Cronache
di guerra

Gabriele Dessin
Letteratura

Avvertenza morale al lettore.

     Saper cogliere il lato comico delle cose è sicuramente uno dei sintomi principali dell’intelligenza. Ovviamente si tratta di una condizione forse necessaria, ma sicuramente non sufficiente. Per la verità quando si tratta di guerra c’è ben poco da stare allegri, e sembra che il solo pensiero di render comica una guerra sia immorale e incivile. Tuttavia, alle volte, la comicità appare da sola, senza bisogno di cercarla o inventarla. E per questo motivo, qui di seguito, il lettore potrà trovare un resoconto molto serio e moralmente educativo di una guerra combattuta negli anni ’30 dello scorso secolo. Chi scrive tuttavia vuole rassicurare: se il testo farà nascere qualche ilarità, lo scrittore non ne aveva l’intenzione e il lettore non dovrà farsene una colpa;  è solo uno dei casi della vita, e per questo si usa dire: “ridere per non piangere”. 

Cronaca di una grande guerra.

A seguito della fine del secondo conflitto mondiale, molti ex soldati inglesi ed australiani si dedicarono all’agricoltura, iniziando a coltivare i territori dell’Australia Occidentale. La presenza di ampie colture e l’abbondanza d’acqua spinse allo stesso tempo il popolo degli Emù – uccelli autoctoni di grandi dimensioni e inadatti al volo – a migrare nelle stesse zone. Quando dei beni primari sono limitati nella quantità e necessari a due popolazioni che non hanno modo o desiderio di intendersi reciprocamente, è inevitabile che sia piantato il seme della discordia e del conflitto; purtroppo anche in questa occasione tale regola delle relazioni fra esseri viventi si rivelò corretta.

Ai nostri giorni la guerra fra australiani ed Emù sembra ormai definitivamente cessata, e la costruzione della grande muraglia difensiva sembra aver consentito, finora, una qual certa pacifica convivenza. 

Nell’ottobre del 1932 furono terminati i preparativi militari da parte del governo australiano ed il conflitto ebbe inizio nel distretto di Campion il 2 Novembre dello stesso anno – ne diede notizia alla cittadinanza attonita un articolo del The Argus, datato 3 Novembre ‘32. 

L’esercito australiano schierò due mitraglieri armati con due fucili automatici Lewis, sotto il comando di G. P. W. Meredith, maggiore della Seventh Heavy Battery della Royal Australian Artillery. Purtroppo non si conoscono invece il nome ed il grado del comandante in capo dell’esercito Emù, e questa è una grave colpa storica perché le sue strategie militari furono non solo assennate e proficue, ma addirittura degne di nota. 

     Il maggiore Meredith decise di sfruttare l’effetto sorpresa, e di attaccare in una manovra lampo gli acquartieramenti Emù. Il tentativo di costringere i nemici in un unico fronte compatto fallì, e il comandante Emù diede ordine di rompere i ranghi, per far sì che i suoi soldati risultassero bersagli difficili per la batteria nemica. La tattica ebbe pieno successo, e dopo una prima raffica inefficace per l’eccessiva distanza, la seconda riuscì ad abbattere solo un dozzina di unità Emù di fanteria. Fu necessario, per l’esercito australiano, cambiare tattica prima di una probabile controffensiva nemica.

 

     Il 4 Novembre, tuttavia, Meredith decise nuovamente di utilizzare la tecnica dell’imboscata contro l’esercito Emù che si era momentaneamente acquartierato nei pressi di una diga. Benché questa volta si pensò almeno di considerare con più attenzione la distanza di gittata, le armi si incepparono dopo aver abbattuto solamente altri dodici elementi di fanteria leggera. Il comandante Emù, alle prime avvisaglie di ripresa delle ostilità, ordinò nuovamente di disperdere le truppe. Questa strategia si rivelò vincente, soprattutto grazie alla visione d’insieme del comandante Emù e alla sua conoscenza approfondita delle condizioni geografiche del campo di battaglia. Egli aveva intuito, infatti, che la sua fanteria leggera sarebbe stata inevitabilmente avvantaggiata in ritirata sparsa rispetto all’artiglieria nemica. Le cronache riferiscono che, per il resto della giornata, le milizie Emù tenero un basso profilo, e depistarono i nemici nascondendosi tra la vegetazione. Possiamo trovare una laconica e sconsolata informativa su questi avvenimenti in un articolo del The Argus datato 5 Novembre 1932, che utilizza – come sempre accade – termini offensivi e sprezzanti per indicare i nemici e porta il significativo titolo di “Elusive Emù”: “Gli artiglieri Lewis, impegnati a liberare il distretto di Campion dai parassiti Emù, stanno avendo scarso successo. Ieri sono stati uccisi solamente pochi uccelli. Sono talmente tanti che presto saranno fuori portata. Gli artiglieri, oggi, non hanno avuto maggior successo e dovranno essere adottate nuove strategie”.

 

     Nei giorni seguenti il maggiore Meredith inseguì con le sue forze le truppe nemiche, ma non ottenne alcun risultato. Pur ideando lo stratagemma di montare una mitragliatrice su di un veicolo motorizzato, la sua scarsa manovrabilità ebbe come conseguenza un ulteriore successo da parte delle fanteria leggera Emù. Il comandante Emù, d’altronde, poteva in qualsiasi momento ordinare il contrattacco con azioni di guerriglia e questo rendeva la situazione più tesa che mai. Secondo i registri ed alcune stime, al giorno 8 Novembre 1932 l’esercito australiano aveva esploso sul campo di battaglia ben 2.500 proiettili, ma aveva abbattuto poco più di una cinquantina di nemici – le fonti governative australiane riferiscono un numero di 500 uccisioni, ma è poco credibile pur non potendole confrontare con i registri militari del popolo Emù che sono ad oggi, purtroppo, irreperibili. Lo stesso 8 Novembre il comando militare australiano, a seguito dei continui fallimenti, dichiarò il ‘cessate il fuoco’ e ordinò di smobilitare le forze in campo. 

Il famoso ornitologo Dominic Servently, che evidentemente si dilettava nel ruolo di analista militare, descrisse così lo stato del conflitto:

 

I sogni dei mitraglieri di sparare raffiche su fitte masse di emù furono presto dissolti. Il comando emù ha evidentemente ordinato l’uso di tecniche di guerriglia, e il suo ampio e disorganizzato esercito si è immediatamente diviso in un innumerevole numero di piccole unità rendendo l’uso dell’equipaggiamento militare inefficace. Un esercito umiliato viene costretto quindi a ritirarsi dal campo di battaglia dopo quasi un mese.

 

     Lasciato libero il campo, le tensioni fra la popolazione australiana e la popolazione Emù iniziarono ad inasprirsi velocemente; lo scoppio di un secondo conflitto apparve quindi inevitabile.

Il primo ministro australiano James Mitchell parteggiava chiaramente per la linea interventista, e a lui si univa il sentimento di Sir John Pearce, ministro per la difesa. Il 12 Novembre 1932 quest’ultimo ordinò la ripresa delle ostilità militari e il giorno seguente il maggiore Meredith scese nuovamente in campo con le sue truppe; il The Canberra Times titolò quel giorno “Emù War Again”.

 

     Dopo un iniziale successo nei primi due giorni di offensiva, con un rapporto stimato di 40 uccisioni nell’esercito Emù, la superiorità strategica del comandante Emù e dei suoi uomini fece nuovamente pendere a loro favore la bilancia del conflitto. Dopo 17 giorni di guerra aperta il comando militare australiano inviò un resoconto sul successo delle loro operazioni: a fronte di 9.860 proiettili esplosi dichiararono l’abbattimento di 986 unità nemiche. Dichiarano inoltre che circa 2500 Emù perirono in seguito alle ferite riportate sul campo di battaglia, ma questo dato sembra poco verosimile e probabilmente fu diffuso per rassicurare l’opinione pubblica a fronte di un evidente scarso successo. Il 2 Novembre 1932 il governo australiano dichiarò nuovamente, e per l’ultima volta il ‘cessate il fuoco’. 

 

     Purtroppo le tensioni non vennero meno, e il comando Emù riprese le operazioni di predazione alimentare nelle coltivazioni civili nemiche. La situazione si protrasse a lungo negli anni seguenti, ed ambo le parti sostennero occasionali rappresaglie, senza tuttavia schierare nuovamente un regolare esercito. Entrambi i fronti optarono decisamente per la guerriglia permanente.  

Per evitare lo scoppio di un terzo conflitto il governo australiano decise di adottare una risoluzione diplomatica, e ne riportò notizia il The Sunday Herald in un articolo titolato “ A New Strategy In A War On The Emù” del 5 luglio 1953: 

 

Il Gabinetto di Stato dell’Australia Occidentale ha approvato la settimana scorsa la spesa di 52.000 sterline come contributo speciale per le misure di difesa, e questo ha rappresentato l’assunzione di un altro grande impegno in una guerra incessante contro un nemico vecchio quanto l’Australia Occidentale stessa.

[…]

Ora il governo dello Stato ha elaborato dei piani per un nuovo impegno difensivo contro il parassita. La sua strategia si basa sulla decisione di costruire una recinzione a prova di Emù dal costo di 52.000 sterline.

Tale recinzione sarà di circa 135 km di lunghezza, e sarà unificata alle recinzioni governative a prova di coniglio che si estendono già su gran parte dello Stato.

 

Nello stesso articolo è presente – ed è più che doveroso – un riconoscimento onesto del reale corso del conflitto armato di cui abbiamo qui letto una – seppur succinta – ricostruzione: “Questo [l’intervento militare del maggiore Meredith, ndr.], il più ambizioso progetto nella storia della guerra dell’Australia Occidentale contro gli Emù, è stato anche quello che ha fallito più miseramente, e nel quale l’uccello ha riportato la sua più completa vittoria; inoltre, l’incongruenza di tutta la faccenda ha avuto anche l’effetto, per una volta, di risvegliare la simpatia del pubblico per gli Emù”.

 

     Ai nostri giorni la guerra fra australiani ed Emù sembra ormai definitivamente cessata, e la costruzione della grande muraglia difensiva sembra aver consentito, finora, una qual certa pacifica convivenza. 

Pertanto, come si può vedere, anche il ricordo di un tragico e sanguinoso conflitto al pari di questo può portare, nell’animo di chi sa pensare con intelligenza, un proficuo messaggio morale: qualora la convivenza sia impossibile, come in una relazione amorosa che porta fiori appassiti sul suo stesso sepolcro, la scelta più saggia è creare una giusta distanza; “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore domani”. 

 

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