Come
una piuma

potrebbe salvare
il mondo

Veronica Berenice
Editoriale

Se non fossi nata negli anni ‘90 probabilmente ora non scriverei con la tastiera del mio computer, bensì mi troverei seduta ad uno scrittoio intenta ad evitare di far cadere gocce d’inchiostro sulla carta. Oppure, molto più probabilmente, le uniche ‘penne’ con le quali avrei avuto a che fare sarebbero state quelle del povero pollo a cui avrei dovuto ‘tirare il collo’.

Volendo essere onesta con le penne, nella vita della maggior parte di noi, il rapporto si limita ai giubbotti imbottiti ed ai piumoni con cui scaldiamo il nostro corpo nelle notti d’inverno; ma nella mitologia come nella letteratura la piuma ci ha permesso di librarci in narrazioni che esulano dal suo utilizzo più strumentale facendo spazio alle mistiche ali d’angelo come ad onirici voli pindarici verso il sole.


Se fossimo capaci di vedere la vita anche da prospettive diverse, quale sarebbe la nostra posizione se fossimo incarnati, ad esempio, in una gallina?

Ma tra tutte le citazioni letterarie di piume che volano, nella mia mente questa è quella che più si confà al clima di questo editoriale:

“Per forza, signori miei! Perché trovarsi davanti a un pazzo che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni!
– Eh, che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! – Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Volubili! Volubili!
– Voi dite “questo non può essere!” – e per loro può essere tutto. [1]

Quelle cose che per alcuni possono sembrare mere pazzie, per i pochi, per i ‘pazzi’, sono le potenzialità di un futuro pacifico.

Nell’ormai lontano 1971 un professore di Patologia semi sconosciuto inventò quella che oggi iniziamo a chiamare: Carne coltivata. Le evoluzioni successive di questa scoperta compaiono nel 2013, anno in cui alcuni scienziati olandesi guidati dal prof. Mark Post hanno prodotto e successivamente banchettato con un hamburger interamente creato in laboratorio. Le recensioni degli ospiti che hanno preso parte all’evento, tra i quali un critico culinario, sono state entusiasmanti! Entrando di poco nel dettaglio, il processo per la produzione della carne in vitro si basa sull’estrazione di cellule staminali che possono essere riprodotte all’infinito, permettendo quindi, in termini ad oggi ancora ipotetici, la soddisfazione del fabbisogno umano di proteine. Alla base di tale ricerca vi è la volontà di evitare il perpetuarsi dell’uccisione indiscriminata di animali non umani. Le stime del 2018 ci descrivono una realtà che può essere compresa dall’esemplificazione di alcune cifre: 200.000.000 di animali al giorno; uccidiamo in un anno e mezzo più animali di tutti gli umani che sono vissuti in 200 mila anni di storia. E dato che un confronto, seppur con la dovuta distinzione e rispetto, pare a chi scrive necessario, si stima che tra il 1933 e il 1945 furono circa 15-17 milioni le vittime della Shoah.[2] É si ben evidente che per l’assassinio degli umani abbiamo maggiore empatia (vivendo in un periodo di pandemia globale il tema è ancor più quotidiano); ma se fossimo capaci di vedere la vita anche da prospettive diverse, quale sarebbe la nostra posizione se fossimo incarnati, ad esempio, in una gallina?

Probabilmente penseremmo che a fronte dello sterminio più cruento mai compiuto sulla Terra, oggi tutto quello che possiamo giustamente chiedere agli animali per il nostro sostentamento è una sola ed unica piuma, da loro dimenticata nel ricambio del piumaggio.

É da quella piuma, così in apparenza insignificante, che partono alcune delle odierne[3]  ricerche per l’estrazione di cellule staminali, le quali possono mantenere la pratica della creazione della carne esente da crudeltà fin dal suo primo passo. Cosicché, per una volta nella storia, il processo di produzione delle tanto amate alette di pollo fritte abbia a che fare con il pollo solo attraverso una lontana parentela cellulare. Una piuma diverrebbe così il catalizzatore capace di alimentare il mondo.
Le difficoltà che quest’invenzione porta seco sono di ordine economico, ma le recenti dichiarazioni dei maggiori investitori prospettano una corsa tecnologica che renderà la carne coltivata conveniente per i consumatori al pari di quella di origine animale.
Il guadagno che ne trarrebbe il pianeta si manifesta non solo in chiave etico/morale ma anche nei termini di riduzione degli spazi ad oggi adibiti ad allevamento, pascolo e crescita del foraggio, di salvaguardia delle acque dolci, di riduzione dell’effetto serra (i gas emessi dagli animali sono ad oggi più dannosi di quelli emessi da aerei, automobili e navi tutte assieme), etc.[4]
Ovviamente sappiamo che di fronte a nuove tecnologie c’è sempre una parte di imprevedibilità che va affrontata, ma non lasciamo che la paura del nuovo o di ciò che non comprendiamo fino in fondo ci tenga legati ad un presente alimentare che è sofferenza sia per chi mangia che per chi non mangia la carne. Consapevolmente o meno.

[1] Enrico IV, Pirandello

[2] Utilizzo il termine ‘Shoah’ perché la comunità ebraica ha chiarito come il termine Olocausto sia poco adeguato a descrivere quanto accaduto nei campi di sterminio nazisti. Infatti, ‘Olocausto’ è una parola che indica propriamente un sacrificio nel quale veniva bruciato l’intero animale, comprese le parti solitamente riservate al banchetto sacro. Evidentemente, associare l’idea di una pratica sacra di natura propiziatoria al genocidio del popolo ebraico è quantomeno poco adeguato. Tuttavia, va ricordato che il termine Shoah viene utilizzato propriamente in riferimento al popolo ebraico, ma non si possono dimenticare gli altri gruppi umani che sono stati oggetto di epurazione: omosessuali, rom, sinti, slavi russi e polacchi, disabili, malati di mente, comunisti, massoni, pentecostali, testimoni di Geova ed altri.

[3] https://fb.watch/4ohetOoDxh/

[4] https://youtu.be/NxvQPzrg2Wg

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