DAIMON

Il canto della fenice

Nausica Manzi
Filosofia

 Il daimon diviene nuova veste di quelle anime nude e voce eterna di un canto d’anima che diviene fenice, che esplode nel fuoco e trionfa nelle sue stesse ceneri.

Potenza ignota, presenza che tormentava e scuoteva Socrate, divinità interiore che non ammaestrava né ammoniva, sussurrìo a metà strada tra cielo e terra, demone tremendo dispensatore del destino, nuova forma da assumere per rinascere. 

Il daimon è vocazione, ossia voce che richiama all’azione, alla continua scelta di chi si vuole essere, al continuo divenire, alla complessa e delicata bellezza di riscoprirsi e rinascere ogni volta dalle proprie ceneri d’esistenza. Il daimon è il misterioso canto della fenice.

Dagli egizi ai nativi americani, fin nella tradizione greca, il daimon è un concetto estremamente interessante per un preciso motivo: in ogni interpretazione di questo termine, sia essa negativa che positiva, esso connota sempre una presenza che accompagna, custodisce, scolpisce e, intrecciando fili di respiri e carne, ricama ogni esistenza. Per eseguire tali compiti, però, questa presenza ha bisogno di una scelta continua. È la scelta a rendere il daimon una voce, il canto della fenice. Dal mio punto di vista, infatti,  daimon e fenice sono due termini che si fondono e confondono nel fuoco del mistero e della bellezza dell’esistenza.

 

[4

La fenice è un affascinante uccello mitologico dal colore purpureo, con lacrime dai poteri curativi e con la straordinaria capacità di incarnare e dominare il fuoco fino a rinascere dalle proprie ceneri. Creatura che fonde in sé potenza e fragilità, vita e morte, simbolo di lotta nelle fiamme e inaspettata rinascita dalla polvere. 

Molti autori parlano della fenice, altri sono convinti che non sia mai esistita per davvero, personalmente credo esista e che si renda visibile a tutti sottoforma di un canto silenzioso ed insieme dirompente che è per l’appunto il daimon. Per conoscerla è necessario tornare ad ascoltare questo canto.

Quando penso alla fenice mi viene in mente Er, protagonista di uno dei miti platonici che compare nel dialogo La Repubblica.  In tale mito si narra del ritrovamento del corpo di Er, valoroso guerriero morto in battaglia, che, dopo alcuni giorni, come da tradizione greca, viene posto sulla pira crematoria. Nel momento in cui le fiamme lo circondano, Er si risveglia, riemerge e racconta ciò che ha visto e vissuto come testimone nel mondo dell’aldilà. Dunque, Er combatte il fuoco e rinasce come una fenice.

Il racconto di Er scende nei dettagli dei vari momenti del processo che conduce le anime a ricevere il proprio giudizio e ad intraprendere un viaggio di espiazione nel mondo ultraterreno fino ad arrivare alla reincarnazione: anime vaganti, disperate e riflessive, alla ricerca del loro sé. 

La parte del mito su cui vorrei focalizzare l’attenzione è quella del momento della scelta del paradigma di vita in cui le anime si reincarneranno per iniziare un nuovo ciclo di vita. Tale momento rituale avviene al cospetto delle tre Moire, divinità del destino, figlie della dea Ananke(Necessità), sulle cui ginocchia gira il fuso dell’intero universo. 

«Non vi otterrà in sorte un dàimon, ma sarete voi a scegliere il dàimon»[1], questa la regola principale che viene annunciata alle anime: ognuna sceglierà liberamente la vita in cui incarnarsi tra le innumerevoli varietà proposte e si noti come, nel testo platonico, il paradigma di vita venga chiamato daimon. Ogni anima rinascerà dalle proprie ceneri come una fenice soltanto per mezzo di un daimon che essa sceglierà e incarnerà. Dunque il daimon diviene nuova veste di quelle anime nude e voce eterna di un canto d’anima che diviene fenice, che esplode nel fuoco e trionfa nelle sue stesse ceneri. Ogni anima diviene fenice che canta alla sua rinascita esclusivamente nella responsabilità della sua scelta, «La responsabilità è di chi sceglie; il dio non è responsabile»[2].

La virtù e dunque la felicità, l’ eudaimonia, l’avere un buon dio dentro di sé e dalla propria parte, come sosteneva Socrate, dipende esclusivamente dallo scegliere, quindi dalla libertà: «La virtù è senza padrone»[3]. La scelta non dipende da un’immagine sociale o corporea che le anime si portano dietro; infatti i daimon offerti sono molteplici e più numerosi di tutte le anime presenti, quindi c’è sempre la possibilità di scegliere una vita buona e di trovare il modo con cui essere fenice che canta attraverso il suo daimon, voce rinata, libera e responsabile.

Il daimon è quindi la vocazione, la voce specifica che, attraverso il suo canto, – ossia tramite tutte le sue caratteristiche di vita buona o cattiva e attraverso melodie armoniose o meno a seconda della scelta che verrà fatta, -darà comunque nuova forma all’anima, una fenice che, incarnando il fuoco del dolore e dell’espiazione, scegliendo, rinascerà..

Dato che i molteplici daimon sono predisposti dalle Moire, essi sono anche mediatori tra le divinità e i mortali: infatti, nello scegliere e nell’incarnare il proprio daimon, ogni ‘anima-fenice’ acquisirà una sacralità inviolabile e quindi, in qualche modo, sarà anche partecipe della stessa divinità. Ogni ‘anima-fenice’ diverrà un demone, un dio ed insieme un mortale, come viene descritto Eros nel Simposio, un essere vivente ma in cui abita un dio che dipinge, custodisce e intreccia il suo destino. Alla fine del processo, infatti, ogni anima riceve questa ‘sacralità’ da tre caratteristiche che le sono inconsapevolmente trasmesse dalle tre Moire ai piedi di Ananke:

  • Lachesi è la Moira che elenca le regole alle anime e che, alla fine, consegna i daimon scelti per reincarnarsi. Nella mitologia lei è la distributrice e rappresenta il passato. A mio parere, Lachesi incarna la responsabilità, unica caratteristica che risveglia e rende ognuno davvero libero, capace di rinascere dal passato ed essere costruttore del nuovo.
  • Cloto è la filatrice ed il presente. Da lei le anime giungono per sigillare sotto il giro del fuso la loro scelta. Cloto rappresenta la complessità del reale che non è perdizione, ma possibilità di “ ritrovarsi”, di spostare lo sguardo dal groviglio di fili intrecciati al bellissimo disegno che invece compare dall’altra parte.
  • Atropo è il futuro, colei che rende la scelta inalterabile ed immutabile. Lei è dunque l’oltre, l’apertura, il coraggio di ‘essere altrimenti’: nuova, fragile ma forte ‘anima-fenice’ che, unita al suo daimon, canta rinascendo.

Responsabilità, complessità ed oltre rendono ogni ‘anima-fenice’ sacra, divina e mortale, un essere vivente abitato da un dio che è, in realtà, la sua stessa anima a cui dare nuova vita ogni volta e che va risvegliata, ascoltata e protetta. Ognuno è quel Er del mito platonico.

Del resto, dunque, Socrate che, credendo nel suo daimon, fu accusato di andare contro le divinità tradizionali, in realtà credeva nel richiamo alla vita della sua ‘anima-fenice’e, nella sua missione filosofica, invitava chiunque a rinascere, riscoprendo dentro se stessi quel personale daimon, quel canto della propria ‘anima-fenice’, capace di pensare, di scegliere e quindi agire ed essere custode e cura della propria e dell’altrui esistenza. 

Daimon, canto di un’ ‘anima-fenice’ che ogni volta rinasce da ogni cenere d’esistenza e reinventa la propria vita tra responsabilità, complessità ed oltre.

[1] Platone, La Repubblica, 617 d, a cura di G. Lozza, Mondadori, 2018.

[2]  Ivi

[3]  Ivi

Ti è piaciuto l’articolo? Lascia qui la tua opinione su La Livella.

Did you enjoy the article? Leave here your feedback on La Livella.

Share on facebook
Facebook
Share on twitter
Twitter
Share on linkedin
LinkedIn
Share on email
Email