La ponderazione
d'Israele

L’asse Washington - Gerusalemme:
la questione Cisgiordania
che divide Israele.

Sara Simon
Attualità

L’emergenza pandemica legata alla diffusione del coronavirus ha distolto l’opinione pubblica dalle fondamentali dinamiche internazionali legate al Medio Oriente, la cui rilevanza strategica influenzerà la politica internazionale molto più del virus stesso, ed è opportuno pertanto riportare l’attenzione mediatica anche sulla questione mediorientale.
Stando alle parole del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, la comunità internazionale attendeva per i primi giorni del mese di luglio l’invasione della Cisgiordania da parte di Israele. Netanyahu infatti aveva promesso che l’esercito israeliano si sarebbe mobilitato per annettere una parte della Cisgiordania, territorio che la comunità internazionale ritiene essere di proprietà del futuro Stato palestinese, ma che i coloni israeliani hanno occupato gradualmente con la complicità dei governi, rendendo queste zone dei veri e propri centri urbani.

Questi luoghi vivono di fatto una situazione ibrida, trattandosi di aree formalmente palestinesi, ma abitate da cittadini israeliani. Basti pensare che in Cisgiordania sono presenti circa mezzo milione di israeliani e tra questi sono comprese forze di polizia e dell’esercito la cui presenza si giustifica a causa della pericolosità dei luoghi data dal rischio che possano verificarsi rappresaglie palestinesi.
                L’annessione ufficiale di parte di questi territori pare essere presente nel contratto di governo che hanno stretto le due forze alla guida del Paese vale a dire il Likud, il partito nazionalista liberale di destra di Netanyahu e il partito centrista blu e bianco guidato dall’ex capo militare Benny Gantz. Tale piano di governo, pur non essendo mai stato diffuso, assomiglia molto, secondo le informazioni raccolte dai giornalisti, al compromesso proposto dall’amministrazione di Trump. Tale proposta accoglieva le richieste che la destra religiosa e nazionalista avanzava da tempo e prevedeva che Israele annettesse formalmente le colonie costruite illegalmente nella cosiddetta “area C”, ovvero la zona della Cisgiordania che gli accordi di Oslo assegnavano al futuro Stato palestinese, nonché la valle del Giordano.

Da una parte infatti Israele vive grazie al sostegno e al riconoscimento degli Stati Uniti, mentre questi ultimi guardano ad Israele come l’ultimo avamposto cristiano alle porte d’Oriente.

 

Quando si parla di Stato d’Israele infatti non è possibile escludere dai ragionamenti di pianificazione politica il ruolo giocato dagli Stati Uniti, intrinsecamente legati alla politica del Paese e parte apicale nell’orientare le scelte compiute dai suoi leader. Lo Stato israeliano e quello americano per l’appunto vivono da anni in rapporto simbiotico dettato da ragioni d’esigenza: da una parte infatti Israele vive grazie al sostegno e al riconoscimento degli Stati Uniti, mentre questi ultimi guardano ad Israele come l’ultimo avamposto cristiano alle porte d’Oriente, che sappiamo essere sede delle forze islamiche e di tutto ciò la storia contemporanea ci ha educato ad avvertire come una minaccia per gli stati occidentali, risultando pertanto una pedina fondamentale nella scacchiera internazionale.
In un primo momento era parso che Donald Trump avesse concesso il suo placet alla suddetta annessione per svariate ragioni, prima fra tutte il fatto che l’amministrazione americana ha dato un supporto importante al governo israeliano anche a dispetto delle trattative di pace che sino a qui erano state faticosamente condotte dalle amministrazioni precedenti. In secondo luogo, la leadership palestinese risulta essere incredibilmente frammentata e tale circostanza potrebbe inficiare la possibilità sia di organizzare una resistenza sia di provocare una reazione internazionale, e tutto ciò in un periodo storico in cui il corona virus ed altre coincidenze mondiali hanno distratto le menti da una questione che ha ormai tediato l’opinione pubblica ed aiutato a contenere la condanna internazionale.
Nonostante quindi la situazione apparisse come estremamente favorevole per procedere all’annessione dei territori cisgiordani, le vicende non si sono evolute come previsto, e le ragioni ancora una volta pare non siano da ricercarsi solo all’interno dei meccanismi di leadership israeliana, ma nel rapporto di Israele con Washington. Non bisogna infatti dimenticare che mentre Netanyahu rivestirà la carica di primo ministro d’Israele fino alla fine del prossimo anno – quando sarà sostituito dal suo alleato Gantz –, lo stesso non può dirsi per il Presidente americano, in quanto non è detto che alla Casa Bianca non si verifichi un rovesciamento di potere. Se quest’ultimo scenario dovesse verificarsi, a insediarsi potrebbe essere Joe Biden, noto per aver criticato il piano di annessione di Israele, e ciò potrebbe degradare ab origine i rapporti del governo israeliano col neo insediato governo statunitense.
Inoltre, come già precedentemente accennato, il governo unitario d’emergenza israeliano che ha ottenuto la fiducia del knesset lo scorso 17 maggio, si regge su una coalizione molto delicata tra Gantz e Netanyahu, i quali riuniscono elettorati diversi essendo il primo espressione di una base molto più moderata rispetto alla destra religiosa di Netanyahu. A conferma di ciò, la visione semplicistica occidentale che vede un’unica monolitica anima israeliana determinata all’invasione della Palestina andrebbe ridimensionata alla luce degli ultimi sondaggi dai quali sarebbe emerso come i due terzi della popolazione israeliana si opporrebbe ad una annessione militare unilaterale. E’ opinione diffusa inoltre che l’annessione sarebbe non solo seguita da rivolte popolari nelle città arabe della Cisgiordania e della Striscia di Gaza paragonabili alla Seconda Intifada dei primi anni 2000, ma si rivelerebbe deleteria anche sul fronte delle relazioni diplomatiche faticosamente costruite da Israele con Egitto e Giordania; trattandosi infatti di Paesi limitrofi a maggioranza araba, questi sarebbero costretti a prendere posizione sospendendo la collaborazione con Israele e facendo così venir meno la protezione attorno al suo territorio.
Ad oggi l’annessione pare essere solo rimandata e le previsioni sono incerte, ma risulta evidente la delicatezza della questione legata a questo processo di modifica dei confini che può, come precedentemente accennato, influenzare gli equilibri geopolitici di una delle aree a più alto indice d’instabilità del pianeta.

[1] “Perché Israele non ha ancora invaso la Cigiordania?”, Breaking Italy, reperibile al sito https://www.youtube.com/watch?v=XRnT0H1xVCs.

[2] Articolo accademico dell’Università Ebrea di Gerusalemme, team di ricerca: Prof. Iran Halperin, Dr. Yossi Hasson, Lee Eldar e Inbal Sifris, reperibile al sito https://achord.huji.ac.il/unilateral-annexation

[3] Perché Israele non ha invaso la Cisgiordania, in Il Post, reperibile al sito https://www.ilpost.it/2020/07/02/israele-invasione-cisgiordania/