Ezra Weston Loomis Pound

da "I Cantos"

Marco Montagnin
Letteratura

 

Dido soffoca fra i singhiozzi per Sicheo, 
Peso morto tra le mie braccia,
Novello Eros, affogato in lacrime. 

Eleanor marcì
in clima inglese,
“Ελανδρος ed Έλέπτολις
E ‘l povero vecchio Omero cieco,
cieco come nottola,
Udite la crescita del mare,
mormorìo di voci vecchie.
Poi di Roma il fantasma,
sedili di marmo stretti,
Qui Ovidio: «Si pulvis nullus
«Erit, nullum tamen excute.»
Lime, candele, e li mestiers ecoutes;
Scene, ma di battaglia soltanto,
Pennoni e standardi e cavals armatz
Per dipingerli (Paolo Uccello) li vide,
Come Dante il «ciocco», percosso. 

Un peu moisi, plancher plus bas que le jardin.

«Contre le lambris, fauteuil de paille,
«Un vieux piano, et sous le baromètre…» 

Mormorio di vecchi, fra le colonne di finto marmo,
Pareti scure e fittizie, 
Doratura modesta, accenni di pannelli, 
L’affitto è un po’ fuori…, in un’altra piazza; 
La casa grossa, 
I quadri unti. 
E sotto la sfera frontale, con gli occhi onesti e tardi 
Mi precede lento il fantasma,
Gravi incessu, e beve il tono,
Sorge la vecchia voce 
intrecciando un parlar che non finisce. 
E noi come spettri a visitar… 
nostre vecchie scale, sulla branca, 
Bussando a vuota stanza, chiedendo la morta grazia;
Le dita abbronzate e fini non sollevan la maniglia 
Ricurva, di bronzo, «Impero», 
Al picchiotto nessuna voce risponde. 
Un’estranea al posto del portinaio podagroso.
Incredulo, cerco la viva, 
Testardo. Né prevalgono 
I fiori vizzi da sette anni. 
Partizione maledetta! Parete di carta bruna,
Fragile e dannata. 
Ione, morta Ione da un anno. 
Il mio limine, e la soglia di Liu Ch’e. 
Tempo scalfito! 
Perdura l’Elysée e il suo nome, 
Il numero dell’autobus mi ricorda; 
Basso soffitto, l’Erard, l’argenteria, 
Quattro sedie, una credenza panciuta, 
Un tavolo rivestito di feltro verde. 
«Sul piedestallo, una bottiglia di birra vuota!» 
«E’, caro Fritz, l’odierno al cospetto dell’antico,
«Contemporaneo.» Perduran le passioni. 
Loro agivano: a noi gli aromi. Cronache per atmosfera. 
Smaragdos, chrysolithos; De Gama indossava pantaloni a righe 
In Africa, e «i monti del mar partorirono i suoi soldati»;

 La vieille commode en acajou: 
vuote bottiglie di varie date, 
Ma è morta? In sette anni può morir, come Tyro?
Έλέναυs , έλανδρος , έλέπτολις, 
Il mare scorre in scanalata sponda, alla risacca rotolano i ciottoli,
Eleanor!
Vermiglia tenda raggia un’ombra pallida; 
El remir, contro la lampada a Bouvilla, 
Per tutto il giorno 
Nicea mi precedeva, 
L’aria grigia non la molestava,
L’aria gelida non turbava la sua nuda beltà, 
Piedi lunghi e gracili sulla proda,
Slanciata mi camminava innanzi, 
In vita noi due soli. 
Per tutto il giorno, e per quello appresso: 
Malli che conobbi umani, 
Caschi secchi d’enormi locuste, 
masticando i gusci delle loro parole… 
Sorretti tra tavole e sedie… 
Elitre di locusta, le parole prive d’anima; 
Un’aridità che invoca morte; 

Un altro giorno fra muri finti micenei, 
Finte sfingi fra colonne tipo Menfi, 
Sotto l’orchestra un cortice, silenzio rigido, 
Guscio della casa vecchia. 
Legno color bruno marcio, l’incolore intonaco, 
Un parlar secco 
smorza gli strumenti, 
La prima casa espulsa. 

Spalle quadre e pelle serica, 
Danzano le donne, gote infossate, 
Morte le aride parole – 
Da dieci anni un guscio di vetro, 
L’aria si pietrifica. 
La vecchia classe s’impone, 
I giovanotti, mai! 
Del parlar le scorze solo. 
O voi che siete in piccioletta barca, 
Dido soffoca fra i singhiozzi per Sicheo, 
Peso morto tra le mie braccia, 
Novello Eros, affogato in lacrime. 

La vita continua, vagando sui colli brulli; 
Dalla mano sfocian fiamme, lentamente 
La pioggia assorbe la sete dalle nostre labbra,
solida eco, 
Tra scintillio di pioggia la passione crea forma, 
Ma Eros è semimorto tra le lacrime 
Per il morto Sicheo. 

Nel moto ci beffa la vita: 
Si muovon le scorze 
Scroscian parole dai gusci.                                                                              Desmond
L’uomo vivo da terre e prigioni                                                                         Fitzgerald
scuote i secchi malli, 
Sopravvivono amicizia e volontà, 
Gli artropodi vuoti alla pacchiana mensa
Maneggiano posate, 
E il tintinnio somiglia a voci. 
Lorenzaccio 
Vive! pregno di fiamme e di voci. 
Ma se morisse! 
Si credesse lui esser caduto da sé, ma se morisse! 
Alta, indifferente, si muove, 
valva più viva, 
Integra larva si muove nel fato. 
Tre volte t’avvisaron, o Alessandro, 
Eterno indagatore di cose, 
D’umani e di passioni. 
Occhi nuotan nell’aria fosca e arida, 
Vitree iridi grige, e capelli biondi 
Lisci, fattezze calme, rigide.[1]

[1] Ezra Pound, I Cantos, Mondadori, Verona 2005, pp.47-53

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