I Diritti della Ragione

Thomas Masini
Filosofia

Tutto ciò che può essere pensato può essere compreso, e tutto ciò che può essere compreso razionalmente deve trovare posto nella discussione filosofica.

 

     Il nostro percorso filosofico, dopo Hume, dovrebbe affrontare il pensiero complesso ed imprescindibile di Immanuel Kant, per poi proseguire in un ritmo serrato attraverso l’Ottocento, con Hegel, Marx, Schopenhauer e Nietzsche. Ma, prima di procedere, vorrei aggiungere qualche parola a quanto scritto nell’articolo apparso sul primo numero della presente rivista, ossia ricalibrare quel discorso generale sulla Filosofia alla luce dei quasi duemila anni di pensiero affrontati.

     La prima cosa che spero di aver mostrato al lettore, è che la filosofia è una cosa seria. Questo non significa che, a certe condizioni, non possa essere affrontata con ironia, o che sia aliena al divertimento; significa però che, ad un certo livello, affrontarla senza serietà è peggio che non occuparsene affatto. La superficialità, in questo senso, renderebbe il lavoro inutile per chi lo compie e mortificante per il pensiero stesso. Quando un filosofo parla di Verità, quando espone quella che, secondo la sua ragione, è la realtà del mondo (sia esso fisico o metafisico) sta esprimendo idee così primigenie ed importanti che nessuna dimensione dell’umano vi è estranea. In quel momento si fa carico di una grande responsabilità, e lo fa mettendo in campo tutto se stesso e le proprie capacità. Considerare questo un mero gioco dialettico è sciocco e dimostra più la stupidità del giudicante che del giudicato.

     In secondo luogo, spero di aver anche mostrato come la filosofia sia una materia difficile e complessa. Nel canone della Storia della filosofia sono presenti i maggiori ingegni che, nel mondo occidentale, si sono applicati alla materia. Per questo provo sempre un certo imbarazzo di fronte alla grande ‘autostima’ di chi, dopo qualche ora di studio, pensa di aver non solo compreso a fondo un  pensiero sviluppato nel corso di una vita intera, ma si ritiene in possesso di tali capacità da poterlo criticare e confutare in così poco tempo e secondo ragione e verità. Auguro a queste persone di trovarsi sempre in spazi abbastanza ampi da contenere la vastità del loro ego.

     Date queste due premesse, vorrei parlare del momento di crisi nel quale la filosofia si trova oggi. Scrivo questo perché, nonostante continuino ad esistere facoltà nelle nostre università, e corsi nei nostri licei, la filosofia è gravemente ammalata, quasi sul letto di morte. No, non credo di essere troppo tranchant dando questo giudizio, ed ora mi accingo a spiegare per quali motivi ritengo che questa sia la realtà.

     Nel corso del suo lungo cammino, non vi è stato un periodo nel quale la filosofia non abbia avuto nemici pronti ad affondarle un pugnale nel petto, e questo credo sia abbastanza normale. Vivere è convivere con i propri nemici, che li si consideri tali o meno. Ed oggi, quegli avversari che sempre le sono rimasti appresso, sono ancora vivi e pronti a colpire, pure se indossano maschere diverse da quelle che coprivano il loro volto in passato. Voglio smascherare due di loro.

    Il primo è il dogmatismo. Fin qui nulla di strano: che qualcosa debba essere vero per tutti solamente perché io – e coloro a cui mi accompagno – lo credono, è l’esatto opposto del pensiero filosofico; è la dòxa (l’opinione) che si oppone all’alètheia (la Verità). Quest’ultima va intesa come l’idea supportata da un ragionamento razionale che si dimostra indiscutibile, accada sia perché chi volesse negarlo sarebbe costretto a riaffermarlo (élenchos: ad esempio il principio di non contraddizione), sia perché si tratta di qualcosa di così evidente che chiunque, in qualsiasi luogo o tempo, portato a ragionare su tale idea la riconoscerebbe come vera (ad esempio il giudizio analitico: “il triangolo è la quella figura della geometria euclidea che possiede tre lati e tre angoli”). In passato il dogmatismo riguardava principalmente le ‘verità’ di fede, ed è ancora così in certi paesi – si pensi a quelli retti dai governi teocratici islamici, dove vige la Shariʿah, o la teocrazia di fatto presente in Israele. Tuttavia, questo dogmatismo si manifesta anche in modi ben più subdoli e pervasivi. Quante volte accade che, durante una discussione, qualcuno brandisca la clava (perché è questo il suo equivalente fisico) dei “principi non negoziabili” o delle “verità indiscutibili”; ovvero ponga un limite oltre il quale pensare – e per pensare è sempre necessario cogliere tutti i lati, quindi anche quelli negativi – sia moralmente e razionalmente, se non legalmente, proibito? Vorrei che questo punto fosse chiaro: per quanto siano nobili ed alti i moventi, pensare che esista qualcosa di cui non sia lecito discutere è un atteggiamento dogmatico e, immediatamente, anti-filosofico.

Apro una parentesi. Ora sono costretto ad aggiungere, per prevenire lo sciocco di turno, che esprimere un ragionamento è diverso dall’insultare; ma se qualcuno dei miei lettori ha davvero pensato questo, ha davvero pensato che io stessi tutelando una qualche libertà di insulto e denigrazione, lo invito a chiudere l’articolo e a non proseguire oltre. Dubito che potrebbe trarre qualche giovamento dal leggere quanto segue. Allo stesso tempo, qui io uso diversi termini che nel linguaggio comune vengono assunti nella categoria degli ‘insulti’; ma, oltre a non essere rivolti verso individui particolari, essi vanno letti nel loro senso tecnico, come descritto dalla loro etimologia. Chiusa parentesi.

Questo atteggiamento dogmatico così diffuso – conosco ben poche persone che ne siano immuni, e nel dibattito pubblico è una vera e propria pandemia – nasce a mio parere da due opinioni, due pregiudizi profondamente radicati nella nostra società.

La prima è quella che identifica il comprendere con il giustificare. Ad esempio, si ritiene che tentare di comprendere i moventi razionali di un’azione o di un discorso violenti o contrari al senso comune sia di per sé una forma di loro giustificazione. Cercare di comprendere razionalmente, ad esempio, le nefandezze su base razziale o discriminatoria in genere compiute dai nazisti è proibito, perché così sembra li si voglia giustificare. Molto meglio dire – e peggio insegnare nelle scuole – che un giorno un pazzo ha preso il potere e ha devastato l’Europa e il mondo. Così certamente non si corre nessun rischio di giustificazione; peccato però che questa sia la strada sicura per allevare generazioni di idioti che, proprio per non aver capito, sono destinati a ripetere. Per altri soggetti, invece, vige l’imperativo contrario: “comprendere! comprendere e giustificare sempre e comunque!” – e mi sto riferendo ovviamente alle posizioni ‘terzomondiste’ di chi è sempre pronto a perdonare, a patto che l’atrocità sia commessa da persone o popolazioni economicamente o socialmente svantaggiate. Questo è dogmatismo.

La seconda è l’opinione per la quale chiunque si faccia portavoce di un discorso contrario a certi valori o a certi principi sia squalificato moralmente e razionalmente; ossia, a seconda delle occasioni, un malvagio o un pazzo. In questo caso si ritiene che la propria opinione (e dico ‘opinione’ perché, se fosse un’idea, non avrebbe alcun problema a sottoporsi al vaglio della ragione) sia così vera, così certa ed evidente, che chiunque provi a metterla in discussione debba essere necessariamente affetto da una tara mentale o morale. È interessante notare come chi oggi invoca l’apertura di centri di rieducazione per i propri ‘avversari’, riproponga un modus operandi che accomunava sia il nazifascismo che il totalitarismo comunista. Magari al netto della violenza fisica, ma il progetto di fondo è lo stesso. A questa fattispecie di dogmatismo si lega la battaglia contro uno dei ‘grandi mali’ che oggi si cerca di estirpare dalle nostre società: il cosiddetto “discorso d’odio”, ossia qualsiasi esternazione che sia critica – in modo più o meno violento – verso una categoria ritenuta ‘da proteggere’. Mi permetto in questo caso di fare un paio di appunti. Il primo è che l’insulto – nelle forme giuridiche della calunnia e dell’ingiuria – è già punito da tutti i sistemi legislativi occidentali. Perché allora non usare queste fattispecie? La risposta è che in realtà si cerca di punire qualcosa di molto più ampio e sfumato – praticamente tutto o quasi. Secondo, il detto biblico ‘ne uccide più la lingua che la spada’ [Siracide: 28,18], è una cretinata. La violenza fisica colpisce a prescindere che la vittima voglia essere colpita o no; le parole, invece, siano scritte o pronunciate, possono certo far arrabbiare od offendere, ma se qualcuno non vuole né arrabbiarsi né offendersi, allora esse sono innocue. Non si tratta di un evangelico ‘porgi l’altra guancia’, ma di decidere quanto potere gli altri possano esercitare su di noi. A questo proposito, per far sì che chiunque si senta sempre offeso da qualsiasi critica, abbiamo inventato la permalosità per procura: qualcuno critica una categoria di persone, e ad offendersi ed insorgere – quasi sempre in modo verbalmente o socialmente violento – sono persone che nulla hanno a che fare con tale categoria. Sarebbe bello se questo nascesse dalla comprensione delle parole di Terenzio «Homo sum, humani nihil a me alienum puto»; purtroppo non è così. Ciò che è davvero in gioco, in questo caso, è l’esacerbare gli animi, il dirigere la massa in vista di una strumentalizzazione per scopi ben poco nobili. Anche tutto questo è dogmatismo; e della peggior specie.

     Il secondo nemico della filosofia è di segno totalmente opposto rispetto al dogmatismo: si tratta del cinismo. Ovviamente non mi riferisco qui alla corrente filosofica antica, ma ad un atteggiamento che nasce da una pessima interpretazione del relativismo, e che è diventato quasi una moda in quegli individui delle generazioni più giovani che non sono intruppati in qualche movimento ideologico. Questo il ritornello: “tutto è relativo, quindi tutto è privo di valore”; ed è così che qualche imbecille si sente intelligente solo perché non approva nulla, non crede in nulla, non sostiene nulla, ma si limita a criticare e distruggere tutto ciò che incontra. Il metodo prediletto è quello dell’ironia, ma non con l’intelligente sagacia di un Karl Kraus, di un Ennio Flaiano o di un Oscar Wilde. Solitamente si tratta di battute stantie, idiote, che semplificano fino alla farsa mancando sempre il cuore del discorso, e lungi dal manifestare l’intelligenza di chi le pensa, ispirano nei suoi confronti una certa pena ed imbarazzo. Il movente è il desiderio di dimostrarsi superiori a chi crede fideisticamente in qualcosa ma, come sempre, se si cerca di evitare una deriva gettandosi irrazionalmente nel suo opposto si cade nel medesimo errore, anche se a segno invertito. Questo contraltare del dogmatismo ne rispecchia in pieno la superficialità e per questo motivo è un nemico della filosofia. Non ne dirò di più, perché  chiunque abbia mai avuto a che fare con una applicazione social ne avrà fatto esperienza e tanto basta.

     Infine, come vuole la prassi filosofica, dopo la pars destruens del discorso viene la pars construens. Nella sua opera I problemi fondamentali della filosofia, Georg Simmel scrive: «Se dell’arte si può dire che essa è un’immagine del mondo vista attraverso un temperamento, la filosofia è a sua volta un temperamento visto attraverso un’immagine del mondo».[1] Concordo con Simmel, nel senso che una filosofia intesa come ‘descrizione vera del Tutto’ è una manifestazione del temperamento di quel soggetto che l’ha pensata, ragionata, e strutturata. Si potrebbe dire che la filosofia è il filosofo, almeno nella sua razionalità, nella sua visione del mondo, nelle sue aspirazioni, virtù, malinconie e difetti. Tutto il suo essere è investito nell’atto del filosofare, e, allo stesso tempo, tale atto non è affatto privato o escludente. La filosofia ha come linguaggio primo la razionalità perché così ogni essere umano – in quanto zòon lògon èchon, animale razionale – vi può partecipare; ogni sistema filosofico è aperto alla comprensione e alla critica di qualunque essere vivente disponga della razionalità necessaria per affrontarlo. Certo ha le sue complessità, il suo linguaggio specifico, i suoi usi e costumi, ma nulla che non possa essere appreso applicandovisi con costanza e serietà. Questa è la vera natura del pensiero razionale e libero, che non cede alle sirene del dogmatismo e del cinismo: essere a portata di ognuno, di modo che ognuno possa comprenderlo, discuterlo e criticarlo. Nessun centro di rieducazione per i dissidenti, nessuna squalifica razionale o morale. La verità è che abbiamo camminato troppo, superato troppe difficoltà, contato troppi martiri del pensiero per lasciare che gli impresari di Dio-Yhaweh-Allah-Geova, o di qualsiasi altra divinità, ci dicano cosa possiamo o non possiamo pensare; e lo stesso vale, e ancor di più oggi, per gli impresari di qualsiasi ideologia, di destra o di sinistra, conservatrice o progressista. Similmente, non possiamo farci condizionare dal ‘cinismo’ da quattro soldi di qualche insipiente che sa solo issare come vessillo il ghignare ottuso della sua superficialità.

Per tutto questo, io voglio metaforicamente alzarmi, e pretendere – sì, proprio così, non chiedere ma pretendere –, in filosofia, il diritto di discutere su qualsiasi cosa. Di ascoltare e pronunciare ogni pro-posizione, di ragionare su ogni accadimento, su ogni idea, su qualsiasi aspetto della realtà. Se questo non fosse più possibile, se per qualche motivo alcuni discorsi o alcune posizioni fossero cancellate d’ufficio, estromesse dal dibattito, zittite, nascoste o peggio perseguite socialmente e legalmente, allora non avrebbe più senso fare filosofia. Tutto ciò che può essere pensato può essere compreso, e tutto ciò che può essere compreso razionalmente deve trovare posto nella discussione filosofica. Poi, se sia vero o falso, giusto o sbagliato, giustificabile o ingiustificabile, andrà valutato di volta in volta, singolarmente, ma solo dopo averlo compreso a fondo – e questo vale, naturalmente, anche per il presente discorso.  Ognuno di noi deve pretendere questo diritto ed assumersi questo dovere, senza dogmatismi, senza cinismi. Perché la nostra libertà può sopravvivere solo se decidiamo di non deporre, di fronte a qualche idolo, la nostra razionalità. 

[1]  Georg Simmel, I problemi fondamentali della filosofia, SE, Milano 2009, p. 46.

Ti è piaciuto l’articolo? Lascia qui la tua opinione su La Livella.

Did you enjoy the article? Leave here your feedback on La Livella.

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on email
Email