Il mondo, dal canto suo, non si è di certo imbarazzato più di tanto: mentre vengono meno, una dopo l’altra, le potenti colonne del passato, lui si concentra sull’ecosostenibilità, nascondendo tra le sue cocche un afflato di a basso costo.
È stato un anno, quello appena passato, che ha davvero chiuso un’era. Per i lettori del futuro: siamo agli esordi del mese di Gennaio, corrente l’anno 2023, mentre mi appresto a scrivere l’editoriale che il piccolo gruppo di aficionados a La Livella potranno trovare pubblicato nel prossimo numero di Febbraio.
L’anno che è appena trascorso ha visto la fine, per mano suprema, di due cardini del potere in questo nostro occidente del mondo: la monarca più famosa d’occidente, la Regina Elisabetta II, ed il papa intellettuale, Benedetto XVI ‒ celebre per essere il primo da molti secoli ad aver chiesto ed ottenuto le proprie dimissioni dal soglio pontificio. Così i fedeli cristiani si sono ritrovati, nuovamente, con un Papa solo.
Il mondo, dal canto suo, non si è di certo imbarazzato più di tanto: mentre vengono meno, una dopo l’altra, le potenti colonne del passato, lui si concentra sull’ecosostenibilità, nascondendo tra le sue cocche un afflato di a basso costo. E della straripante abbondanza di cui abbiamo goduto dalla seconda metà del Novecento, a cui mi sento di aggiungere con sardonico sorriso i due Papi coevi, non restano che brutti edifici ed un ricordo surreale di quei diamanti e pellicce che, da icona regale, sono divenuti l’edonistico sollazzo della piccola borghesia.
Gli sfarzi sono finiti: nel Canal Grande a Venezia non si celebrano quasi più le grandi feste di corte ed in tutto il mondo è tornata in auge una locuzione latina che, nel passato, era motto dei monaci benedettini: ORA et LABORA. Se il lavoro è chiaro quel sia ‒ quello sognato ed irraggiungibile, quello precario, quello stabile ma mal pagato ‒ la preghiera si rivolge invece alla donna/uomo divinizzati, a quegli eroici modelli social ai quali si chiede la grazia di poter sbirciare nelle loro vite perfette dal buco di una serratura, pur di poter evadere per poco dalla desolante alienazione in cui la nostra di vita è precipitata.
È giunta anche la fine delle narrazioni iperboliche, la fascinazione per la magnificenza, ed a farne da oscuro alfiere è il potere temporale della Chiesa Romana di cui vediamo in tutto il mondo le morenti chiese, decadenti avamposti in muratura, così meravigliosamente vuote e decadenti. Degli imperatori «per grazie divina e diritto di nascita» non v’è quasi più traccia.
Cosa fare di questo passato? Avrà esso un ritorno di fiamma? Poteri esausti come monarchia e Chiesa hanno davvero sgomberato il campo e ceduto le armi di fronte all’avvento dell’era tecnologica? Del capital-comunismo cinese? Degli alieni – che siano rettili, umanoidi o paffuti cincillà?
Per chi vi scrive, quel che sembra essere un giro di boa forse ci riporterà lì dove eravamo partiti, ma con una giubba che resiste meglio alle basse temperature. I valori destituiti o sono solitamente messi all’incanto nei sottoscala delle morali nascenti, un luogo asciutto e pulito dove l’umanità ciclicamente ripone le mode che ha ormai a noia per andare a pescarne di un tipo diverso. La storia eternamente si ripete: forse si estingueranno i rinoceronti, ma ritorneranno sempre i pantaloni a zampa d’elefante.
Quel che mi sembra, miei carissimi lettori, lampante è che noi occidentali abbiamo perso la bussola; il vento soffia pure da qualche parte, ma non riusciamo a capire dove Non siamo noi i padri-padroni delle nuove tecnologie, non possediamo le materie prime che ad esse servono, e quindi rimaniamo in coda alla lunga corsa per accaparrarsi il futuro. Altri oggi hanno preso il nostro posto nell’albo dei conquistatori, dei colonizzatori e degl’inventori di marchingegni.
Ancora usiamo il nostro vecchio sguardo di superiorità quando guardiamo gli altri luoghi del pianeta, quei paesi non più così lontano ma non ancora così familiari, e un dubbio ci rode nel profondo. Il Medio-Oriente, con la sua contraddittoria ricchezza, la Cina, con la sua marcia inesorabile, l’India, con la sua confusionaria rimonta, e non possiamo che chiederci: saranno loro il nuovo impero Romano, la nuova Repubblica di Venezia, i nuovi Stati Uniti?
Quale che sia il destino riservato dai Mani a questi nuovi potenti ‒ e senza limitarci a pronunciare il vecchio “mamma li cinesi!” [1]‒, proviamo a dipanare i veli per capire quale sia il nostro, di futuro. Se ci sarà ancora una sedia riservata per noi al tavolo del mondo, e a quale prezzo dovremmo pagare il nostro posto. L’alternativa, spiace dirlo, sarebbe quella di diventare come il fido Argo, il cane di Ulisse che mendica cibo alla tavola dei Proci, e che attende in miseria e stanchezza il ritorno di ciò che potrebbe non tornare mai. Un’eroica e tragica sorte, purché la scelga coscientemente.
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[1] Variazione del detto popolare di fine 1400 quando la paura dell’Impero Ottomano correva tra la popolazione protoitalica. L’originale è infatti: Mamma li Turchi.
[2]https://www.migrantes.it/rapporto-italiani-nel-mondo-migrantes-mobilita-italiana-convivere-e-resistere-nellepoca-delle-emergenze-globali/
[3] Il triplice rifiuto percepito dai giovani italiani – anagrafico, territoriale e di genere – incentiva il desiderio di estero e soprattutto lo fa mettere in pratica. Dal 2006 al 2022 la mobilità italiana è cresciuta dell’87% in generale, del 94,8% quella femminile, del 75,4% quella dei minori e del 44,6% quella per la sola motivazione “espatrio”.