Il tempo
discreto

Michele Diego
Scienza

Questa visione per così dire granulare o atomistica del tempo, pur essendo stata proposta nel passato da alcuni pensatori e, secondo alcuni, persino da Democrito e Platone, non è ancora mai entrata in una teoria fisica maggiore come teoria della relatività di Einstein o la meccanica quantistica.

Qual è la più piccola frazione di tempo che abbiamo misurato nella nostra vita? Un secondo, cercando il punto esatto in cui avevamo interrotto un video su YouTube? Magari un centesimo di secondo, per decretare al fotofinish il vincitore di una competizione sportiva o per calibrare i parametri di una macchina fotografica prima di uno scatto? Un femtosecondo (lo 0,000000000000001 di un secondo) lavorando in un laboratorio laser? Qualsiasi sia stata la nostra risposta, possiamo essere certi che quel tempo possa essere diviso in due, ottenendo due frazioni di tempo più piccole. In linea di principio, questa suddivisione può proseguire all’infinito, spezzando a metà intervalli di tempo via via più brevi. Se si procedesse realmente fino all’infinito, si otterrebbe una frazione di tempo infinitesimale, che noi comunemente chiamiamo istante.
Alla domanda rispetto a che cosa sia davvero un istante e in che modo arte e scienza approccino tale concetto, è stato dedicato l’articolo scientifico del precedente numero de La Livella [1]. In quell’occasione, però, ci siamo volutamente fermati alla concezione del tempo di Isaac Newton. La struttura newtoniana del tempo è, d’altra parte, anche la nostra concezione temporale, che utilizziamo nella vita di tutti i giorni. In questo nuovo articolo, vorremmo riprendere da dove avevamo lasciato, per mostrare che, a ben vedere, le cose non sono affatto così semplici.

L’idea di Newton circa il funzionamento del tempo si basa sull’assunzione che esista un tempo indipendente dall’universo, esterno ad esso, assoluto, inalterabile, il quale procede autonomamente scandendo i battiti temporali come un eterno metronomo, secondo dopo secondo, istante dopo istante. E anche noi, tutto sommato, immaginiamo le cose allo stesso modo: se guardiamo un film della durata di dure ore, diamo per scontato che al termine del film anche per tutto il resto del mondo siano passate due ore; se partiamo per un viaggio di una settimana, al nostro ritorno diamo per scontato che anche per chi è rimasto a casa sia passata una settimana. In qualche modo immaginiamo che esista un ‘ora’ valido ovunque nell’universo e che se potessimo fermare il tempo, tutti saremmo immobilizzati nello stesso identico istante. In altre parole, nell’universo di Newton, gli istanti sono punti su una retta: dati due istanti A e B, si ha sempre che A<B (A precede B) o B<A (B precede A) o A=B; altre opzioni non sono date: due eventi accadono simultaneamente oppure uno dei due accade prima dell’altro.
Nulla di più normale, apparentemente. Eppure Albert Einstein ci insegna che tale assunzione è falsa. La verità è che il tempo è qualcosa di più complesso e per comprendere i fenomeni dell’universo bisogna liberarsi da ciò che appare naturale e intuitivo. Senza dilungarci in spiegazioni che vanno al di là dello scopo di un articolo divulgativo, possiamo dire che la grande intuizione di Einstein è stata la comprensione che la velocità della luce è una costante in qualsiasi sistema di riferimento la si misuri. Che cosa significa questo? Facciamo un esempio concreto: siamo seduti all’interno di un treno che si muove alla velocità di 100 km/h e ci passa accanto un altro passeggero che cammina nella direzione di marcia a 10 km/h. Essendo noi all’interno del treno, vediamo il passeggero muoversi a 10 km/h. Tuttavia, un uomo che osservi la stessa situazione dall’esterno del treno, vedrebbe l’uomo muoversi a 110 km/h (la somma della velocità del treno più quella del passeggero). La velocità del passeggero cambia a seconda del sistema di riferimento in cui la si misuri. Un astronauta dovrebbe aggiungere alla velocità del passeggero e del treno anche quella della Terra. E così via.
Per oggetti molto veloci, come la luce, ci accorgiamo che in realtà ciò non è vero: un raggio di luce si muove alla stessa velocità se misurato dall’interno del treno, dal di fuori, o anche dallo spazio.
Da questo punto di partenza, ragionando attraverso esempi non dissimili da quello appena descritto, Einstein ha mostrato come sia falsa l’idea che due eventi A e B accadano o simultaneamente o uno prima dell’altro. Proviamo a mostrare perché. Siamo sempre nel treno che si muove a 100 km/h e ci posizioniamo esattamente al centro del vagone. Accendiamo due torce, una diretta verso la testa del treno (torcia 1), l’altra diretta verso la coda (torcia 2). Dalla torcia 1 esce un raggio luminoso (raggio 1) che raggiunge la parete anteriore del vagone (parete 1). Dalla torcia 2 esce il raggio 2 che raggiunge la parete posteriore (parete 2).
Il tempo impiegato dal raggio 1 a raggiungere la parete 1 è lo stesso impiegato dal raggio 2 a raggiungere la parete 2, avendo noi posizionato le due torce al centro del vagone. I due eventi sono quindi simultanei. Se però guardiamo lo stesso esperimento dall’esterno del treno le cose cambiano radicalmente. Poiché abbiamo detto che la velocità della luce è uguale se misurata dall’interno o dall’esterno del treno, il raggio 1 impiega più tempo del raggio 2 a raggiungere la rispettiva parete. Ciò dipende dal fatto che, visto dall’esterno, il treno si muove e così facendo la parete 1 si allontana dal raggio 1, mentre la parete 2 va incontro al raggio 2. Il raggio 2, quindi, deve percorrere meno strada e raggiunge la parete prima dell’altro.
L’arrivo dei raggi luminosi sulle pareti, quindi, dall’esterno del treno, non è più simultaneo. Un osservatore in un secondo treno, che si muova sufficientemente veloce in direzione opposta a quello in cui sono posizionate le torce, vede gli eventi temporalmente invertiti, ovvero il raggio 1 raggiunge la parete 1 in un tempo più breve di quanto impieghi il raggio 2 a raggiungere la parete 2.
Non esiste un osservatore che ha ‘più ragione’ dell’altro sull’ordine cronologico degli eventi, semplicemente occorre arrendersi al fatto che l’idea del tempo come di una retta su cui i tempi sono ordinati uno dopo l’altro è un preconcetto che si è rivelato falso. Sistemi di riferimento diversi danno cronologie diverse, e non ne esiste una ‘più vera’ dell’altra.
Con questo, tra l’altro, non abbiamo affatto esaurito la questione. Le bizzarrie einsteiniane sul tempo vanno ben al di là di quanto appena descritto: il tempo scorre più lentamente quanto più ci si muova velocemente (per la luce il tempo non scorre affatto), il tempo rallenta vicino ad oggetti ad alta attrazione gravitazionale (su questo effetto si basa buona parte della trama di Interstellar), etc.
Ciononostante le teorie di Einstein e di Newton hanno qualcosa di fondamentale in comune: entrambe considerano il tempo come un’entità continua, divisibile all’infinito e in infiniti istanti, tra due istanti distinti esiste sempre un altro istante che potrebbe frapporsi tra essi. Ciò, in altre parole, significa che non esiste una frazione di tempo minima indivisibile, come un mattoncino temporale minimo di durata piccola ma pur sempre non infinitesima col quale si costruisce il tempo.
Questa visione per così dire granulare o atomistica del tempo, pur essendo stata proposta nel passato da alcuni pensatori e, secondo alcuni, persino da Democrito e Platone [2,3], non è ancora mai entrata in una teoria fisica maggiore come la teoria della relatività di Einstein o la meccanica quantistica. Tuttavia esistono teorie più recenti che si ripromettono di conciliare la relatività con la meccanica quantistica (che attualmente sono invece in contrasto una con l’altra), proprio attraverso questo processo di atomizzazione o – come si usa dire in fisica – di discretizzazione del tempo.
Ad ogni modo, vi è un tempo minimo ad di sotto del quale non esiste una teoria fisica valida che sia in grado di fare delle previsioni sulla natura. Si chiama tempo di Planck e corrisponde a 5,39×10^-44 secondi. A questa scala, lo spazio-tempo stesso perde di significato fisico e le leggi della fisica non sono più applicabili. Per cui, nonostante la fisica non preveda ad oggi una vera a propria discretizzazione del tempo, essa è in qualche maniera implicitamente connaturata ai limiti delle teorie attuali. Sotto il tempo di Planck non siamo in grado di dire che cosa accada della realtà e quindi, in un certo senso, tutta la nostra comprensione del mondo avviene in maniera non continua, ma piuttosto come frame di una pellicola che si susseguono nella proiezione di un film dal Big Bang ad oggi.

[1] Balthus e il calcolo infinitesimale (https://lalivellamagazine.com/balthus-e-il-calcolo-infinitesimale/)

[3] Carlo Rovelli, L’ordine del Tempo, Adelphi (2017).

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