Mirella è un nome perduto d’una storia d’altri tempi dimenticata
«In riconoscimento della chiara originalità e della vera ispirazione della sua produzione poetica, che splendidamente riflette gli scenari naturali e lo spirito nativo del suo popolo, e, in aggiunta, al suo importante lavoro come filologo provenzale».
Frédéric Joseph Etienne Mistral fu insignito, nel 1904, del premio Nobel per la letteratura.
Il 1904 fu l’unico anno in cui vennero premiati due scrittori.
Mistral nacque nel 1830 in Provenza da una famiglia di contadini benestanti. Durante la sua infanzia chiese come mai alcune persone parlassero una lingua differente dalla sua e gli fu spiegato che quelle persone erano ‘signori’; Mistral dichiarò allora di non volere diventare un ‘signore’. Questa lingua straniera era il francese, la lingua di Mistral il provenzale.
Laureato in diritto, divenne ben presto uno dei maggiori esponenti della poesia in provenzale, la prima lingua letteraria dell’Europa civilizzata. Due, all’epoca dello scrittore, erano i maggiori movimenti della “Rinascenza provenzale”: il gruppomarsigliese che tendeva verso una poetica popolareggiante, buffonesca e rivoluzionaria, ed il gruppo avignonese ‒ al quale apparteneva Mistral ‒ che aspirava ad una poetica colta, raffinata e moraleggiante.
Nei convegni culturali in cui questi due gruppi si incontrarono, si giunse alla conclusione che il provenzale fosse un linguaggio adatto per trattare in forma scritta qualsiasi argomento – e non invece una lingua popolare di minor valore rispetto al francese. Tuttavia proprio in questi incontri vennero tralasciati i veri problemi della lingua: la metrica, la rima, il lessico e l’ortografia. Il gruppo d’Avignone spingeva per una purificazione del lessico provenzale dalle parole gallofone ed un recupero delle parole desuete. Fu così che con il sostanziale fallimento dei due congressi il gruppo avignonese, nel 1854, si riunì e si diede un nome: Felibrige. Questo, proposto da Mistral, deriva da una canzone popolare provenzale nella quale si fa riferimento alla celebre disputa avvenuta nel tempio tra Gesù di Nazareth e gli scribi della legge, o felibri, appunto, in provenzale ‒ «emé li sèt félibre de la loi », ‘tra i sette dottori della legge”.
Questa la definizione del movimento data nel primo statuto:
Il felibrismo è fondato per conservare alla Provenza il suo colore, la sua libertà di vita, il suo onore nazionale, il suo bel grado di intelligenza perché, così com’è, la Provenza ci piace… Il felibrismo è gaio, amichevole, fraterno, pieno di semplicità e di franchezza; esso ha per suo vino la bellezza, per pane la bontà, per cammino la verità, il sole per gioia, trae la sua scienza dall’amore e ripone in Dio ogni sua speranza. E continuava, stabilendo sulla base del fatidico sette provenzale, altrettante sezioni: due di «gaia scienza », una di storia e linguistica, una di musica, una di pittura, una di scienza e una di amici del felibrismo; il numero dei felibri era fissato in cinquanta. [1]
Finiti gli studi e tornato a casa, il giovane Mistral decise di dedicarsi alla scrittura; suo padre, che sembrava riconoscere in essa un “sacro rito” al punto da non disturbare mai il figlio intento a scrivere, lo lasciò libero di intraprendere la sua strada. Fu nella casa paterna, la masseria del giudice, che Mistral iniziò a scrivere il poema della sua giovinezza, il poema che lo rese grande, il poema con cui viene sempre ricordato, il suo capolavoro: Mirèio (Mirella in italiano).
Il poema, diviso in dodici canti, ha una metrica di derivazione trobadorica; la strofa è così composta: due ottonari piani rimati tra loro sono seguiti da un dodecasillabo tronco, al quale succedono altri tre ottonari piani con la stessa rima, e un altro dodecasillabo tronco armonizzato con il primo.
Mirella è un nome perduto d’una storia d’altri tempi dimenticata, se non per qualche reminiscenza popolare in alcuni modi di dire. Lo stesso Mistral scrive:
Mirella, questo nome fortunato, che ha già in sé tutta la sua poesia, doveva essere fatalmente quello della mia eroina; infatti lo avevo sentito ripetere, fin dalla culla, in casa mia, e soltanto lì. Quando la povera Nanon, la mia nonna materna, voleva usare una cortesia verso qualcuna delle sue figliole:
– È Mirella – diceva, – è la mia bella Mirella, il mio tesoro!
E mia madre, scherzando, diceva talvolta di qualche bambina:
– Eccola, guardate! È Mirella, l’amor mio! [2]
Il poema ha per protagonisti gli ambienti d’infanzia del poeta: quelli della pianura della Crau con i suoi abitanti. Esso narra di una Provenza agricola, cristiana, piana; narra delle sue tradizioni e superstizioni, della natura e dell’amore e come sfondo viene raccontata la storia di Mirella che serve all’autore per descrivere la terra amata. Così Mirella diviene contemporaneamente protagonista dell’opera ‒ in quanto la sua vita si immedesima con la Provenza stessa ‒ e protagonista della storia.
La trama semplice serve a non distrarre il lettore dal vero intento del poeta: essa parla di Mirella, una giovane contadina benestante innamoratasi del figlio di un bracciante. L’innamoramento è descritto secondo la tradizione cortese e la natura ne diviene metafora ed artificio. L’amore è corrisposto, ma i genitori di lei impediscono l’unione; Mirella scappa per raggiungere il Santuario delle Sante Marie ma l’attraversata della Crau la conduce alla morte proprio sulle porte del santuario ma non prima di aver salutato per l’ultima volta i suoi genitori e l’amato, accorsi alla notizia della sua agonia. La morte è la sublimazione dell’amore, amore che è la forza che trascina e travolge ogni cosa, e la morte di Mirella è paragonabile a quella di Orlando nelle Chanson: è una serena accettazione cristiana del sacrificio. Mistral diventa il poeta dei contadini così come prima di lui lo era stato Esiodo; e proprio dalla cultura classica l’autore trae ispirazione: Omero e Virgilio nei loro grandi poemi ed ancora Virgilio, il primo Virgilio, quello delle Georgiche.
Canto una giovinetta di Provenza.
Nel primo amore dell’adolescenza
attraverso la Crau, verso il mare, fra il gran,
del grande Omero povero scolare,
col mio canto la voglio seguitare.
Era una contadina, e domandare
di lei fuor della Crau è domandare in van.[3]
Così si apre il poema che porterà il lettore in un viaggio attraverso la terra provenzale fatto di tradizioni contadine e di natura aspra e rigogliosa, fertile e secca.
L’autore utilizza scene d’ispirazione classica per raccontare la Provenza ed i suoi abitanti: la discesa di Enea all’Averno viene ripresa nella discesa dei due amati nella grotta dei Baus; le ballate del vecchio Ambrogio riprendono le canzoni di Iopa; ed ancora i giochi funebri per Anchise sono ripresi nelle gare podistiche a Nîmes.
Dentro la gola stretta e perigliosa
di cotesta caverna tenebrosa
i portatori avevano lasciato scivolar
da se stesso il garzon giù per la china.
Dietro a lui, per la cupa stradettina,
solamente la giovin contadina
osò, pregando Iddio, il piede avventurar.
In fondo al pozzo che li porta in basso,
dentro una grotta rigida, di sasso
si trovarono; e, sola, nel mezzo, vi scoprîr,
da una nube di sogni circondata
Taven, la fattucchiera, accoccolata
per terra, con in mano una manata
di loglio. La guardava triste da non si dir[4]
Vincenzo (l’amato), ferito in lotta da un ammiratore di Mirella, quando ormai è già morente viene portato dalla fattucchiera per le cure. In questa grotta compaiono quegli elementi di tradizione medioevale ‒ le fate ed i folletti ‒ che vengono raccontati al modo della tradizione provenzale.
Mistral scrisse altri poemi che raccontano la sua terra sotto diversi aspetti, dandole forma con le parole; leggendoli tutti si carpisce l’anima della Provenza sotto ogni suo aspetto. Tuttavia è ricordato principalmente per Mirella, un poema georgico, completo, che lo proclamò il più grande poeta provenzale dalla fine della tradizione trobadorica. Ed è nella sua amata terra, dove visse per tutta la vita, che morì.
[1] Echegaray – Mistral, collana Scrittori del mondo : i Nobel, UTET, Torino 1970, p.XVII
[2] Ivi, p.355
[3] Ivi, p.3
[4] Ivi, p.101