Cena di
pesce

Veronica Berenice
Editoriale

 

 

… se dovesse venirvi l’idea di ordinare del polpo saprete che c’è un 50% di possibilità che sul vostro piatto ci sia un alieno… e la redazione suggerisce, visto il rischio, di prendere solo le patate!



Qualsivoglia isola greca ha in sé bellezze e storicità derivate da quella civiltà ellenica che ancora seduce il mondo e, con esso, i viaggiatori. Anche noi de La Livella Magazine, sospinti dai venti del Mediterraneo e da quella cultura greca che già da tempo ci ispira, abbiamo pasteggiato con l’animo in festa pasciuti di feta e annaffiati di vino. 

Ai nostri occhi, come a molti altri, si manifesta un rituale: pescatori dalla pelle rugosa che portano rossi polpi dalle misteriose profondità subaquee all’essiccatura al sole. 

Non v’è isola dove non avvenga lo stesso; e file e file di polpi giacciono inermi sotto il sole estivo, come panni appesi a un filo.

Mentre questa scena ancora riverbera, mi sovviene il ricordo di un’immagine che porta in Giappone, dove le mogli dei pescatori evocano la storia di un polpo decisamente poco esanime.

Ce lo insegna il pittore e incisore giapponese Katsushika Hokusai [1] (葛飾北斎?; Edo, ottobre o novembre 1760Edo, 10 maggio1849) che un decennio prima di realizzare la sua opera più celebre, La grande onda di Kanagawa, nel 1815 pubblica tre volumi di stampe erotiche. 

Tra queste vi è la xilografia Take to ama (Polpo e pescatrice subacquea) ‒ anche se il titolo fu tradotto come Il sogno della moglie del pescatore ‒ la quale raffigura una donna supina e, tra le sue gambe, un enorme polpo rosso si abbandona ad un piuttosto esplicito cunnilingus.

 

Di fronte a tutto questo, non è certo un errore pensare che il polpo possieda un disgraziato destino. Anche questa, come altre creature del Pianeta blu, non soggiace interamente all’umana comprensione, tanto che alcuni scienziati non hanno temuto di affidarne l’origine alle mani genitrici degli alieni. Queste speculazioni derivano per lo più da scarsità di studi ‒ che solo negli ultimi decenni hanno rinnovato un certo interesse. Dal suo canto, il polpo, non ama mettersi a disposizione: possiede notevoli capacità di difesa e predilige, su tutte, una vita solitaria.

 

Non una sola, però, delle sue armi è usata scioccamente o al mero fine di evitare guai! Il polpo è celebre per i suoi schizzi d’inchiostro, quest’alone di mistero adatto alla fuga; ma a differenza della seppia, cara cugina, il suo nero è purulento per gli occhi. I suoi tentacoli, ad esempio, riescono ad aprire barattoli; ma ancor più eccezionale è il suo sistema nervoso: si estende a tutto il suo corpo, e il suo corpo intero è pensante. Nelle sue braccia possiede più neuroni che nel suo cervello, e sono circa diecimila in ogni ventosa. Com’è noto il polpo è abilissimo nel mimetismo; bisogna sapere però che i suoi pigmenti cambiano anche quando il polpo osservato non reagisce a stimoli esterni. Alcuni studiosi, per questo motivo, sono giunti a chiedersi se possa trattarsi di soliloqui cromatici: dialoghi a colori tra il polpo e se stesso. Pensa? Non ci sono risposte sicure; siamo però certi di questo: come noi mammiferi prova dolore.

 

A volte la sua lotta tenace per vedere riconosciuti i suoi diritti gli ha meritato come ricompensa la libertà (altro che forse abbiamo in comune). All’università di Otago, in Nuova Zelanda, un eroico polpo ha causato innumerevoli cortocircuiti spruzzando getti d’acqua sulle lampadine del suo acquario. Alla fine la sua caparbietà ha avuto la meglio: gli studiosi hanno dovuto rassegnarsi a liberarlo. Sarebbe interessante chiedersi: quante volte i soggetti che noi studiamo non sono affatto d’accordo con i nostri progetti?

 

Il polpo, per chi l’ha incontrato, può apparire inquietante e restio al contatto; invece, chi ha visto il documentario Il mio amico in fondo al mare sa che esso è in realtà curioso e giocoso ‒ se solo ci si prenda la cura di guadagnarsi la sua fiducia. Purtroppo non si ha molto tempo per poterlo fare; il polpo ha una vita sorprendentemente breve per la complessità evolutiva che gli appartiene ‒ equiparabile a quella del cane. Si stima che il suo ciclo vitale duri soltanto tre anni; e allora viene da dirsi: quante cose potrebbe imparare e fare se solo vivesse più a lungo! 

Ovviamente si ritiene vi sia un motivo preciso per giustificare questa esistenza così effimera. Durante la storia della sua evoluzione, il polpo ha deciso di preferire una vita breve ma in piena salute ad un lungo declino, e non solo per mero egoismo: in questo modo non corre il rischio di lasciare in eredità ai suoi discendenti tutte quelle degenerazioni cellulari che la vecchiaia porta con sé. Il saggio polpo conosce l’importanza dei limiti e dona il meglio di sé al patrimonio genetico delle nuove generazioni. 

 

Con i suoi tre cuori e l’aspetto tenebroso, il polpo raccoglie oggi nuovi giovani ammiratori; è sempre più studiato e spiato nei suoi ambienti naturali con il desiderio di comprenderlo e tutelarlo. Detto tutto questo, alla prossima cena di pesce, se dovesse venirvi l’idea di ordinare del polpo saprete che c’è un 50% di possibilità che sul vostro piatto ci sia un alieno… e la redazione suggerisce, visto il rischio, di prendere solo le patate!




[1] Il mio amico in fondo al mare (My Octopus Teacher) è un film documentario del 2020 diretto da Pippa Ehrlich e James Reed e prodotto da Netflix.

[2]https://www.internazionale.it/notizie/amia-srinivasan/2020/08/07/coscienza-polpo

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