Anche un mal di denti può diventare un godimento per uno, pure se questo potrebbe non avere senso – attenzione! – senso razionale.
«Più ero cosciente della bontà e di tutto ciò che era “sublime e bello”, più profondamente affondavo nel mio pantano e più ero pronto a sprofondarci del tutto».
Di cosa si tratta? Quale fango e di che tipo? È ciò che vorremmo scoprire in questo articolo, e a questo scopo prenderemo in considerazione un romanzo in particolare della corposa opera letteraria di Fëdor Dostoevskij: Memorie del sottosuolo. Il capolavoro che da alcuni filosofi e critici è ritenuto la prima opera di narrativa psicologica e sarebbe alle origini dell’esistenzialismo. Nonostante il fatto che dai suoi contemporanei Dostoevskij non fosse percepito come un filosofo semplicemente perché non aveva mai ricevuto una formazione filosofica specifica, né aveva progettato o dato forma a un proprio sistema filosofico ‒ almeno come si può intendere da un approccio formale alla nozione tedesca di ‘filosofia’‒ il suo contributo in psicologia e filosofia fu enorme. Dostoevskij è maestro nel tracciare i ritratti psicologici dei suoi personaggi: ha plasmato con destrezza e precisione le sue figure, ha raggiunto abilmente le profondità delle anime umane e su questo piano ha scavato negli angoli più nascosti e offuscati della natura esistenziale umana. Nella lettera al fratello Michael del 16 agosto 1839 scrive: «L’essere umano è un mistero. Questo mistero deve essere svelato, e se ti ci vuole tutta la vita per svelarlo, non devi dire: hai perso tempo; lo sto studiando, perché voglio essere un umano». [1] In altre parole: la questione dell’esistenza umana e le sue illimitate manifestazioni in questo mondo erano le principali preoccupazioni e interessi di Dostoevskij. Si sforzava di svelare ed estrarre dall’ignoto le dimensioni più complesse dell’essenza ontologica umana. Una di queste è la dimensione del ‘sottosuolo’ ‒ quel ‘pantano’ di cui sopra ‒ che affronteremo più avanti.
La definizione di sottosuolo presentata da Dostoevskij nella narrazione è ambigua. La sua origine si può trovare nel dramma di Alexander Puškin Il cavaliere bramoso, dove un giovane cavaliere, Alberto, privato del sostegno finanziario del padre, pronuncia queste parole: «…che costringa mio padre a mantenermi come si conviene a un uomo, e non a un topo che rosicchia le briciole di pane in una cantina». [2] Qui, la parola “cantina” in russo significa подполье, che è letteralmente tradotto come “sotterraneo/sottosuolo”.
Non è una coincidenza che il protagonista di Memorie del sottosuolo, un innominato funzionario in pensione, si definisca «un topo intensamente cosciente», [3] che è di nuovo un riferimento al topo de Il cavaliere bramoso. Nel suo significato primario ‘sottosuolo’ denota l’immagine di essere fisicamente isolato dal resto del mondo, per esempio semplicemente un qualsiasi topo che vive in una cantina. Il suo secondo significato si sviluppa man mano che conosciamo il personaggio principale dalle sue meditazioni su se stesso, nelle quali appare al lettore come un topo cosciente che vive nel sottosuolo ossia una metafora del mondo subconscio di un individuo. Tuttavia, queste due definizioni si sono così intrecciate l’una all’altra che il suo isolamento interiore subconscio dipende direttamente dal suo isolamento fisico dagli altri. Egli pensa al mondo come a qualcosa di completamente diverso da lui; come se lui e il mondo fossero costituiti da sostanze assolutamente dissimili. Questo è ciò che il protagonista dichiara essere uno dei suoi problemi principali: «Mi tormentava allora anche un’altra circostanza: precisamente, che nessuno mi somigliasse, e di non somigliare a nessuno. «Io sono uno solo, e loro sono TUTTI», pensavo e mi facevo pensieroso». [4] In questo pensiero egli si oppone ad ogni singolo essere umano su questa Terra, immergendosi nel suo mondo individuale ‒ dove si sente tanto diverso dagli altri ‒ nel suo sottosuolo.
Questo è il punto in cui Dostoevskij si confronta con la teoria filosofica, apparsa di recente e in rapido sviluppo, dell’egoismo razionale o egocentrismo razionale. Il romanzo di Cernysevskij Che cosa bisogna fare? ha dato origine a questa scuola filosofica contemporanea. L’essenza di questo insegnamento sta in una dottrina pragmatica, nella quale si stabilisce la priorità dei propri interessi sugli interessi di qualsiasi altro individuo o sugli interessi sociali. Apparentemente la parola ‘razionale’ è apparsa nel nome di tale teoria perché senza di essa sarebbe stata considerata semplicemente come una filosofia per impudenti ed indifferenti. Così, l’egoismo razionale è un’abilità, secondo Chernyshevsky, che permette di vivere tenendo conto del proprio campo di interessi, ma allo stesso tempo non in conflitto con gli altri. Questo, pensava, sarebbe diventato una base per lo sviluppo del socialismo nella futura società umana.
Memorie dal sottosuolo è una narrazione in due parti. All’inizio il protagonista, per la prima volta dopo quarant’anni di permanenza nel suo sotterraneo, si consente di filosofare nello stile delle note di diario e rivela al lettore le sue elucubrazioni sulla libertà, la sofferenza e le scoperte scientifiche. Tutto questo filosofeggiare è dato sotto forma di una confessione che, nella seconda parte, continua con alcuni esempi dei suoi incontri con “gli altri” al di fuori del suo sottosuolo.
E ora passiamo al prossimo punto importante: perché questo racconto è visto come un precursore del pensiero esistenzialista nella narrativa? Dostoevskij è stato il primo a mettere la responsabilità della vita dei suoi personaggi nelle loro mani, rendendo così ogni individuo responsabile delle proprie scelte. Si ribella alla razionalità che la gente usa per descrivere il processo della vita, che per lui dovrebbe essere irrazionale. Questo è ciò che ci dice il suo protagonista senza nome: « non esiste davvero qualcosa che quasi per ogni uomo è più caro dei migliori suoi vantaggi, o (per non violare la logica) c’è un vantaggiosissimo vantaggio (precisamente quello tralasciato, del quale parlavamo or ora), che è più essenziale e più vantaggioso di tutti gli altri vantaggi, e per il quale l’uomo, se occorre, è pronto ad andare contro tutte le leggi, cioè contro la ragione, l’onore, la tranquillità, la prosperità […]?». [5]
Più avanti nella narrazione questo qualcosa viene chiamato «scelta indipendente» che a sua volta è l’opposto della razionalità. Il razionale deve essere visto come qualcosa di importante per la sopravvivenza, come ad esempio le leggi della natura. Dostoevskij non è d’accordo sul fatto che tutta l’esistenza umana sia vincolata dalla scienza e sostiene che un essere umano non è un tasto di pianoforte, il cui movimento può essere interamente descritto dalla scienza, [6] rifiutando così di circoscrivere il libero arbitrio di un umano ad un fatto spiegabile semplicemente attraverso un approccio scientifico. Da ciò deriva che la razionalità contraddice la nozione di libertà di scelta, la cui assenza priva l’essere umano dell’essere umano. La questione della sopravvivenza, per Dostoevskij, non è legata al campo della razionalità e della logica, al contrario, l’irrazionalità e l’illogicità costituiscono il senso della libertà assoluta che un umano possiede: la libertà di scegliere il modo di agire secondo i propri desideri e istinti. Anche un mal di denti può diventare un godimento per uno, [7] pure se questo potrebbe non avere senso – attenzione! – senso razionale.
Questa era la libertà – la responsabilità di fare delle scelte – che gli esistenzialisti come Nietzsche, Camus e Sartre avrebbero proclamato durante i secoli XIX e XX. Il rifiuto di lasciare che l’individuo sia guidato unicamente dalla razionalità era un tentativo di dimostrare l’unicità e la diversità di ogni persona che sia mai esistita in questo mondo. La riduzione del libero arbitrio umano alla formula «due per due fa quattro» [8] demolisce la nozione di persona in quanto tale, ci trasforma in macchine che lavorano sottomesse alle leggi della natura: fisica e matematica. Qui diviene fondamentale che «due volte due potrebbe anche fare cinque». Per la stessa ragione Dostoevskij nega la nozione di determinismo, perché crede nell’impossibilità di prevedere o determinare il futuro a causa della natura puramente libera del comportamento umano.
Questa è stata davvero una straordinaria scoperta del XIX secolo. Ha dato tanta libertà agli esseri umani nel pensarsi come creature libere che fanno la differenza in questo mondo. Oggi non ha rallentato nemmeno di un secondo. L’individuo moderno è ancora ansioso di dimostrare la sua differenza dagli altri e la sua illogicità. Tranne che per questa significativa distinzione: ora l’individuo è uscito dal sottosuolo e non si nasconde affatto nel suo subconscio; il sottosuolo è uscito con tutti i suoi tesori accuratamente accumulati. La loro individualità sta brillando così tanto che la sua luce penetrante acceca non solo coloro che stanno intorno a loro, ma essi stessi per primi, escludendo così gli altri dalla vista. Vorrei interrompere qui il mio pensiero con uno degli spunti finali dell’ultimo capitolo, con il quale il nostro personaggio senza nome conclude la sua confessione: «Ha da sprofondare il mondo o io ho da non bere il tè? Io direi che avesse da sprofondare il mondo, e che io avessi sempre da bere il tè». [9]
[3] Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Memorie del sottosuolo, Einaudi, Torino 2014, p.12.
[4] Ivi, p. 47.
[5] Ivi, p. 23.
[6] Cfr. ivi, pp. 25-26.
[7] Cfr. ivi, p.15.
[8] Ivi, p. 14.
[9] Ivi, p. 124.