Il carcere non è uguale per tutti

Sara Montesel
Attualità

Il diritto al giusto processo, la presunzione di innocenza e la salvaguardia dei diritti umani sono alcuni degli elementi imprescindibili di una società evoluta che comprende l’importanza della ricerca della verità, della possibilità di redimersi e del valore incondizionato della vita umana.

In occasione dell’ultimo simposio de la Livella Magazine tenutosi a Treviso il 19 novembre scorso, si sono potute esaminare, in compagnia del pubblico presente, le diverse sfaccettature del concetto di prigionia da vari punti di vista: storico, filosofico, artistico e d’attualità. In riferimento a quest’ultima lente, il tema è risultato particolarmente sentito sia a causa di alcune recenti modifiche legislative circa l’ergastolo ostativo in Italia, sia a livello più macroscopico e internazionale sul tema delle garanzie apprestate dal sistema giudiziario degli stati occidentali nei confronti dei detenuti e della discussione sulla finalità rieducativa della pena.

Il carcere fa la sua comparsa in Europa e America settentrionale sul finire dell’Ottocento, prendendo il posto dei castighi corporali più diffusi e brutali quali la gogna, le frustate pubbliche e le marchiature a fuoco, per citarne alcuni. Oggi, nel nostro ordinamento, esso ha assunto una finalità rieducativa volta al reinserimento del reo tra le fila della società civile; tuttavia, in alcuni ordinamenti il sistema carcerario sembra tendere ancora al solo scopo di infliggere una punizione più che di rieducare il condannato. In Iran, ad esempio, il carcere pare conservare una funzione meramente punitiva nei confronti di chi si oppone al regime. Il Paese è di recente assurto agli “onori” della cronaca per il caso di Masha Amini, la ragazza curda ventiduenne morta in circostanze sospette a seguito dell’arresto da parte della polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il velo. Le fonti governative hanno di recente diramato l’esito dell’autopsia, in base alla quale la ragazza non sarebbe morta per le percosse, ma a causa di una malattia al cervello che non avrebbe lasciato possibilità di soccorso. Nonostante le dichiarazioni ufficiali respingano la colpevolezza dell’istituzione, la morte di Masha ha dato seguito a numerose rivolte con eco internazionale contro il regime,ritenuto responsabile dell’accaduto.
Quella di Masha è solo una di tante storie di abusi perpetrati nelle prigioni iraniane. Tra i più noti, vi è il temuto carcere di Evin a Teheran, luogo da cui si dovrebbe transitare temporaneamente in attesa di processo ma in cui, di fatto, si aspetta a volte anche per tutta la vita. Gli oppositori del regime lo definiscono Università Evin perché è dove sono imprigionati intellettuali, insegnanti, artisti e, più in generale, tutti gli uomini e le donne che hanno lottato per il loro desiderio di libertà.
Le testimonianze delle brutalità perpetrate nei confronti dei detenuti nel carcere di Evin possono condurci a effettuare un primo distinguo sulle differenze strutturali e finalistiche che caratterizzano il sistema giudiziario a cui siamo abituati.
Infatti, sebbene anche il sistema occidentale abbia, purtroppo, dovuto confrontarsi con episodi di violenza da parte di alcuni membri dei corpi di polizia nei confronti di persone arrestate, è necessario discernere tra le casistiche in cui la cosiddetta police brutality deriva da un’esplicita richiesta del governo in merito al trattamento dei detenuti, rispetto a quando questa si configura come un grave incidente di percorso (vedasi ad es. casi Cucchi e Uva in Italia) in cui poi i membri dei corpi di polizia colpevoli vengono processati per gli atti commessi.
In secondo luogo, è importante notare come il sistema occidentale sia estremamente garantista dei diritti e della dignità umana di chi si trova in regime di privazione della propria libertà personale.
Prima fra tutti, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) identifica alcuni dei principi base per la tutela dei diritti delle persone limitate nella libertà personale e, più in generale, delle persone che entrano a qualsiasi titolo in contatto con il sistema giudiziario e penale nel proprio Paese. È il caso dell’art.5 che enuncia un principio fondamentale : “Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a punizione crudeli, inumani o degradanti”, dell’art. 9, che afferma che “Nessuno individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto, esiliato”, e dell’art.10, secondo cui “Ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad un’ equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.
Questi e tanti altri sono principi di tutela dei diritti fondamentali delle persone sottoposte a misure penali e si riferiscono universalmente a ogni persona senza distinzione dirazza, colore, sesso, religione o qualsiasi altra condizione.
Personalmente, credo sia molto importante ricordarci del valore delle norme che tutelano il nostro spicchio di mondo e mai sminuire la loro importanza anche nelle circostanze in cui il reo ci appaia assolutamente colpevole e non meritevole di tutela alcuna. Il diritto al giusto processo, la presunzione di innocenza e la salvaguardia dei diritti umani sono alcuni degli elementi imprescindibili di una società evoluta che comprende l’importanza della ricerca della verità, della possibilità di redimersi e del valore incondizionato della vita umana.

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