In difesa
della memoria

Veronica Berenice
Editoriale

… provare a correggere/tenere a bada quel pericoloso e ‘caino’ bisogno di supremazia che, talvolta, anche nel caldo bacino familiare si annida

“E’ uno foresto” si dice ancora nelle campagne veneziane, di qualcuno di cui non si conoscono le origini; quest’ultime, le origini o le radici che dir si voglia, sono per la gran parte della storia dell’uomo qualcosa su cui far fede in virtù di un bisogno di sicurezza. Su questa necessità abbiamo fondato tribù, comunità, feudi, monarchie e stati; l’assenza di negoziazione permessa dal sangue, in altri termini il patrimonio genetico che ci lega indissolubilmente ai nostri genitori biologici, è stata il motore per l’umano organizzato in sistemi sociali.

 

Per quanto però l’istinto di sopravvivenza, che sta alla base dell’istituzione ‘famiglia’, tenga sotto controllo la nostra volontà di potenza sul prossimo, non sempre il primo ha avuto ragione del secondo come la celebre storia di Caino ed Abele ci ricorda.

Per capire meglio come la famiglia abbia influenzato la vicenda umana, possiamo soffermarci su un momento storico, attorno l’anno 1000, quando le famiglie di confessione giudaica, provenienti dalla Mesopotamia e dalla Palestina, vennero invitate a vivere in Europa.

La motivazioni alla base di questo invito da parte delle popolazioni stanziate in Europa sono da un lato il fatto che gli Ebrei potevano operare nel mondo del prestito di danaro (pratica negata ai Cristiani perché peccaminosa); dall’altro l’assenza di norme e tutele per il commercio. La soluzione escogitata per questo, come lo chiameremmo oggi, vuoto legislativo fu quella di appoggiarsi alla forte connessione comunitaria del mondo ebraico. Un escamotage che garantiva la sicurezza e l’efficacia dei commerci e che si realizzava più o meno così: un artigiano che volesse commerciare i propri prodotti poteva affidarsi ad un conoscente ebreo che gli avrebbe creato una rete di vendita all’interno del suo sistema familiare permettendo così al nostro artigiano di contare su una filiera controllata e meno soggetta al pericolo di furfanti che sparissero all’orizzonte senza pagare.

Questo esempio però ci consente di discutere del rovescio della medaglia rispetto all’istinto di sopravvivenza: quella già sopra citata volontà di potenza sul prossimo. Infatti poco dopo, specificatamente nel 1066 a Granada, la volontà di potenza delle popolazione cristiane, impaurite dalla presenza di potenti famiglie ebraiche, ha preso il sopravvento e sbilanciato gli equilibri con il mondo ebraico. Non tollerando un rivale così insidioso economicamente e così simile nelle origini religiose iniziarono i primi Pogrom che si espansero poi nell’Europa tutta.

L’essere umano, quindi, vive questo costante tentativo di mediazione tra i suoi istinti più bassi e la spinta verso un maggiore benessere (sempre che si sappia davvero cosa sia questo maggiore). Ovunque si decida di volgere lo sguardo, la questione familiare muove la società e di moda in moda, di necessità in virtù, arriviamo ai nostri giorni, quando la famiglia trova la sua più profonda crisi e messa in discussione. 

Lo sviluppo economico, la libertà sessuale e una via via più inclusiva visione delle questioni legate al genere, hanno prodotto un mondo che non ha più bisogno di un sistema familiare così come l’abbiamo conosciuto e ci troviamo così a ridiscuterlo per trovare un modo di fare famiglia che sia congeniale ai tempi moderni. Il mondo d’oggi offre, nei paesi più sviluppati, la più elevata forma di welfare sociale che l’umano abbia incontrato, e come è normale che accada, assicurati i bisogni primari, l’umano si innalza e cerca di diventare pienamente partecipe del suo destino. 

Così, è della libertà di essere pienamente se stessi che il mondo sviluppato parla, ossia dell’evolversi da un ruolo determinato dal solo fine biologico della sopravvivenza della specie e provare a correggere/tenere a bada quel pericoloso e ‘caino’ bisogno di supremazia che, talvolta, anche nel caldo bacino familiare si annida.

Oggi in Italia si discute della possibilità di scegliere, per i nascituri, di chi tra i genitori assumere il cognome, liberandoci così dall’imposizione arcaica che vede nel figlio maschio l’unico trasmettitore del cognome della famiglia.

Il maschile che è segnato dell’essere vittima di ogni aspettativa e responsabilità, sul quale ricadono, non importa la propensione, le speranze sociali ed economiche della famiglia. E se questa è la sorte del maschile, quella femminile non è di certo giovata da presupposte leggerezze; invece è chiaro che si è andato infantilizzando la figura femminile, marginalizzandola da ogni responsabilità e possibilità di accesso al patrimonio familiare ed ostracizzandole quello sociale.

Ogni storico che si rispetti sa quanto siamo ciechi rispetto alla storia vista dalla prospettiva femminile ed di come ci si sia privati del potenziale umano del 50% della popolazione. Seppur oggi non si possa, ne si debba, operare nel passato, si può  e si deve operare nel presente, rendendo libera la famiglia di essere qualsiasi tipo di famiglia voglia essere e di conservare le storie del proprio passato e delle proprie radici. Perché se la famiglia come istituzione e come luogo di protezione si sta indebolendo è perché non è più tollerato che alcuni siano spinti in avanti ed altri lasciati indietro. Agli annali dobbiamo riportare i cognomi delle donne oltre a quelli dell’uomo affinché non ci siano mai più enormi pezzi di storia perduti perché qualcuno ha creduto che non fosse necessario ricordare.

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