La spudorata

Sibilla Aleramo

Gisella Lombardi
Letteratura

“Abbiamo il diritto di vivere per noi stesse?”

“Abbiamo il diritto di vivere per noi stesse?”

A questo quesito Sibilla Aleramo ha risposto per tutta la vita con un sonoro sì. Una vita dedicata alla ricerca della libertà, del proprio essere, della propria indipendenza. Una scelta radicale, ripetuta nel tempo, ribadita trasgredendo a tutte le regole.

Rina Faccio nasce nel 1876 ad Alessandria, la prima di quattro figli. Frequenta solo le elementari e poi a 12 anni inizia a lavorare come contabile nella vetreria gestita dal padre, a cui è molto legata. Sua madre soffre di una grave depressione che la porta ad un tentativo di suicidio. Non si riprenderà più e finirà i suoi giorni in manicomio. Rina, allora, inizia anche ad occuparsi dei fratelli. La sera, dopo averli messi a letto, si ritaglia uno spazio per sé rubando un poco di sonno alla notte, scrive. La scrittura è un modo per evadere, ma anche per riempire una vita di provincia che le sta stretta. A 15 anni viene violentata da un impiegato della fabbrica, che sarà poi costretta a sposare. Come ci si aspetterebbe, il matrimonio è tutt’altro che felice. Dopo un aborto, Rina dà alla luce un bambino, Walter. Prova ad identificarsi con il proprio ruolo di madre e di moglie, cerca di trovarvi una felicità che però, nonostante il suo amore per il proprio bambino, non le appartiene. Un anno dopo il parto, anche Rina tenta il suicidio.

È una storia che conosce, sa come va a finire. Trova la forza per uscirne, si aggrappa ai suoi scritti, alle lettere che scambia con donne di spicco come Alessandrina Ravizza e Paolina Schliff, inizia ad interessarsi al femminismo pratico e a collaborare con qualche giornale. I rapporti con il marito si fanno sempre più tesi, lui cerca di rinchiuderla in casa, a volte impedendole persino di scrivere lettere. A 25 anni Rina non vede altra via d’uscita che andarsene. E così fa: lascia il marito e lascia il figlio. Sceglie sé stessa. Se lasciando il primo abbandona le norme sociali e la sicurezza economica, lasciando il secondo traccia un solco tra l’essere donna e l’essere madre, rivendicando la propria individualità come primaria. Spera che il figlio un giorno capisca, che veda in lei l’esempio di una persona che non ha fatto una scelta egoista ma che ha rispettato in se stessa i diritti umani, senza rinunciare alla propria parte di sole, d’amore, di lavoro, di lotta; spera che possa, a sua volta, essere intrepido nella conquista della propria libertà e che, come lei, non tronchi la propria esistenza miseramente per un’astratta quanto falsa percezione del dovere genitoriale verso il generato. Ciò nonostante, tenta disperatamente di farsi affidare il bambino, ma la legge le è contraria.

Rina si trasferisce a Roma, dove inizia la storia con Giovanni Cena: finalmente un uomo moderno, che lei reputa alla sua altezza. Il sodalizio, anche artistico, le dona un nuovo nome, Sibilla Aleramo, un nuovo modo di intendere l’amore e lo spazio per scrivere il suo primo romanzo: “Una donna”. Romanzo in cui si mette a nudo, raccontando schiettamente di sé, ogni cosa: dallo stupro al matrimonio, la depressione, il flirt extraconiugale e infine la scelta di abbandonare tutto. È la prima volta che una donna lascia la narrativa per parlare di sé apertamente. Senza pudore. Molte amiche le si rivoltano contro per le sue scelte di vita, ma ancor di più per aver deciso di raccontarle così. Lei si consola sapendo che tante altre donne, invece, in quelle parole troveranno un pezzo di loro stesse.

Sibilla sperimenta, si prodiga in opere di bene, dirige e scrive per vari giornali, pubblica i propri scritti, soprattutto raccolte di poesie. Senza mai, però, trovare un impiego fisso che le permetta di vivere priva di debiti e senza rischiare costantemente l’indigenza. Vive spesso di carità, ospitata; forse questa situazione di povertà è l’aspetto più sofferto della sua vita indipendente.

 

Come le ha risposto un suo amico mentre si lamentava di non riuscire a scrivere il proprio romanzo, lei il suo romanzo lo scrive tutti i giorni, ma ai suoi amici ed amanti nelle sue lettere. Per Sibilla, la lettera ricevuta da bambina da parte del padre fu la prima cosa a farla sentire grande. Le lettere le hanno permesso di entrare in contatto con le femministe dell’epoca che poi sarebbero diventate le sue più care amiche, rapporti profondi delineati da un foltissimo carteggio; le lettere sono quelle che scrive incessantemente ai suoi amanti e mentre scrive si scopre, si esplora, si interroga sull’amore ed esplora l’altro, cerca di entrarvi in contatto, forse in maniera ancora più intima che di persona. Le sue lettere delineano ancor più dei diari la sua ricerca di una vita, del significato dell’amore, della propria identità. Arriva a scrivere lettere lunghe cento pagine. Nel dialogo si scopre. Ama, quindi è.

 

Sibilla non rifugge la trasgressione, l’abbraccia. Mette in dubbio la monogamia, si innamora di Lina Poletti con cui ha una storia durata due anni, gli ultimi della sua relazione con Cena. Ama Lina proprio per le loro somiglianze ed impara quanto l’amore sia slegato dal fine riproduttivo. Finite le due storie il suo cuore la porta verso altri lidi, da amanti vecchi e molto giovani, noti e meno noti. Scrive apertamente di come si vivano le mestruazioni a cinquant’anni. La verità del corpo va sempre espressa. Si interroga costantemente sul femminismo ed il suo rapporto con esso, l’abbraccia da giovane, lo critica da donna matura. è una forte sostenitrice dell’unione tra donne, testimoniata dalla folta rete di amiche. Si chiede quanto sia complice del sistema patriarcale perché nell’intento di farsi capire ha adattato il proprio modo di pensare ed esprimersi a quello maschile. Trova prima un compromesso col fascismo, riuscendo anche a farsi dare una pensione per poi, appena finita la guerra, iscriversi al partito comunista a cui lascerà tutte le sue opere. Rimane sempre un’ottimista e non perde mai la fiducia nei confronti degli uomini, contrariamente a tante sue amiche che la mettono in guardia. Entusiasta si innamora di nuovo.

 

Seguendo sempre la sua legge interiore, appassionatamente, si spegne a casa sua il 13 gennaio del 1860.

 

[1]  Scaramuzza, Emma “La santa e la spudorata: Alessanrdina Ravizza e Sibilla Aleramo: amicizia, politica e scrittura” 2004

[2] Bertolucci, Rosaria “Sibilla Aleramo una vita”, 1983

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