Dal momento che l’uomo risulta essere catturato dalla malafede, la libertà assume il carattere di una necessità nella sua vita, non quello di una capacità primaria su cui si costruisce l’esistenza umana.
Sabato sera. Un profumo caldo e dolce impregna l’aria. Una giovane ragazza cammina per la strada e poco dopo giunge a destinazione: è la sera del suo primo appuntamento. Scostandosi la sciarpa dal collo, entra nel locale dove il suo ammiratore l’attende; lo vede alzarsi dal tavolo e salutarla dolcemente. Lui l’aiuta a togliersi la giacca e in un paio d’istanti sono già al tavolo a parlare e a sorseggiare i loro drink. Lui la ricopre di complimenti e mentre l’atmosfera si fa più intima, l’uomo decide di mettere la mano sulla sua. Ora lei dovrebbe scegliere: spostare la mano e interrompere il contatto o accettarlo? Oh no, non in questo caso! Lei preferisce pensare che stiano conducendo una piacevole conversazione, durante la quale lei continua a fingere di non capire o notare le sue avances sessuali. La nostra protagonista poggia immobile la sua mano sotto quella di lui. Potremmo avere la sensazione che non appartenga più al suo corpo perché in questo istante la sua mano è diventata un oggetto. Un oggetto come un altro – un libro, una penna, un calamaio. [1] Questo è ciò che Sartre chiama malafede.
Sartre espone l’esempio della ragazza al suo primo appuntamento come una delle manifestazioni del suo concetto di ‘malafede’. Il suo tentativo qui è quello di dimostrare la tendenza umana nel disconoscere la libertà di scelta. Un esempio davvero molto semplice, ma quanto è ampio lo spettro multiforme del suo modello? Penso che il comportamento della ragazza, in diverse forme, si incarni nella nostra vita quotidiana. Credo che chiunque di noi si sia trovato in una situazione in cui abbia assunto un atteggiamento di ‘attesa’, in cui secondo Sartre avrebbe semplicemente lasciato che gli altri individui decidessero anche per lui. Questo atteggiamento sottintende il trascurare quella libertà che l’umanità ha mostrato essere ‘vitale’ e ‘necessaria’, nel corso della storia. Il XXI secolo non fa eccezione, al contrario è diventato la regola, alla quale siamo perennemente alla ricerca d’eccezioni. Deleghiamo le conseguenze delle nostre scelte e la qualità della nostra vita a qualcun’altro: scaricando le responsabilità sui genitori o sui partner; incolpando i governi e allo stesso tempo rimanendo inattivi. Oppure quando sopportiamo la violenza domestica e rinunciamo a lasciare i violenti o sperimentiamo alcuni cambiamenti del nostro corpo, delle nostre preferenze, del genere in cui ci percepiamo, ma abbiamo paura di ammetterlo persino a noi stessi. Di conseguenza, ci troviamo in numerose situazioni nelle quali abdichiamo in silenzio alla nostra libertà di scelta. Inventando scuse in malafede concepiamo la nostra libertà come se appartenesse ad altri. Fatto interessante: una delle ragioni per cui Sartre negò Dio fu il malcontento che gli suscitavano i credenti che avevano sempre cercato di attribuire tutte le loro fortune e sfortune a Dio e alla volontà di Dio. Così facendo, Dio ‒ che secondo il cristianesimo ha in realtà donato all’umanità il libero arbitrio come principale manifestazione del suo amore ‒ è diventato un oggetto sulle cui spalle potevano zelantemente riporre le conseguenze delle loro scelte. Avvicinandoci lentamente alla parte esplicativa di questo articolo, dovremmo per ora notare che è accertato che alcuni di noi prima o poi avranno la possibilità di ingoiare l’esca della malafede. Ma ciò che rimane ancora incerto è: perché ci caschiamo?
La risposta è semplicemente che la libertà è gravosa, anche se Sartre la considera come una caratteristica intrinseca dell’essere umano. Si dovrebbe osservare, infatti, che la libertà non si manifesta mai come assoluta, o in sé, ma si accompagna ad una cospicua serie di responsabilità che bisogna assumersi in prima persona. [2] E sono queste responsabilità, in particolare, le motivazioni che alimentano i nostri tentativi inconsci [3] di cedere ad altri la nostra libertà di scelta. Proprio qui entra in gioco la malafede o comunque l’autoinganno (fr. mauvaise foi), che ha uno stretto legame con quanto accade a teatro. Nei momenti guidati dalla malafede le persone si comportano come se fossero attori sul palcoscenico di una commedia chiamata vita, nella quale il loro partner dovrebbe essere la libertà stessa. Il loro compito, il ruolo che sono chiamati a recitare, è quello di chi finge di non sapere cosa sia la libertà. Ma qual è, allora, lo scopo di questo teatro? A quanto sembra, siamo portati a tentare di distrarre noi stessi, e convincerci di non esseri tanto liberi quanto in realtà realmente siamo. Con la terminologia di Martin Heidegger potremmo dire: la libertà è una fatticità in cui siamo gettati, e non possiamo scegliere le sue condizioni. [4] Siamo condannati alla libertà perché non possiamo sottrarci ad essa; in questa stessa condanna, tuttavia, vogliamo ancora essere liberi, ma solo fino a un certo punto. Pur desiderando di avere una certa quantità di possibilità tra cui scegliere, continuiamo in un certo senso a fuggire da esse, perché la stessa possibilità della scelta libera induce sgomento e nausea nelle nostre menti. [5] Provate ad immaginare di avere molto, molto più potere di quanto ne avete ora, addirittura forse più di quanto ne vorreste: tale condizione entusiasmante fino alla vertigine sarebbe accompagnata comunque dalla sua contropartita; porterebbe con sé una sorta di disorientamento e di ansia. Ad esempio, se vi venisse regalata una bella Bugatti da due tonnellate, molto probabilmente non rifiutereste un tale dono, giusto? Ma attenzione, c’è una condizione: assieme all’automobile non vi sarebbero fornite le chiavi di accensione. Ovviamente il valore intrinseco e la bellezza del dono permangono, ma spingerla a forza di braccia non la smuoverebbe di un millimetro. Così, fuor di metafora, le chiavi in questo esempio rappresentano le responsabilità che riceviamo assieme alla libertà, che sono le condizioni per poterne dispiegare tutte le potenzialità. Certamente, rispetto alla libertà, c’è sempre un’altra opzione disponibile: scegliere di agire come un burattino o un robot; demandare la responsabilità della scelta ad altri, mantenendo una parvenza di libertà – possedere la Bugatti, ma avere un’autista proprietario delle chiavi che sceglie per noi le strade e la destinazione. A rigor di logica, anche agire come un burattino può essere il frutto di una libera scelta, ma questa via conduce inevitabilmente all’autoinganno. Ecco che cos’è la malafede: un modo di essere disonesti con noi stessi e con gli altri.
Nel capolavoro di Jean Paul Sartre L’Essere e il Nulla, divenuto un contributo sostanziale al mondo della filosofia e della psicologia, troviamo una particolare dicotomia dell’Essere, la quale è essenziale per una migliore comprensione della malafede. Il primo lato di questa dicotomia è l’Essere in sé (fr. en soi) ‒ una modalità d’esistenza che si applica solo agli oggetti inanimati del mondo esterno, non agli esseri umani. Come scrive lo stesso Sartre, ogni materialismo considera gli esseri umani «come oggetti, cioè come una somma di reazioni determinate che nulla distingue dalla somma delle qualità e dei fenomeni che formano un tavolo, o una sedia, o una pietra». [6] Poiché tutto in questa esistenza porta l’ombra di una certa dualità, l’essere in sé come se fosse una moneta capovolta mostra il suo lato opposto, che è l’essere per sé (fr. pour soi). Sartre lo definisce come la nostra coscienza: le capacità umane di consapevolezza, libertà, azione e negazione. Questi due elementi costituiscono la totalità dell’essere umano – l’ Io.
L’esempio iniziale della ragazza, in questo caso, vuole mostrare come tenendo poggiata indifferentemente la sua mano sotto quella dell’uomo, la trasforma in un oggetto (cioè in un Essere in sé) che non ha niente a che vedere con la sua integrità come ‘Io’ (Essere in sé + Essere per sé/ corpo e coscienza). Diventa un oggetto che non è in relazione con la sua coscienza. Questo tipo di essere non è né passivo né attivo; per dirla in altre parole, è divenuto inattivo, come fosse la mano di un manichino di plastica stesa sul tavolo. La sua scelta è quella di rinunciare alla propria libertà di prendere decisioni.
Desiderare di ottenere la piena, totale ed assoluta libertà è un desiderio squisitamente umano, che si rapporta al desiderio di raggiungere lo status di Dio; almeno nel senso di avere il controllo su tutti gli aspetti della nostra vita. Tuttavia questa possibilità è palesemente irrealizzabile, perché la libertà assoluta richiederebbe uno sforzo che, in quanto esseri umani, non riusciremmo a sostenere. Un essere umano è semplicemente prigioniero della sua libertà. È condannato ad essa, gettato in essa. Invece di essere una liberazione, la libertà diventa improvvisamente la preziosa Bugatti da due tonnellate senza chiavi. Dal momento che l’uomo risulta essere catturato dalla malafede, la libertà assume il carattere di una necessità necessità nella sua vita, non quello di una capacità primaria su cui si costruisce l’esistenza umana. Nelle parole di Sartre la libertà assoluta declinata nella malafede si percepisce come angoscia e sofferenza. Perciò, ecco la risposta alla domanda che ci siamo posti all’inizio: “Perché ci caschiamo?” Perché la malafede è forse un facile rimedio che potrebbe attenuare questa nostra sofferenza.
[1] Uno degli esempi di malafede presentato da Sartre nel suo L’Essere e il Nulla. J. P. Sartre, L’Essere e il Nulla, trad. di Giuseppe del Bo, Il Saggiatore, Milano 2013, p. 92.
[2] Eric Dodson Jean-Paul Sartre, Lecture 2: Bad Faith and the Horror of Freedom di Eric Dodson, pubblicato il 12 aprile 2020, Youtube: https://youtu.be/_9ButiaB9p0
[3] Li definisco inconsci perché, di regola, nei momenti di autoinganno gli individui non vogliono o semplicemente evitano di ammettere di essere coscienti.
[4] Si tratta del concetto di ‘gettatezza’ heideggeriano (ted. Geworfenheit) che descrive la condizione dell’ ‘essere gettato nel mondo’ propria dell’essere umano, ad esempio in una famiglia, in certe condizioni sociali e culturali in un dato periodo storico.
[5] Nel suo romanzo La Nausea, Sartre espone la condizione di nausea esistenziale che coglie gli esseri umani che si trovano nella malafede. J. P. Sartre, La Nausea, trad. di Bruno Fonzi, Einaudi, Torino 2014.
[6] J. P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanesimo, Mursia editore, Milano 2016.