La Marchesa Colombi

Gisella Lombardi
Letteratura

E tra un consiglio e l’altro metteva alla berlina tutti quegli usi e costumi ipocriti, affettati e antiquati, quelle tradizioni dure a morire.

Maria Antonietta Torriani, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Marchesa Colombi, è stata la prima firma femminile del Corriere della Sera. Ma non è solo questo primato a renderla degna di nota. Una ragazza di provincia, che cerca fortuna nella grande città e diventa una scrittrice. Quasi una storia banale, eppure se si considera l’epoca in cui visse Maria Antonietta, tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, queste poche indicazioni biografiche tradiscono una caparbietà e un rifiuto di conformarsi alle norme societarie fuori dal comune.

Maria Antonietta Torriani nasce a Novara il 1 gennaio del 1840 da una famiglia di modeste origini. Dopo la morte del padre, la madre si vede costretta a risposarsi in fretta per ragioni economiche. Un destino simile tocca anche alla sorella maggiore di Maria Antonietta, Giuseppina. Invece lei si rifiuta, studia, eccelle nelle materie umanistiche e passa a malapena i “lavori femminili”.  Alloggia anche per un breve periodo in convento di suore fino a che una piccola eredità non le permette di andare a tentar fortuna nella grande città: Milano. Una giovane ragazza di belle speranze; diremmo noi. Una zitella; la definivano i suoi contemporanei. Dalla provincia, con un’istruzione a malapena sufficiente, arriva nella grande città, determinata a diventare una giornalista.

E a Milano incontra Anna Maria Mozzoni, pioniera delle lotte femministe e per il diritto di voto, di cui parleremo prossimamente su queste pagine. Anna Maria e Maria Antonietta diventano subito grandi amiche. Unite dalla convinzione che la vita di una donna non si esaurisse nel ruolo di moglie e madre e che le catene sociali che tenevano il gentil sesso in quella fissa posizione andassero spezzate. Ed è tramite il movimento della Mozzoni che la Torriani accede ai salotti milanesi, preceduta da una chiara posizione politica. Scrive articoli di denuncia dello sfruttamento delle lavoratrici nelle fabbriche e di rivendicazione dei diritti della donna. Su questi temi le due amiche terranno una serie di conferenze spostandosi in tutto il Regno. Centrale, nella loro visione politica che ambiva a far riconoscere la donna come persona giuridica e ad ottenere il voto, era l’istruzione. Per raggiungere e mantenere questi diritti era fondamentale che le ragazze potessero studiare delle materie consone, che le preparassero e le rendessero consapevoli dell’importanza della propria identità e dell’inalienabilità dei loro diritti.

Maria Antonietta diventa quindi una giornalista nota per essere femminista ed amica di pericolose rivoluzionarie, estremamente chiacchierata, ma a lei importava poco. Era una donna indipendente e per salvaguardare la propria autonomia evitava di legarsi in modo definitivo e monogamo ad un uomo. Anche Carducci dovette rassegnarsi, quando lei lo lasciò, benché lui le avesse dedicato Autunno romantico. Decise di compiere il grande passo solo con Eugenio Torelli Vollier, intellettuale e giornalista. Nel 1875 Eugenio e Maria Antonietta si sposano, e nel 1876 esce il primo numero del Corriere della Sera. Una nuova testata, con pochissimi fondi, senza sovvenzioni statali o industriali, a cui i due coniugi avevano lavorato alacremente. Ma il matrimonio tra i due finirà in tragedia. Una volta sposata Maria Antonietta si era ritrovata a condividere la casa con la sorellastra di lui, Luisa. Le due donne si detestavano e si contendevano il ruolo di padrona di casa. In quest’atmosfera assai tesa si inserì Eva, la nipote adolescente di Maria Antonietta, in visita alla zia. Non ci è dato sapere perché la Torriani si comportò come si comportò: osservando a posteriori le sue idee e le sue azioni sembra un atteggiamento lontano dal suo carattere. Fatto sta che si sentì minacciata dall’affetto che il marito dimostrò nei confronti della nipote ed un giorno in cui lui non era in casa le fece una scenata accusandola di averlo irretito. La ragazzina sopraffatta dalle accuse si suicidò buttandosi dalla finestra. Devastati da questa tragedia i due coniugi si lasciarono immediatamente.

Maria Antonietta si rifugiò nel lavoro e divenne la Marchesa Colombi, non più solo giornalista ma autrice di romanzi e saggi. Come giornalista spaziava dagli articoli impegnati ai contenuti di costume, sempre caratterizzati dalla sua ironia e capacità di osservare la gente. Ed è così che nel 1977 manda alle stampe La gente per bene, un saggio sul galateo. Il suo primo grande successo è, forse ironicamente, un manuale sulle buone maniere. La letteratura italiana vantava già un altro manuale: il Galateo di Giovanni Della Casa, considerato un testo imprescindibile. Qual è quindi il motivo del successo del volume della Torriani? Il fatto che fosse scritto da una donna per le altre donne, oltre ovviamente alla consapevolezza che l’autrice fosse una donna anticonformista ed indipendente che quelle regole di cui parlava le aveva infrante tutte. Infatti non instradava o imponeva regole, ma parlava alle ragazze con sincerità, consigliando la condotta più adatta dall’infanzia all’età matura, partendo da una semplice regola di base: essere se stesse e vivere col cuore. E tra un consiglio e l’altro metteva alla berlina tutti quegli usi e costumi ipocriti, affettati e antiquati, quelle tradizioni dure a morire.

Anche i romanzi della Marchesa Colombi erano scritti per le donne, e di esse parlavano. I nomi, gli intrecci, erano frutto della sua fantasia ma non la realtà che raccontava, non le quotidiane umiliazioni o le molteplici rinunce, le continue vessazioni. I suoi romanzi denunciano lo sfruttamento delle donne, le violenze da loro subite, nei campi e nelle fabbriche, rimanendo sempre lontana dalla retorica o dalla demagogia. Narra delle donne in risaia, senza imbellire nulla, né la febbre, né la perdita di capelli, ne infine la loro morte che nulla ha di romantico. Se si innamoravano, le sue protagoniste erano vittime dei loro sentimenti. Scrive delle illusioni di una ragazza di provincia, imbrigliata dai pregiudizi e dalle convinzioni del suo ambiente, che confondendo qualcheocchiata interessata con l’amore non si rende conto che questo se n’è già andato. Uno sguardo chiaro e sincero sui problemi dell’epoca, reso sopportabile dalla sua cifra stilistica: l’ironia.

[1] Ferro, Daniela “Le grandi donne di Milano”, Newton Compton Editori (2007)

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