Deus sive Natura

Baruch Spinosa

Thomas Masini
Filosofia

     Nella storia della filosofia poche figure hanno lo spessore teorico e la forza persuasiva di Spinoza. Nato ad Amsterdam nel 1632 da una famiglia di ebrei spagnoli emigrati prima in Portogallo e poi in Olanda, oltre ad essere un filosofo di fondamentale importanza fu, di mestiere, un esperto fabbricante di lenti. Non è possibile, qui, ripercorrere in modo adeguato la sua biografia. Basti quindi accennare a due eventi fondamentali: nel luglio del 1656 fu scomunicato per la sua eterodossia dai rabbini di Amsterdam e gli venne proibito di risiedere nella città natale; fu così costretto a spostarsi ad Ouverkerk. Dovette poi spostarsi ancora da Voorburg all’Aia per sfuggire alle polemiche nate attorno al suo Trattato teologico-politico (1670), benché pubblicato anonimo, e qui morì nel 1677.

     Come già accennato precedentemente, Cartesio aveva sostanzialmente ripreso per la sua dimostrazione dell’esistenza di Dio l’argomento ontologico Anselmiano (all’Ente sommamente perfetto non può che competere l’esistenza, poiché altrimenti privato di essa non sarebbe più ‘sommamente perfetto’). Spinoza riprende a sua volta l’argomento Cartesiano, ma appare ben presto chiaro che questo Ente non può avere le proprietà che ad esso vengono attribuite dalla teologica cristiana – e, a maggior ragione, dalla teologia ebraica. Nel suo capolavoro – l’Ethica more geometrico demonstrata – Spinoza parte dalla definizione di sostanza, e da essa fa procedere attraverso proposizioni, scolii, dimostrazioni e corollari, la struttura fondamentale della sua ontologia. Ma si proceda con ordine.

Egli è causa di sé, è infinito, ed eternamente produce se stesso.

Il Dio di Spinoza è l’essere stesso.

 

     Spinoza parte dal dubbio iperbolico cartesiano, e ritiene sia necessario dare una risposta diversa da quella proposta dallo stesso Cartesio. Pertanto, dubitando dell’esistenza di ogni cosa, compresi noi stessi, di che cosa possiamo essere certi che esista necessariamente? La risposta di Spinoza è: la sostanza. E quest’ultima è proprio il punto di partenza della prima parte dell’Ethica (la quale tratta di Dio), e presenta in principio alcune ‘definizioni’:

I. Per causa di sé intendo ciò la cui essenza implica esistenza, ossia ciò la cui natura non può essere concepita se non esistente.

[…]

III. Per sostanza intendo ciò che è in sé ed è concepito per sé, ossia ciò il cui concetto non esige il concetto un’altra cosa, a partire dal quale debba essere formato. [1]

     Spinoza chiama sostanza ciò che non ha bisogno di null’altro che di se stessa per essere e per essere concepita. Non ha necessità di nulla che ne giustifichi l’esistenza, né di altri concetti che le si accostino per determinarla. Sostanza è ciò che eminentemente è, e non ha bisogno di nient’altro che di sé per essere, per esistere. Risulta chiaro, quindi, che per la definizione I, la sostanza è causa sui, ossia causa di sé. Questo concetto di auto-produzione, dell’esser causa di sé, compare qui per la prima volta nella storia della filosofia. Precedentemente avevamo i concetti di causa efficiente o finale (dalla causalità semplice al motore immobile fino alla creatio ex nihilo) e di eternità (ciò che non ha causa esiste da sempre e per sempre). Qui, invece, vi è qualcosa di diverso: la sostanza ha una totale ed assoluta indipendenza logica ed ontologica. In questo modo la sostanza spinoziana si sottrae anche alla possibilità di cadere sotto il dubbio iperbolico cartesiano: essa è indipendente e produce da sé la sua esistenza e la sua conoscibilità.

    Nella definizione II (sopra omessa), Spinoza specifica inoltre che cosa intenda per ‘cosa finita’, ossia per ‘finitezza’. Egli scrive che una cosa finita è tale perché è limitata da un’altra cosa dello stesso genere (finita anch’essa). Risulta evidente un fatto: ad un ente finito può affiancarsi solamente un altro ente finito, ché se uno dei due fosse infinito o dovrebbe inglobare in sé l’altro oppure non sarebbe infinito, perché sarebbe limitato dalla stessa esistenza dell’altro. In altre parole se l’infinito è infinito, allora esso è ovunque. Ma se esiste un luogo finito nel quale esso non è, allora non è più infinito.

      Questa riflessione ci consente di determinare quanto segue: se l’unica cosa della quale si può riconoscere indubitabilmente l’esistenza è la sostanza (in quanto causa sui) ed essa non ha bisogno di null’altro per esistere, allora la sostanza è la sola cosa che esiste, e quindi è infinita.

           Si continui a leggere l’Ethica:

IV. Per attributo intendo ciò che l’intelletto percepisce di una sostanza costituente la sua essenza.

V. Per modo intendo le affezioni di una sostanza, ossia ciò che esiste in altro, per mezzo del quale è anche concepito. [2]

Esiste la sostanza, ed è infinita; però per poterla concepire essa deve determinarsi in qualche modo. Se si prende ad esempio l’intelletto umano, ecco che della sostanza esso è in grado di cogliere due attributi: la res cogitans e la res extensa; la prima è il pensiero, la seconda è l’estensione fisica. Tuttavia, una sostanza infinita possiede infiniti attributi, ed ognuno di essi è infinito. Ma le cose che noi percepiamo e che ci circondano sono enti finiti ‒ ad esempio i pensieri e gli oggetti quotidiani. Ecco allora che essi non sono attributi della sostanza, ma modi, affezioni della sostanza che esistono per altro (nessuno dei nostri pensieri o delle cose di cui facciamo esperienza è causa di sé, ma sono tutti causati da altro). In questo modo si struttura l’ontologia di Spinoza: vi è la sostanza, la quale è causa di sé ed è infinita, ossia satura l’intero campo dell’essere; da essa procedono infiniti attributi, ognuno dei quali è in sé parimenti infinito. Dagli attributi infiniti procedono i modi, o le affezioni, che sono finiti. Per l’intelletto umano gli unici due attributi percepibili sono il pensiero e l’estensione (la materia), dai quali procedono gli enti finiti dei quali facciamo esperienza nella nostra vita (pensieri ed oggetti) – lo stesso intelletto umano è un modo dell’attributo res cogitans della sostanza. 

     Detto questo si può cominciare a comprendere la VI ed ultima definizione: 

V. Per Dio intendo l’ente assolutamente infinito, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza infinita ed eterna. [3]

La sostanza di cui si è parlato finora è quindi, per Spinoza, Dio. Egli è causa di sé, è infinito, ed eternamente produce se stesso. Gli attributi e i modi non sono altro che una manifestazione di Dio, ovvero parte della sua essenza. Anche gli esseri umani, che sono composti di pensiero e materia, sono modi della sostanza di Dio.

     Dovrebbe esser chiaro, a questo punto, il motivo della scomunica. Il Dio di Spinoza è l’essere stesso. Questo Dio non è libero di creare, se non nel senso che crea necessariamente per sua stessa natura e nulla può impedirgli di farlo. E la sua creazione non è esterna ma all’interno di sé. Prendete ogni cosa di cui avete mai fatto esperienza: ogni essere umano che avete incontrato, ogni oggetto che avete raccolto, ogni albero che vi ha riparato dal sole, ogni filo d’erba che avete strappato, ogni granello di sabbia che avete lasciato scivolare fra le vostre dita; e ogni idea, ogni pensiero, ogni dolore, ogni gioia, ogni turbamento, ogni felicità; tutto questo e molto altro, tutto questo ed ogni altra cosa è Dio.

     Dio è causa immanente della realtà, ed il mondo non è stato creato. Esso viene costantemente generato da Dio in Dio: in quanto potenza generatrice è Natura naturans, in quanto realtà generata è Natura naturata. Da qui la nota espressione: Deus sive natura (Dio o la natura), laddove natura è inteso nel senso più ampio possibile del termine, è in qualche misura la physis dei primi pensatori greci. Ed è singolare che a causa di quest’espressione si sia tramandata l’idea di uno Spinoza ateo, quando è ben l’opposto: come può essere ateo chi crede che solo Dio esista nel senso più pieno e profondo

     Vi sarebbero molte altre cose da esplicitare, alcune di ampio respiro ed altre di più specifico interesse teoretico (ad esempio: come si passa da attributi infiniti a modi finiti? Come si inscrive in tutto questo la nota formula spinoziana “omnis determinatio est negatio”?), ma non è possibile qui approfondire ulteriormente. Il pensiero di Baruch Spinoza è così profondo e vitale che servirebbe ben più di un articolo per iniziare a restituirlo nella sua degna dimensione.

[1] Baruch Spinoza, Ethica more geometrico demonstrata, in Opere, a cura di F. Mignini, Mondadori, Milano 2015, p. 787.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

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