la genesi nell’antico passato delle battaglie che ci paiono tanto moderne ed originali.
Ci sono i lavori più vecchi del mondo e le argomentazioni più vecchie del mondo.
Mai quanto in questo periodo ci appare attuale la tematica dell’identità di genere e della libertà di espressione, nonché delle preferenze, astinenze ed abbuffate sessuali ‒ postillate dalle varie e giuste interrogazioni sull’etica ed il rispetto dell’intimità altrui. Tutto sommato, riducendo all’osso, credo si tratti di un generale tentativo di ricerca della felicità, che inevitabilmente si costituisce anche come desiderio di essere liberi dalle definizioni eterogenee che ci intrappolano senza rendere giustizia alle nostre cangianti sfumature. Si aggiunga che, non trattandosi di bere il proverbiale bicchier d’acqua, viene pure il dubbio che questa nuova prolifica generazione di definizioni debbano, alla fine, risultare nuove briglie per quella natura umana che, nel corso dei secoli, si è conquistata – a ragione o a torto – il diritto di dirsi unica in ogni singolo individuo.
In questo bel ginepraio – tra le bacche e le spine – si esprimono, assieme alle istanze di libertà ed autodeterminazione, anche delle vecchie conoscenze della natura umana, più punk e battagliere: l’indomita passione per la trasgressione (che con l’abitudine diventa costume) e la ribellione verso l’ambiente culturale costituito. Ma seguendo l’esempio di quegli individui che riescono a trovare connessioni storiche inaudite ‒ per i quali chi scrive ha sempre nutrito una latente fascinazione – proverò a dimostrare quanto questa bagarre che infiamma il primo mondo (comprendendo sia i pettinati alfieri del ‘tutt*’ e del ‘nessun*’ i costumati tiratori di grammatiche in sei volumi) non sia per nulla la grande epopea che raccoglie le gesta di improbabili eroi 2.0. Non si tratta affatto di qualcosa di nuovo, anzi nuovissimo, che mai è apparso nella storia della cara, vecchia umanità; più che altro si sono spolverate vecchie uniformi tarlate che riposavano all’incanto nel guardaroba della nostra storia.
Tutte le parole si esauriscono
e nessuno è in grado di esprimersi a fondo.
Non si sazia l’occhio di guardare
né l’orecchio è mai sazio di udire.
Quel che è stato sarà
e quel che si è fatto si rifarà;
non c’è niente di nuovo sotto il sole. [1]
Nei primi secoli dell’era volgare [2] si stava assistendo ad una rivoluzione di portata così intergenerazionale che, a confronto, i fuochi del 1968 paiono un cerino in una notte di luna piena. Il pensiero, sponsorizzato dai suoi discepoli, di un ebreo di nome Gesù era stato accolto in primis dagli ultimi della società: dai mendicanti, dalle donne, dai folli e dai visionari, i quali erano particolarmente sensibili all’annuncio della buona novella: Dio ama ciascuno di noi e noi tutti in questa nuova promessa di salvezza possiamo trovare consolazione di fronte alle difficoltà della vita e al suo senso che rimane celato come la perla dell’ostrica che vive nelle profondità dell’oceano. Si tenga presente che, non essendo al tempo ancora disponibile l’edizione completa delle opere ispirate da Dio, la trasmissione orale lasciava spazio ad un’ibridazione feconda con le credenze popolari del tempo e con le tradizioni diffuse; tra queste vi sono naturalmente i vari culti pagani, ma soprattutto l’ebraismo, che a sua volta si era ispirato ad un altro grande monoteismo precedente e oggi dimenticato: lo zoroastrismo (chiedo venia per la semplificazione agli esperti di storia delle religioni – che spero in futuro di poter chiamare colleghi – ma non è questo il luogo per inoltrarsi in bufere storiche iniziate millenni fa).
Di tutte queste correnti con i loro rappresentanti (monaci stiliti che stabilivano il loro domicilio sul capitello di una colonna ‒ senza poterci costruire nemmeno uno sgabuzzino da regolarizzare al successivo condono edilizio ‒, donne che venivano considerate dei riferimenti culturali ‒ senza doversi sobbarcare il peso un marito intellettuale che facesse loro da garante presso l’intellighenzia istituzionale ‒ e i soliti presunti consumatori più o meno occasionali di sostanze psicotrope – senza nemmeno un agente della Digos che gli desse la caccia) qualcosa di scritto è giunto fino a noi. Alcuni autori di questi testi fanno parte dei cosiddetti ‘mistici’ e, per tutti coloro che sappiano qualcosa della mistica, è fatto noto che essa si presenti spesso come un giovane hippie che guida, ad agosto ’69, un pulmino Volkswagen diretto a Woodstock: scapigliata, rivoluzionaria, gioiosamente feconda, pronta a mettere in discussione lo status quo e desiderosa di piantare, nel terreno dell’ordinario, il seme della tensione verso lo straordinario e l’oltremondano. In fondo, da quanto sappiamo di lui, anche Gesù di Nazareth è stato a suo modo un mistico.
Nel clima del misticismo che in quel lontano passato si è sviluppato, clima che possiamo definire quasi apocrifo, vediamo gli antenati di quelle odierne battaglie di cui stavamo parlando; voglio condividerne con voi, cari lettori, due esempi, che valgano per tutti.
Nel Concilio di Gangra, la cui datazione è incerta ma che si colloca solitamente nell’anno 300 e.v., vengono condannate alcune pratiche, tra cui quella, per le donne, di tagliarsi i capelli. Indagando si scopre come in quel periodo, mentre nascevano i primi conventi dentro e fuori le mura delle città, in alcuni di questi le donne scegliessero una vita di rinuncia rispetto ciò che veniva considerato culturalmente come appannaggio della femminilità: il capello lungo.
Queste donne si chiamavano ‘ascete’: si rasavano la testa ed indossavano abiti identici a quelli degli uomini, rifiutando la maternità e la sessualità. Riporto qui il punto diciassette delle condanne promulgate dal concilio:
Come possiamo vedere le recenti mode ci mostrano donne di tutto il mondo rasarsi i capelli; oppure ancora, e di maggiore impatto, le proteste delle donne iraniane si manifestano anche col rito di tagliare simbolicamente delle ciocche dalla loro chioma, in aperta ribellione al sistema di soprusi e sottomissione che vige nel loro Stato. In fondo, quella Maddalena tanto dibattuta nei due millenni a venire, aveva asciugato i piedi di Gesù con i suoi capelli e sempre questi ultimi, secondo lo zoroastrismo, sono conduttori di divinità. Chissà se i parrucchieri per signora hanno tariffari così alti perché sono esperti di storia delle religioni? Quanti fardelli per questi capelli! Così tanti che nemmeno ci immaginiamo, giacché in Genesi 6, si narra che gli angeli si innamorarono delle donne a causa dei loro capelli e per questo si unirono a loro. Da questa unione nacquero dei figli molto potenti e Dio non gradì la faccenda. La grande punizione divina del diluvio universale per mondare il mondo dalle specie ibride nate da questi accoppiamenti è il preludio al seguente divieto per le donne ebraiche di mostrare i capelli.
‒ «la bisessualità è patente nel linguaggio mistico» afferma M. De Certeau nel suo Sulla Mistica, testo che tratta i mistici del 1600, e continua così: «essa appare nella descrizione di
Dio stesso». Parafrasando le righe dopo, troviamo esempi di bisessualità del divino nel mondo ebraico dove la Shekhinah (Sapienza) è il volto femminile di Dio. In alcuni testi compare la figura di Gesù nei panni di Madre nei Cistercensi. Vediamo gli stessi autori mistici, come Giovanni della Croce, altalenare l’uso del maschile e del femminile quando si rivolgono alla loro persona.
Potremmo riempire tutte le pagine di questo magazine digitale andando a caccia, nel passato, della genesi nell’antico passato delle battaglie che ci paiono tanto moderne ed originali. Questo non per screditarne la portata, affatto! La mia solidarietà alla popolazione iraniana libera pensatrice è sempre viva, così come quella verso tutti coloro che lottano affinché l’amore sia libero e non schiavo di paradigmi meramente riproduttivi. È però sempre fondamentale, per chi scrive, capire attraverso la storia dell’umano quali siano i moventi antichi ed inconsci che ci guidano nelle nostre prese di posizione, nella scelta delle nostre battaglie; una volta illuminati e compresi, si potrà decidere con reale comprensione da quale lato di questa grande tavola rotonda sedersi.
[1] Qoèlet, 1,8 Bibbia
[2] Questa locuzione mi piace molto, non perché assecondi le mie personali inclinazioni spiritual-religiose, ma perché pulisce il campo da riferimenti religiosi laddove questi sono ingombranti, come la questione della linea temporale. Essa viene usata per la prima volta da Keplero nel XVII secolo.