sopra di noi come valori diventi condivisibile da tutti nello spirito più profondo.
Questo può essere per noi un baluardo di speranza, un tipo di armamento forse démodé di fronte alle barbarie che noi tutti stiamo vivendo ad oggi. Ma dovrebbe essere il nostro obiettivo, la nostra stella polare che ci guida nella notte. Dimostrando che non fu scritto invano da Dante, proprio nel libro dell’Inferno: <<fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza >>.