La filosofia di San Tommaso d’Aquino può essere considerata il culmine della teologia razionale, sia per la sua profondità che per l’onnicomprensività estensiva. Essa nasce dall’incontro della teologia precedente – Agostino ‒ con la filosofia ‘esoterica’ di Aristotele. Se i testi di logica aristotelici sono sempre rimasti disponibili nel mondo occidentale, i testi ‘esoterici’ invece furono portati ad Oriente, e vennero ricongiunti al corpus da Andronico di Rodi solo tra il 40 e il 20 a. C. Senza dilungarci in ricostruzioni filologiche, basti considerare che l’aristotelismo ‘fisico e metafisico’ irrompe definitivamente nel contesto culturale europeo verso la metà del XIII secolo, e la concezione della realtà ivi presente entra in contrasto con quella agostiniana.
Questa premessa è necessaria per indicare alcune avvertenze al lettore che saranno ora proposte. La complessità concettuale del pensiero che sarà qui presentato non è indifferente, soprattutto per chi non abbia già acquisito gli strumenti necessari alla comprensione immediata del lessico e delle strutture argomentative. Ciò comporta la necessità di un notevole impegno chiarificatore da parte di chi scrive – e questo è, naturalmente, doveroso – ma altresì di un impegno d’attenzione e metodo da parte del lettore. Per questo si consiglia di leggere come prolegomeni a questo testo gli articoli sul pensiero di Aristotele comparsi nei numeri 4 e 5 della presente rivista (rispettivamente “Che sia quando è. L’Essere e il principio più saldo” e “Il molteplice e l’uno”).
Dio è atto puro, pura attualità dispiegata, e partecipa dell’essere ogni altra sostanza.
Il testo in esame è un’opera giovanile di Tommaso, composta probabilmente tra il 1252 e il 1256, anche se è più probabile un periodo immediatamente precedente al 1256, quando il ‘Doctor Angelicus’ aveva tra i 29 e i 30 anni. L’opuscolo si intitola “De ente et essentia”, e presenta la struttura fondamentale dell’ontologia tommasiana. Le domande da cui la riflessione prende il suo abbrivio sono le seguenti: ‘che cos’è l’ente?’, ‘che cos’è l’essenza?’, e la risposta più generale è questa: essi sono i primi concetti dell’intelletto, e perciò il punto di partenza obbligato per una riflessione razionale sull’essere. L’ente è ‘id quod est’, ‘ciò che è’ e si compone di due principi costitutivi: ‘id quod’, ossia il ‘soggetto’ ed ‘est’ ossia l’‘atto di esistere’. Secondo Tommaso, l’ente si dice in due modi: il primo secondo le dieci categorie aristoteliche, e nel secondo modo per tutto ciò su cui si può formare una proposizione affermativa. Al primo modo compete l’ente in re, ossia l’ente che ha esistenza reale, mentre al secondo competono anche le negazioni e le privazioni (ad esempio la ‘cecità’, la quale non è un ente reale ma una privazione di una realtà, la vista). Risulta evidente che se si cerca l’essenza dell’ente, lo si dovrà intendere secondo il primo modo. Si legga un passo che chiarifica in generale il modo in cui procede l’argomentazione di Tommaso:
Da questo passo si possono ricavare tutte le informazioni necessarie all’impostazione della presente analisi. Innanzitutto la necessità di ricercare l’essenza: essa è la risposta alla domanda ‘quid est?’, ‘che cos’è?’, ovvero la quiddità della cosa o la sua ‘natura’ secondo il lessico di Boezio. Tommaso scrive che innanzitutto sono chiamate enti le sostanze, e si ricorderà come substantia sia la traduzione latina del termine greco hypokeímenon, ossia ‘ciò che sta sotto’, ‘ciò che sostiene’ gli accidenti (ad esempio la sostanza della mela sostiene il suo essere matura, dolce e rossa; gli accidenti sono, per l’appunto, accidentali: potrebbe benissimo essere acerba, acidula e verde). Le sostanze si dividono in tre ordini: composte, semplici e semplicissima.
Le sostanze composte sono le più note e conoscibili, e costituiscono la realtà percettibile dall’essere umano. Esse sono la composizione di una materia e di una forma, e ad esse ovviamente compete l’esistenza. Ma qual è la loro essenza? Poiché è necessario che si diano insieme la forma e la materia, la loro essenza è la composizione delle due. Ma poiché, allo stesso tempo, la loro esistenza non è necessaria (una mela può esistere, ma non deve necessariamente esistere) la loro essenza sarà diversa dal loro essere: l’atto d’essere è distinto dalla loro essenza. Si aggiunga questo: l’essere (esse) è l’atto radicale e costituente degli esseri, poiché è ciò per cui essi esistono.
Le sostanze semplici, invece, sono quelle immateriali, ovvero la cui forma non si imprime nella materia. Si tratta delle ‘anime’ e delle ‘intelligenze’, nelle quali vi è solo composizione di forma ed essere. La loro essenza non può essere in identità con il loro essere, altrimenti non si spiegherebbe la necessità della forma e la loro molteplicità. Allo stesso tempo la forma non può essere causa efficiente del loro essere, altrimenti esse sarebbero allo stesso tempo causa e causate, ovvero causa efficiente di sé, è questo è contraddittorio. Pertanto la loro essenza è solamente la forma, e il loro essere è causato da altro, sopraggiunge dall’esterno. Si dovrà dunque dire che la forma è in potenza, e l’atto d’essere è ciò che trasforma in atto la potenzialità della forma. In questo modo Tommaso può riprendere la struttura ‘potenza-atto’ aristotelica, senza impegnarsi nel postulare una materia ricettiva eterna.
Poiché l’essenza e l’esistenza sono due principi distinti, e le sostanze composte e semplici non possono essere causa della loro stessa esistenza, deve darsi qualcosa che le partecipi dell’‘essere’, ossia che sia causa efficiente della loro esistenza. Questa sostanza prima e semplicissima dev’essere causa di sé nel senso più radicale possibile: in essa vi dev’essere identità di essenza ed esistenza.
Dio è atto puro, pura attualità dispiegata, e partecipa dell’essere ogni altra sostanza. Pertanto materia e forma ‘sono’, sono ‘essere’, perché partecipano dell’essere dell’atto puro, della causa prima. In questo modo Tommaso riesce a dare fondamento teoretico al dogma della creatio ex nihilo sui et subiecti e della gerarchia degli enti.
Si provi ora, per perspicuità, a ripercorrere velocemente e schematicamente questa struttura ontologica in modo inverso. Essa è composta da tre ordini:
La causa prima del creato è Dio, il quale è atto puro semplicissimo. In lui essenza ed essere sono in identità, e partecipa dell’essere ogni altra cosa. Questa identità è, per Tommaso, il significato della sentenza biblica “egò eimi ho òn” (“io sono ciò che è”). Dio è ente primo (primo ente quod est esse tantum) e causa prima (et hoc est causa prima, quae Deus est). Dio è però diverso dall’Essere universale, perché implica l’esclusione di ogni aggiunta: possiede tutte le perfezioni che sono presenti negli altri generi ed anzi, le possiede in modo più eccellente perché sono una cosa sola.
Mano a mano che si procede allontanandosi dall’ente primo il grado di perfezione decresce.
Si tratta di ciò che i filosofi chiamano ‘intelligentiae’ e la rivelazione biblica ‘angeli’. In esse vi è composizione di ‘forma’ ed ‘atto d’essere’, e la loro forma è anche la loro sostanza. La forma di queste sostanze è in potenza rispetto all’essere: per esistere (attualizzarsi) necessitano che la causa prima le partecipi dell’essere. Sono, ovviamente, immateriali e molteplici, ma totalmente inesperibili dall’essere umano. Infatti è possibile definire l’identità tra la loro forma e la loro essenza, ma non quali siano gli accidenti che competono loro.
Qui si pone un elemento-ponte: l’anima umana è parte delle sostanze separate, ma allo stesso tempo si incarna nella materia. Essa pertanto acquista la sua individualità nel rapporto con la materia e la mantiene anche quando il rapporto si scioglie. L’essere umano è a metà strada tra le sostanze semplici e le sostanze composte.
Si tratta degli enti esperibili dall’essere umano in re. Essi sono composti di ‘materia’, ‘forma’ ed ‘atto d’essere’, pertanto sono materiali, potenziali e molteplici. La loro sostanza è il composto di materia e forma, e ad essi si congiungono gli accidenti che non hanno sostanza di per sé, ma l’acquisiscono in congiunzione con la sostanza cui appartengono.
Tommaso d’Aquino porta a compimento il progetto di costituire un fondamento filosofico teoretico forte alla rivelazione cristiana, acquisendo in modo intelligente e facendo tesoro della filosofia greca, in particolare aristotelica. Per questo motivo la struttura teorica di Tommaso sarà il riferimento per la corrente filosofica neo-scolastica, e rappresenta ancora oggi un alto vertice del pensiero umano.
[1] Tommaso d’Aquino, De ente et essentia, Capitulum I, in Dietrich Lorenz, I fondamenti dell’ontologia tomista. IL TRATTATO DE ENTE ET ESSENTIA, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992, pp. 106-107. Nel volume di Lorenz è presente la traduzione integrale dell’opera di Tommaso con testo a fronte. Il testo originale è quello dell’edizione Leonina, mentre la traduzione è quella operata da P. A. Lobato O. P. sul testo critico della medesima edizione.
[2] Ivi, Capitulum IV, p. 202-203.