Distruggere o rubare il patrimonio che racchiude il valore più radicato di una comunità significa privarla di radici, e con esse toglierle dignità e forza.
La marcia russa in Ucraina prosegue a tinte via via più cupe e demoralizzanti, tinte che portano un’eco di tempi passati. Nonostante i temporanei cessate il fuoco e la creazione di corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili, le immagini e le testimonianze dei maltrattamenti perpetrati da parte dell’esercito russo nei confronti della popolazione ucraina sono apparse e circolate nel web generando una compatta reazione internazionale, univoca nel chiedere che la Russia sia processata per crimini di guerra. Ma il Cremlino ha negato ogni tipo di coinvolgimento in questi crimini e sostenuto che le immagini di civili uccisi nei territori occupati dai Russi siano una montatura dei servizi speciali ucraini finalizzati alla propaganda occidentale anti-russa.
Nel frattempo, alle terribili immagini raffiguranti i cadaveri dei civili giustiziati in strada o ammassati in fosse comuni, si aggiungono quelle dei bombardamenti sul patrimonio culturale ucraino. Tenere in considerazione l’esigenza di preservazione del patrimonio artistico mentre una tale violenza imperversa a soli 1600km di distanza dall’Italia può apparire indelicato verso la tragedia che stanno vivendo altri esseri umani; ciononostante, pur riservando la massima priorità agli aiuti umanitari, non dobbiamo scordare che l’identità dei popoli affonda le proprie radici nella cultura tramandata nei secoli di generazione in generazione. Come tristemente appreso, in terra ucraina sono già stati distrutti il memoriale dell’Olocausto di Babyn Yar, il museo di Storia Locale di Ivankiv e l’Università e l’Accademia di Cultura di Kharkiv, mentre molti altri siti patrimonio mondiale dell’umanità quali la cattedrale di Santa Sofia o la Scalinata di Potemkin di Odessa – per citare solo alcuni esempi ‒ restano nel limbo dell’incertezza di una possibile distruzione.
Mai come in tempo di guerra il patrimonio culturale costituisce oggetto di attenzione; la protezione che oggi dedichiamo al patrimonio artistico è infatti in larga parte frutto della distruzione che la Seconda Guerra mondiale portò con sé e della maturata consapevolezza che tale patrimonio andava preservato con azioni condivise in tempo di pace. A ben vedere, il concetto stesso di bene culturale è figlio del periodo post-bellico essendo stato introdotto sul piano internazionale dalla Convenzione Internazionale dell’Aja per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato del 1954. Tra i più importanti meriti attribuibili a tale Convenzione, vanno sicuramente citati il superamento della tradizionale visione statalistica ed eurocentrica della protezione dei beni culturali e l’introduzione della nozione di patrimonio comune dell’umanità il cui depauperamento costituisce danno non solo per lo stato territoriale in sé, ma anche per le altre parti in conflitto, nonché per tutti i popoli del mondo. Distruggere o rubare il patrimonio che racchiude il valore più radicato di una comunità significa privarla di radici, e con esse toglierle dignità e forza. Non va infatti sottovalutato l’impatto emotivo che la motivazione ideologica accende nell’impulso di distruzione dei beni culturali. Come già anticipato, azioni del genere costituiscono il tentativo di annullare l’identità del popolo nemico, colpendolo al cuore della propria memoria storica. Oggi come ieri, la distruzione delle testimonianze culturali, l’annientamento di città e monumenti altro non sono che una tattica militare diretta all’annichilimento dell’avversario attraverso l’eliminazione degli elementi che lo caratterizzano culturalmente e socialmente.
Consci di ciò, si moltiplicano a lato del conflitto le iniziative a supporto degli artisti ed operatori culturali ucraini. Tra queste, per sostenere le iniziative dirette a rafforzare il senso di solidarietà europeo, la European Cultural Foundation ha lanciato il Culture of Solidarity Fund: Ucraine Edition. Tale Fondazione, nata nel 1954 a Ginevra, si impegna a rendere l’Europa un luogo più inclusivo e democratico ponendo la cultura al cuore di tale movimento aggregatore. Il Fondo europeo per la Cultura della Solidarietà, istituito nel 2020, ha l’obiettivo di sostenere iniziative culturali che, in mezzo alla crisi, rafforzino la solidarietà europea e l’idea di Europa come spazio pubblico condiviso. L’iniziativa sosterrà non solo l’informazione indipendente, con la condivisione di informazioni attraverso il web e il conseguente svincolamento dalla censura e dalla propaganda russe, ma anche spazi che offrano rifugio ad operatori del settore culturale ed attivisti della società civile costretti all’esilio. Infine, l’iniziativa sostiene anche tutte quelle espressioni dell’arte e della cultura che, resistendo alla situazione contingente, promuovono l’idea di un futuro pacifico per l’Europa.
[7] Emilia Maria Magrone, L’azione dell’Unesco per la protezione dei beni culturali inseriti nella lista del patrimonio mondiale culturale e naturale in caso di conflitti armati, in La Protezione Internazionale ed europea dei beni culturali, Andrea Cannone (a cura di).