… un problema del domani, di cui le generazioni future dovranno gestire l’impatto etico.
A parere di chi scrive, le tragicomiche dichiarazioni su migrazioni e rimedi del 45° presidente americano Donald Trump, sono un monito per la riflessione che vorrei proporre:
“avevo detto che avremmo costruito un muro al confine con il Messico e il muro verrà costruito. A chi mi chiede se lo pagheranno gli americani, rispondo che in qualche modo sarà il Messico a rimborsarci” D. Trump, 2017
Tra gli svariati appellativi possibili, di certo quello di “innovatore” non può competere all’ex presidente, giacché quella del muro non è affatto un’invenzione americana. Le cinte murarie volte a separare un vago “noi” da un sempre preciso “voi”, sono un’architettura che abbiamo visto lungo tutta la storia del mondo: dai castelli medioevali italiani, alla muraglia cinese fino ai ghetti ebraici.
Eppure, anche se le dichiarazioni di Trump ci potrebbero sembrare stantìe, testimoniano almeno che qualcosa della metafisica del muro permane ad aleggiare su di noi, insieme alle tratte aree del nostro mondo globalizzato.
E per quanto talvolta possiamo considerare la costruzione di muri come un naturale espediente dell’uomo necessario per tutelarsi da eventuali invasori, sappiamo che in molte occasioni non è stato così. Muri sono stati edificati per isolare al loro interno altri umani (come nel caso del ghetto) ed altre volte muri meno tangibili ma più sottili come quello che divide l’uomo civilizzato da quello silvestre, dall’uomo secondo natura, dal selvaggio che deve essere “umanizzato” anche con la forza come leggiamo nei trattati dei missionari del ‘700 e le cui conseguenze inimmaginabili hanno creato un effetto domino tale da portare oggi orde di “invasori” dritti sulle coste del mediterraneo, luogo di mitologiche creature e di fallimenti umanitari.
Per onestà intellettuale intendo precisare che lo scopo di questo articolo non è enumerare gli sforzi di tale organizzazione o le mancanze di talaltro governo, bensì quello di provare ad osservare la questione da un lato che rivela l’aspetto seriale del problema e che in molti prima di me hanno scorto: non c’è muro più efficace della povertà.
«ll diavolo fa le pentole ma non i coperchi»[1]; così è anche per il mondo occidentale, il quale, dopo aver attinto alle risorse primarie dell’Africa sconvolgendone i delicati equilibri politici, ecologici e sociali, si trova da anni vis à vis con le conseguenze inimmaginabili di tale politica estera. Solo una tra queste conseguenze è quella che anima il dibattito pubblico: la marcia sull’Europa di frange di un’umanità disperata e pronta anche ad imbarcarsi in pessime condizioni nautiche per cercare, a casa dei predatori della loro terra, di conquistarsi un pezzo di tanto agognata serenità.
Stupirsi di come questi poveri cristi non abbiano la nostra sensibilità è sia spocchioso che di cattivo gusto.
Perché la verità, dura da accettare, è che se pure è difficile per chi gode di molteplici privilegi sviluppare una sensibilità sottile vien da chiedersi come sia possibile pretenderla da chi non sa se raggiungerà l’arduo obiettivo di mettere assieme il pranzo con la cena. Ebbene questa comune pretesa lascia chi scrive nel pieno dello sbigottimento. E questo senza prendere in considerazione i traumi psicologici che si annidano in chiunque sia stato costretto a lasciare i luoghi che riconosce come familiari, le persone che ama e le tradizioni che costituiscono la sua cultura natìa. Aspettarsi poi che dopo l’esser fuggiti (si fugge, non si trasloca) da luoghi ormai inospitali, con nulla che non sia la propria pellaccia, si abbia la forza mentale, l’educazione pregressa e la determinazione di far, per così dire, il filosofo è onestamente la più grande panzana che alcuni dei “noi” usano per giustificare lo svilimento e la necessità di costruir muri per i “voi”.
Giusto per rendere più fruibile la comprensione del dilagarsi del problema, sulla piattaforma Netflix è disponibile un documentario molto interessante che si intitola L’inizio della vita, e mostra come i primi anni dalla nascita siano determinanti per la costituzione degli adulti di domani.
Nel dimostrare quella che potrebbe sembrare un’ovvietà, il documentario evidenzia però un punto chiave: i genitori che vivono in condizioni di scarsità e diseducazione, e che quindi possiedono un patrimonio linguistico poco sviluppato, non hanno la possibilità di trasmettere all’infante la varietà di parole e contenuti a quanto possono fare donne e gli uomini più fortunati. Questo, detto seppur con gran dolore, influenza negativamente lo sviluppo neuronale del bambino. Evidentemente non tutti i bambini partono dal medesimo punto e questo si riflette sugli adulti di domani, sulle loro scelte ed ambizioni.
Il muro della povertà, di cui le rotte migratorie sono sintomo (e che fa comodo all’occidente per svariate ragioni, una tra le quali mantenere siti di produzione tecnologica a costi di mercato “ragionevoli”) è un boomerang che torna sempre indietro.
Ogni magagna che nascondiamo dietro ad un muro finisce col crescere e diventare un problema del domani, di cui le generazioni future dovranno gestire l’impatto etico.