Il momento
della luce

Michele Diego
Scienza

Ma allora come può la luce, senza massa, possedere un momento ed essere quindi in grado di spingere via un ostacolo?

È notte. Un uomo su una collina tiene in mano una lanterna pronta per essere accesa. Sulla collina di fronte, un secondo uomo, ugualmente dotato di lanterna spenta, è in attesa. Appena vedrà la lanterna dell’altro illuminarsi, accenderà anche la propria. Il primo uomo è Galileo Galilei, il secondo un suo assistente. Lo scopo dell’operazione è misurare la velocità della luce. Galileo pensa di riuscire a misurare l’intervallo tra l’istante in cui egli accenderà la lanterna e quello in cui osserverà la luce proveniente dalla lanterna del suo assistente. Successivamente, sarà sufficiente conoscere la distanza tra le lanterne per calcolare la velocità della luce. Un’idea semplice ed efficace sulla carta, ma impossibile da realizzare con gli strumenti di allora. Se, ad esempio, supponiamo che tra i due uomini ci sia una distanza di due chilometri, la luce impiegherebbe circa un millesimo di millesimo di secondo a percorrere l’intero tragitto ‒ un tempo chiaramente impensabile da registrare affidandosi ai soli riflessi umani.
Oggi sappiamo che la velocità della luce nel vuoto è di circa trecento mila chilometri al secondo. Di più: sappiamo che nulla può andare più veloce della luce. E questo limite non deriva da una constatazione empirica, ovvero dal fatto che non si sia ancora trovato un oggetto in grado di superare la velocità della luce, bensì da calcoli teorici, contenuti all’interno della Teoria della Relatività di Einstein. Nella sua opera, infatti, il genio tedesco ha dimostrato che esiste nell’universo una velocità limite, oltre la quale non è possibile andare. I corpi dotati di massa, per altro, non solo non possono superare tale velocità, ma non possono nemmeno raggiungerla. La luce, poiché non è dotata di massa, può muoversi esattamente a quella velocità limite, che infatti noi definiamo come ‘velocità della luce’.

Ma che cos’è, esattamente, la luce? Comunemente la identifichiamo come ciò la cui presenza ci permette di vedere il mondo intorno a noi. In realtà la luce visibile è solo una piccola porzione del suo intero spettro ‒ o più precisamente spettro elettromagnetico. Ci sono infatti i raggi X, le onde radio, le microonde, le radiazioni gamma ed altre che ne fanno sempre parte: si muovono alla velocità della luce, ma non sono percepibili dai nostri occhi. Ciò che distingue tra loro la luce visibile, i raggi X, le onde radio e gli altri tipi di luce elencati è l’energia delle particelle di cui sono composti, chiamate fotoni. Fotoni molto energetici danno vita a raggi gamma, altri poco energetici corrispondono a onde radio; la luce visibile è composta da fotoni di energia “media”, per così dire. Possiamo insomma immaginare i fotoni come particelle che trasportano una certa energia e che compongono la luce. Abbiamo detto, però, che la luce non ha massa. Quindi i fotoni non hanno massa: sono particelle che trasportano energia, ma non hanno massa ‒ teniamo a mente questo passaggio, che sarà fondamentale nel prosieguo.
Ovviamente, le diverse tecnologie che fanno uso della luce sfruttano differenti fotoni per ottenere diversi risultati. La fotografia è sostanzialmente l’impressione di materia attraverso la luce visibile. I raggi X sfruttano fotoni che interagiscono poco con i tessuti biologici e quindi sono in grado di attraversarli e “vedere” al nostro interno. Il microonde nella nostra cucina utilizza fotoni in grado di eccitare precisamente le molecole d’acqua contenute nel cibo ‒ motivo per cui si scalda la pietanza ma non il piatto che la contiene. Le onde radio hanno la capacità di viaggiare per lunghissime distanze senza essere assorbite dalla materia, quindi sono fondamentali per le telecomunicazioni. Altre tecnologie, come la fibra ottica, la comunicazione satellitare, vari trattamenti medici, etc. sfruttano altri fotoni con diverse energie.
Ne esistono però altre, più recenti, che non sfruttano direttamente l’energia dei fotoni, bensì la loro quantità di moto o momento. Che cos’è il ‘momento’ di un corpo, dunque? In maniera intuitiva, possiamo dire che un oggetto ha un momento tanto maggiore quanto più è in grado di spingere via un ostacolo. Per cui una bicicletta a cinquanta chilometri all’ora ha meno momento di un’automobile a cinquanta chilometri l’ora. A sua volta l’automobile avrebbe un momento ancora maggiore se invece che andare a cinquanta all’ora andasse a cento all’ora. Già da questi esempi banali, possiamo cogliere due aspetti fondamentali del momento: esso dipende dalla velocità di un oggetto e dalla sua massa. In fisica classica, infatti, il momento è proprio definito come il prodotto tra la velocità di un oggetto e la sua massa. Ma allora come può la luce, senza massa, possedere un momento ed essere quindi in grado di spingere via un ostacolo?
La risposta, ancora una volta, viene dalla teoria della relatività di Einstein. Nei suoi calcoli, la definizione classica di momento infatti viene rimpiazzata da un’altra, che la contiene ma la amplia, rendendola più generale, estendendo la sua validità anche nel caso di oggetti che si muovano a velocità elevatissime, come quella della luce. Nella nuova definizione einsteiniana, il momento è collegato all’energia di un corpo e non necessariamente alla sua massa e velocità. Abbiamo detto che i fotoni che compongono la luce hanno diverse energie e quindi, per quanto privi di massa, possiedono comunque un momento. Chiaramente un singolo fotone ha un’energia bassissima e di conseguenza anche il suo momento è piccolo. La spinta che un raggio luminoso esercita su di noi quando ci colpisce è chiaramente infinitesimale; nessuno ha mai percepito la pressione della luce solare spingerlo contro il lettino su cui è sdraiato al mare. Ciononostante tale pressione esiste, e può essere sfruttata per diversi scopi, alcuni molto futuristici.
Un primo esempio sono le cosiddette optical tweezers (pinzette ottiche), ovvero un fascio laser altamente focalizzato in grado di “imprigionare” al suo interno piccole particelle, sfruttando la forza esercitata dalla luce. In questo modo è possibile manipolare virus, batteri, cellule viventi, frammenti di DNA o piccole particelle metalliche, un po’ come si farebbe con delle pinzette. Un’altra applicazione, decisamente futuristica, utilizza il momento dei fotoni per spingere in avanti una nuova generazione di astronavi. L’idea è quella di costruire astronavi dotate di “vele” di materiale riflettente, contro cui i fotoni solari vanno a sbattere, spingendo l’astronave. Qualcosa di simile a ciò che accade per una barca a vela sospinta dal vento. Per quanto tale tecnologia sia ancora ai suoi albori, ci sono già esempi in cui essa è stata impiegata con successo. Ikaros è una sonda spaziale giapponese [1], che ha usato una grande vela di quasi 200 metri quadrati per sfruttare la propulsione dei fotoni solari in un viaggio interplanetario. Nel 2010 Ikaros è stato lanciato dalla Terra ed ha superato Venere, proseguendo poi la sua navigazione spaziale. L’ultimo contatto con Ikaros risale al 2015. Di più piccole dimensioni, LightSail 2 è un’astronave dell’organizzazione no-profit Planetary Society [2]. Coi suoi 30x10x10 centimetri cubi, possiede una vela di 32 metri quadrati. Per tre anni ha orbitato attorno alla Terra sfruttando la luce solare ad un’altitudine di 720 chilometri (come riferimento si pensi che la stazione spaziale internazionale orbita a 400 chilometri). Nel 2022 è tornata nell’atmosfera dopo un viaggio di otto milioni di chilometri.

Ti è piaciuto l’articolo? Lascia qui la tua opinione su La Livella.

Did you enjoy the article? Leave here your feedback on La Livella.

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on email
Email