… la croce – che è spada di legno confitta nella Terra ‒ apre le porte del Paradiso, perché monda dal peccato originale l’umanità intera.
Nel riflettere attorno ad un oggetto, trovo piacevole e sensato iniziare dal suo nome, dalla parola che lo designa; e la ‘spada’ ha nome femminile – in italiano, in latino (spatha) e in greco antico (σπάϑη). Da qui in poi non serve indagare il passato fino ad un’oscura origine linguistica: per ben tre volte abbiamo una lei tagliente che attraversa la storia dell’umanità occidentale, stretta nelle mani ed a servizio della metà mascolina del mondo.
Di tutte le famose spade che compaiono nei racconti delle grandi battaglie, siano esse reali, mitologiche o religiose, ve n’è una che fra tutte è la più nota e la più leggendaria: Excalibur, Colei che taglia l’acciaio. Si tratta di un dono che Re Artù di Camelot riceve dalla misteriosa Dama del Lago – e non sappiamo se questa Signora l’abbia creata o solamente custodita per quel momento fatale. Sappiamo, però, molte altre cose: è Lei che alleva Ser Lancillotto, orfano di padre; è Lei che seduce ed imprigiona il potente mago Merlino; ed è ancora Lei che conduce Artù morente ad Avalon, dopo la battaglia di Camlann.
Si esalta, di Caliburn (suo nome latinizzato), la sua eccezionale brillantezza e si narra della sua superiorità rispetto ad ogni altra spada esistente. Persino il suo fodero ha un arcano potere: chi lo possiede non sanguina, ed è così protetto dalla morte. La lama di Excalibur, infatti, in battaglia fende e ferisce come null’altro, e, allo stesso tempo, il suo fodero protegge chi la brandisce; già cominciano a baluginare le prime simboliche ed analogie. Vi è il maschile, nella forma del triangolo con il vertice opposto alla base che punta verso l’alto, simile ad un’antica lancia; e vi è il femminile, suo opposto, triangolo con il medesimo vertice che punta in basso, simile al ventre che racchiude e protegge. Per tornare agli etimi e alle lingue, la parola ‘vagina’, dal latino, significa letteralmente ‘fodero’ o ‘guaina’, ciò che custodisce e preserva. Potrebbe essere, questo, un tesoro di significati da vagliare; oppure una mera semplificazione dell’organo genitale femminile, nata in una cultura cieca e diffidente.
Saggiati alcuni simboli e profilata qualche polemica, facciamo ritorno al ciclo bretone, per raccontarne l’appropriata conclusione. Re Artù, al termine della sua epopea e alle soglie della morte, dichiara sua intenzione rendere Excalibur alla Dama del Lago, dalla quale la preziosa lama era stata concessa ma non donata. Un avambraccio ed una mano candidi emergono dalle acque immobili, stringono l’elsa, e la Dama e la spada scompaiono in quelle acque per sempre.
Come l’immagine di Excalibur, anche il significato e il senso più ampio dell’oggetto ‘spada’ sono ormai scomparsi dalla mente dei più, complice il fatto che non si tratti più di qualcosa che appartenga alla vita di tutti i giorni; ad uno sguardo contemporaneo, della sua importanza in ambito cavalleresco è rimasto poco o nulla – salvo fungere da oggetto di scena più o meno storicamente attendibile in film e serie tv. Così, non potendo accedere direttamente alla dimensione culturale e simbolica, è bene cominciare dal piano meramente fisico.
Quando una spada è in posizione ‘attiva’, pronta a colpire di punta o di taglio, ferisce ed uccide; quando invece è in posizione ‘passiva’, di piatto, ammansisce. Come nei riti di investitura del cavalierato che avvengono ancora oggi, dove il triplice tocco della lama – spalle e sommità della testa – è solo misura di onore e dovere. Il primo piano, quello fisico, è in questo caso simbolo astratto e concreto del metafisico: la punta si rivolge al cuore del cavaliere, per manifestare e ricordare quanta passione il suo giuramento richieda e comporti. Ancora, la spada compie una sorta di ‘taglio metafisico’ tra due realtà: l’individuo come comune essere umano, e l’individuo come colui che incarna l’investitura che riceve. Allo stesso tempo il simbolo è anche monito, e la lama diviene quella di una ghigliottina o, meglio, della proverbiale spada di Damocle. Essa rammenta ciò che mai si deve dimenticare: più ci si libra sopra i culmini e le vette, più l’aria è rarefatta ed ogni flusso di vento mal percepito può essere fatale.
Per salvaguardare la vita, la spada si fa anche bussola e sestante; e in questo modo la spada ‘lucente’ è la Spada fiammeggiante, che come un faro si trova alle porte di ciò che si è abbandonato o mai raggiunto: quel giardino delle delizie che ha, per ognuno di noi, un peculiare colore e sapore. Sono i testi biblici a dirci che essa segna il confine dell’Eden, luogo natio di Adamo ed Eva, che con la loro disobbedienza fecero di noi umani esuli fisici e metafisici. La Spada fiammeggiante è il chiavaccio posto da Dio nelle mani del cherubino Uriel, affinché chi è stato cacciato non possa fare ritorno – poiché Dio punisce la colpa dei padri nei figli [Es 20: 5].
Ma la buona novella parla di una chiave che disserra persino questa serratura. È la morte in croce del figlio di Dio che manifesta una nuova analogia e una nuova interpretazione del simbolo: la croce – che è spada di legno confitta nella Terra ‒ apre le porte del Paradiso, perché monda dal peccato originale l’umanità intera. Come la colpa dei padri ricade sui figli, così il sacrificio di Dio (padre) nella persona del figlio, ricade come pioggia purificatrice sui suoi figli. Lo stesso atto dell’incarnazione e morte del figlio di Dio è un agire tagliente che scinde: il tempo, determinando un prima ed un dopo metafisicamente distinti; l’umanità, tra chi ha fede e avrà salvezza, e chi non ha fede e resterà perduto. Non sono venuto a portare pace, ma una spada [Mt 10: 34].
Così accade che l’opera di svelamento e discernimento della Verità ci manifesti un universo sezionato nelle sue piccole sfumature, in quei riverberi minori di ciò che è tale in ordini di grandezza maggiori. Allo stesso modo in cui la ‘spada di legno’ sulla Terra rimanda alla Spada fiammeggiante nell’Eden: dopo la morte e resurrezione del figlio, il chiavaccio è tolto e gli esuli possono finalmente tornare alla loro vera patria.
E vediamo, di nuovo, questa spada svanire.