Fra Essere
e Dio

Filosofia antica e
teologia cristiana

Thomas Masini
Filosofia

     Tra il II e il V sec. dopo Cristo vi è il grande periodo di assestamento tra il Paganesimo[1] in declino e il consolidamento della religione Cristiana. Allo stesso modo, nello stesso periodo, vi è l’incontro-scontro tra la filosofia antica – incentrata sull’episteme – e la teologia cristiana – che pone come suo fondamento la verità della rivelazione biblica e la fede. All’inizio non si tratta certo di un incontro pacifico, al contrario da entrambe le parti non vengono risparmiate dure critiche non solo dal punto di vista della razionalità dei contenuti, ma anche della moralità delle dottrine e degli individui coinvolti

 

     Se da un lato gli intellettuali pagani guardavano con sospetto a questa nuova ‘filosofia religiosa’ che faceva capo ad un ebreo torturato ed ucciso nel modo più disonorevole dai romani (la crocifissione era il supplizio riservato ai criminali ed ai sediziosi), e in essa non vedevano altro che una nuova ed oscura setta religiosa nata in seno al popolo giudaico, i primi pensatori cristiani, dal canto loro, criticavano aspramente gli usi e i costumi pagani, invocando una rivoluzione culturale e religiosa necessaria a riportare la moralità e la verità nella società, nell’attesa della seconda venuta del messia alla fine dei tempi.


[…] l’ultimo ed indiscutibile fondamento di tali verità è la fede nell’esistenza di Dio […]

     Nel II secolo d.C. il filosofo Celso redige un’opera intitolata Alethès lògos  (Discorso vero), non unica nel suo genere ma sicuramente la prima organica risposta del mondo pagano al Cristianesimo emergente e che possediamo grazie ai frammenti preservati nell’opera Contro Celso, di Origene. Oltre ad una critica filosofica intorno ai concetti di ‘messia’, ‘resurrezione’, ‘apocalisse’, ‘incarnazione’ ed altri dogmi propri del Cristianesimo, sono interessanti i passaggi nei quali Celso compie una specie di critica sociologica ed antropologica del modo in cui i cristiani agiscono nella società e nei confronti della cultura pagana dominante. In un passo egli scrive:

Il maestro della dottrina cristiana dice così: «I sapienti respingono quello che noi diciamo perché sono fuorviati ed impediti dalla loro sapienza» Certo! Perché sono ridicole le loro dottrine e volgari i loro discorsi: nessuno che sia assennato crede in questa dottrina, ma ne è distolto dalla massa di coloro che ad essa si accostano. Il maestro della dottrina cristiana va dunque in cerca degli stolti e si comporta come uno che promette di sanare i corpi e nello stesso tempo distoglie dal dar retta ai medici sapienti, perché questi potrebbero confutare la sua ignoranza. Perciò ricorrono agli sciocchi ed ai villani ingenui dicendo loro: «State alla larga dai medici! Badate che nessuno di voi metta mano alla scienza (epistéme), perché la scienza è male e la conoscenza fa perdere agli uomini la salute dell’anima. Molti sono stati rovinati dalla sapienza. Badate a me, perché io solo vi salverò. I medici invece rovinano coloro che promettono di curare». […] Io sostengo che essi peccano contro Dio bestemmiandolo, al fine di conquistarsi mediante vane speranze gli uomini malvagi e convincerli al disprezzo dei migliori col dire che sarà meglio per loro se se ne distaccano. [2]

Per Celso, rifiutare in toto gli insegnamenti degli antichi, pretendere di spazzare via secoli di cultura e rivolgersi principalmente ai giovani, agli stolti e ai peccatori (che lui chiama ‘malvagi’) sono azioni proprie di chi sa di essere nel torto, e ha più un intento fraudolento che culturale e spirituale. Allo stesso tempo, però, simili ed antitetiche sono le parole che Paolo di Tarso usa per descrivere i pagani ai suoi confratelli:

Dall’alto del cielo in effetti si disvela la collera di Dio contro ogni empietà e iniquità degli uomini che detengono la verità prigioniera dell’iniquità. Perché quello che di Dio si può conoscere è manifesto a loro, avendoglielo egli manifestato. A partire dalla creazione del mondo, infatti, il suo essere invisibile – parlo della sua eterna potenza e maestà divina – attraverso il creato diventa visibile agli occhi della mente. Non possono dunque avanzare alcuna scusa, perché, pur avendo conosciuto Dio, non gli tributarono, come gli si deve, né lode né grazie. Al contrario vaneggiarono nei loro ragionamenti e si ottenebrò la loro mente ottusa. Dicevano di essere sapienti e divennero stolti. Scambiarono lo splendore del Dio immortale con il simulacro figurativo dell’uomo corruttibile, di volatili, quadrupedi e rettili. Perciò, in linea con le cupidigie dei loro cuori, Dio li diede in balìa dell’impurità, così da disonorare in se stessi i propri corpi, loro che avevano scambiato il vero Dio con l’idolo menzognero, adorando e tributando culto alla creatura anziché al Creatore, che è benedetto in eterno. Amen. [3]

Per Paolo sono i pagani ad essere in errore, perché la loro sapienza ignora la rivelazione e pertanto è solo conoscenza delle cose terrene, ma senza la loro relazione con il divino; questa mancanza intellettuale genera come conseguenza l’impurità morale. Si presti attenzione a non immaginare questo scontro come impari e fin da principio a favore dei cristiani in base al decorso storico delle vicende e alla scomparsa di molti testi che parteggiavano per il paganesimo. Se le parole di Paolo possono sembrare più ‘vere’, questo è dovuto al fatto che oggi siamo immersi in almeno millecinquecento anni di cultura cristiana; in realtà le posizioni pagane sono altrettanto forti e razionalmente valide, ma richiedono, per essere comprese a fondo, di immergersi in una mentalità ormai molto lontana da noi. Questo compito non potrà essere assolto qui, ma certo un tentativo di questo genere può portare a stupefacenti scoperte.

     Quanto preme sottolineare, ed emerge anche dai brani citati, sono tre concezioni fondamentalmente incompatibili che distinguono la teologia cristiana dall’epistéme pagana.

     La prima differenza fondamentale è metodologica e teorica allo stesso tempo. Se il Paganesimo – ed intendiamo con questo termine in larga parte la filosofia ‘pagana’ – riconosce che la Verità ha valore epistemico, per il Cristianesimo la Verità è sostanzialmente rivelazione divina. L’epistème è il sapere che ‘stà’, che ‘si sostiene su di sé’, che è vero perché ‘manifesta da se stesso la propria verità’, e per questo è ‘incontrovertibile’. Abbiamo visto precedentemente (con Parmenide, Platone ed Aristotele) che la Verità è  l’innegabile, l’inconcusso, e deve elencticamente sostenersi da sé e non dipendere da altro – si ricorderà quanto detto circa l’élenchos nei precedenti articoli. Al contrario, la Verità per il cristiano non è una conquista razionale, e non trova in se stessa la propria necessità logica: la Verità è ciò che Dio rivela all’uomo attraverso i testi degli autori ispirati e le parole di Gesù Cristo. In questo senso, ciò che il cristiano può chiedere a Dio è la grazia di essere ispirato nella retta esegesi ed approfondimento dei testi sacri, ma le verità che essi manifestano sono tali non perché persino la loro negazione le riafferma, ma perché sono parola di Dio. Pertanto, se è possibile e fino ad un certo punto lecito applicare la razionalità umana all’esegesi biblica, allo stesso tempo l’ultimo ed indiscutibile fondamento di tali verità è la fede nell’esistenza di Dio, nel suo manifestarsi attraverso suo figlio e i suoi profeti, e nell’intelligibilità delle sue parole.

     Un’altra differenza fondamentale riguarda la dottrina della creazione. Anche i greci ed i latini possiedono una teogonia ed una cosmogonia – basti pensare alla celebre Teogonia di Esiodo – ma per essi vale filosoficamente il principio ‘ex nihilo nihil fit’, ossia: dal nulla non viene nulla. Infatti, nelle teogonie religiose in principio non vi è il nulla, ma il kàos (disordine) che si trasforma in kòsmos (ordine), e le divinità, come i primi principi ontologici, non creano, ma ‘generano’, ovvero emanano da se stessi qualcos’altro. Inoltre la materia – chòra – è sempre eterna, anche se informe, e l’atto ‘creativo’ rispetto alla materialità non è altro che un dare forma, un determinare – si pensi alle idee platoniche, al demiurgo aristotelico o alle ipostasi plotiniane. L’Essere è da sempre e per sempre, mentre il non-Essere non è e non può essere. Per i Cristiani, invece, vale il dogma della creazione, il quale si può riassumere con le parole di Agostino d’Ippona: “Creatio est productio rei ex nihilo sui et subiecti”, che si può tradurre con “la creazione è la produzione della cosa dal suo non essere e dal non essere di ogni altra cosa precedente”. Quando Dio crea le cose dell’universo le crea dal nulla assoluto e dal loro nulla particolare, portandole all’Essere dal non-Essere. Ovviamente, è da intendersi che la creazione non è “ex nihilo causae efficientis et finalis”, in quanto la causa efficiente e finale della creazione è appunto Dio stesso, che è eterno.  Celso fa notare nella sua opera come non si possa parlare di creazione dal nulla se Dio è qualcosa di esistente, ma piuttosto di generazione dal divino, cosa più razionalmente comprensibile. Tuttavia il Cristianesimo è inamovibile su questo punto: tutto ciò che esiste è creato ex nihilo da Dio, e in un solo caso si può parlare di generazione, ossia nel caso di Gesù Cristo: “unigenito figlio di Dio,/ […] generato, non creato, / della stessa sostanza del padre”. Tuttavia, per i filosofi pagani l’idea di una creazione dal nulla, ovvero della trasformazione del non-Essere assoluto in Essere, è semplicemente irrazionale, incomprensibile e folle, e pertanto non accettabile come verità.

     La terza differenza fondamentale riguarda un tema legato alla creazione, e si tratta della libertà originaria. Per gli antichi vi è una potenza nel cosmo più grande di qualsiasi altra, ancor più di Zeus – padre degli Dei – e delle Moire – Dee della morte e soprattutto del destino dei mortali –; questa potenza è Ananke, ossia la Necessità inflessibile ‒ anticamente identificata sia come una Dea che come il terribile principio supremo. Parmenide stesso sottomette l’Essere a questo principio, e scrive nei versi 30-31 del frammento 8 del suo Poema: “Infatti, Necessità inflessibile / lo tiene nei legami del limite, che lo rinserra tutt’attorno”. Pertanto, anche l’operare del divino soggiace alla Necessità, e quindi anche la generazione è necessaria, e non frutto di una libera decisione. Per i Cristiani, invece, Dio è libertà assoluta, e la creazione non è altro che il frutto di una libera scelta di Dio: egli poteva scegliere di creare o di non creare, e nella sua saggezza imperscrutabile ha agito in piena libertà. In questo senso la famosa domanda ontologica “perché l’Essere al posto del Nulla?” nell’ottica cristiana è priva di senso: l’Essere è perché Dio ha liberamente scelto di far essere l’Essere. La differenza rispetto all’ottica antica è evidente: se i pensieri di Dio sono imperscrutabili, e non potrebbe essere altrimenti per le nostre menti finite, l’unico modo per dare risposta alle domande fondamentali è attendere la rivelazione divina, con la speranza che essa sia tale da potersi comprendere.

     Da Plotino fino a Cartesio la filosofia assumerà sostanzialmente il ruolo di ancilla theologiae, ovvero ancella della teologia: il suo compito sarà quello di chiarificare per quanto possibile la dogmatica teologica, ma sempre e comunque cedere ad essa il passo, perché qualora esse siano in contraddizione deve subentrare la fede nella rivelazione e nella superiorità della parola di Dio rispetto alla razionalità umana. Tuttavia sarebbe sbagliato leggere in questa breve schematizzazione un periodo di oscurantismo o di abdicazione alla razionalità: proprio nell’incontro tra filosofia antica e religione cristiana pensatori di altissimo livello elaboreranno teorie ricche di saggezza e lucidità, che si uniranno alle radici classiche nel costituire quel pensiero occidentale nel quale, ancora oggi, viviamo.

[1] Il termine ‘Paganesimo’ è fondamentalmente scorretto, in quanto racchiude in sé in senso esteso un numero molto ampio di religioni e credenze antiche molto diverse tra loro. Per comodità e perspicuità useremo questo termine ormai entrato nell’uso comune, ma che qui si limita ad indicare gli oppositori, in senso religioso e filosofico, della religione cristiana tra il II-V sec. dC. 

[2] Celso, Contro i cristiani, RCS, Milano 2012, pp. 83,85.

[2]  San Paolo, Lettera ai romani, in Lettere, RCS, Milano 2009, p. 325.